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"DEUS CARITAS EST"! TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI ...

"CARITAS IN VERITATE": FINE DEL CRISTIANESIMO. TOLTA AL PESCE ("I.CH.TH.U.S.") L’ACCA ("H"), IL COLPO ("ICTUS") E’ DEFINITIVO. Una nota sul tema - a cura di Federico La Sala

Una gerarchia senza Grazie (in greco, Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" del Dio Mammona ("Caritas").
martedì 7 luglio 2009 di Federico La Sala
"Caritas in Veritate", Introduzione - pf. 2:
[...] Per la Chiesa - ammaestrata
dal Vangelo - la carita` e` tutto perche’, come
insegna san Giovanni (cfr 1 Gv 4, 8.16) e come ho
ricordato nella mia prima Lettera enciclica, «Dio e` carita`» (Deus caritas est): dalla carita` di Dio tutto proviene, per
essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carita` e` il
dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, e`
sua promessa e nostra speranza. [...]
"Caritas in Veritate", Introduzione - pf. (...)

In risposta a:

> "CARITAS IN VERITATE": FINE DEL CRISTIANESIMO. --- Ritanna Armeni, letto il discorso del "padrone della vigna" vaticana è caduta in estasi e consiglia la sinistra di leggersi il Papa (e ... di seguire il "Papi").

mercoledì 8 luglio 2009


-   Caritas in veritate
-  Consiglio a sinistra, leggetevi il Papa

di Ritanna Armeni (il Riformista, 08.07.2009)

Un consiglio a sinistra: leggere e sottolineare l’enciclica di Benedetto XVI "Caritas in veritate". Poi fermarsi a riflettere su se stessi, su quello che i partiti di sinistra, di centrosinistra, laici e cattolici hanno detto e fatto negli ultimi anni sul lavoro e sui lavoratori. E, quindi, trarne le conclusioni.
Io l’ho fatto. La conclusione che ne ho tratto è molto semplice.
Caritas in veritate contiene molte idee e valori storicamente definiti di sinistra. E sui quali la sinistra farebbe bene a tornare. E molte, molte idee che negli ultimi anni ha messo in soffitta, se non addirittura rinnegato.


Lo so bene. Le encicliche sociali sono sempre state attente ai mutamenti del mondo del lavoro e hanno espresso l’anima profondamente solidale di una istituzione antica e complessa come la Chiesa. Alla fine dell’800 ha fatto scandalo quella "Rerum novarum" che chiedeva un salario giusto che permettesse il sostentamento dignitoso del lavoratore e della sua famiglia. Già nella "Quadragesimo anno" di Pio XI si descriveva un’economia «orribilmente dura, inesorabile, crudele». E in "Mater et Magistra" Giovanni XXIII definisce senza mezzi termini «ingiusto» un sistema economico che comprometta o sia di impedimento alla dignità umana. Anche nel caso - aggiungeva - che «la ricchezza in esso prodotta attinga quote elevate e venga distribuita secondo criteri di giustizia e di equità».


Ma proprio qui è il punto. Ancora una volta la dottrina sociale della Chiesa attraverso Benedetto XVI sceglie la radicalità della sua verità e non si fa incantare dalle sirene del pensiero dominante. Dalle sirene della globalizzazione, in questo caso, che con i loro canti hanno affascinato e incantato anche la sinistra.

Nessuna confusione offusca il messaggio sociale della Chiesa che rimane fermo "in veritate", vede la situazione per quello che è e chiede che in essa sia immessa, cresca e si sviluppi la caritas, cioè l’amore, la solidarietà, il rispetto per l’uomo e per la donna.
E allora è vero - è, appunto, in veritate - che nel mondo globalizzato «la mobilità lavorativa, associata a una deregolamentazione generalizzata, è stata un fenomeno importante, non privo di aspetti positivi» ma la caritas, cioè l’attenzione agli uomini e alle donne fa vedere quanto «l’incertezza circa la condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione» abbia portato a «forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò - dice l’enciclica - è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale».


Leggere, sottolineare e riflettere. Altro che precarietà buona e precarietà cattiva, altro che gli innumerevoli dibattiti sulla necessità che il mercato sia libero da lacci e laccioli e che i lavoratori rinuncino al mondo del lavoro fisso e siano felici nella nuove flessibilità . La caritas fa vedere il degrado, l’infelicità, lo spreco di energie, la mancanza di senso del lavoro nella globalizzazione. Sbaglio o a sinistra di questo si è parlato poco o niente? Sbaglio o ci si è arresi alle regole del mercato ritenute inviolabili e necessarie anche quando toccavano pesantemente la vita delle persone? Sbaglio o ci si è limitati a proporre o a sostenere leggi che ordinavano l’esistente senza mai proporsi un cambiamento del degrado?


Per molti anni si è rinunciato alla caritas, non si è guardata alla verità con gli occhi dell’amore e della solidarietà. E questo ha impedito, ahimé, anche di guardare davvero la realtà. Quella dell’impresa, ad esempio, che oggi appare dominata «da una classe cosmopolita di manager che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi...». O al ruolo della Stato di cui «ragioni di saggezza e di prudenza - dice l’enciclica - suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine» - anzi, si aggiunge - «in relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere...».


Leggere e sottolineare. L’invito è anche per i sindacati. La luce della caritas, renderebbe chiaro che non minore, ma maggiore deve essere il ruolo delle organizzazioni sindacali che oggi appaiono chiuse nella difesa dei propri iscritti e invece dovrebbero volgere «lo sguardo anche verso i non iscritti, e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati».
E sottolineare anche la parte sull’immigrazione. Per chiedersi a sinistra quanto si sia effettivamente combattuta la battaglia perché gli immigrati «non siano considerati una merce o una mera forza lavoro» e «non siano trattati come qualsiasi altro fattore di produzione».

Quando la battaglia contro il decreto sicurezza si fa, come ha fatto gran parte della sinistra, non in nome della solidarietà, dell’amore e dell’accoglienza, ma in nome dell’efficacia di norme sulla sicurezza proposte dal governo è inevitabile la rinuncia alla caritas.


E soprattutto a sinistra si rifletta su quella parte dell’enciclica che propone «l’esperienza stupefacente del dono» perché il dono è il superamento se non il contrario del merito, parola tanto incantatrice quanto illusoria che usata per giustificare l’assenza in tante sue proposte della caritas.
Il dono è l’eccedenza, il gratuito, il di più, quello che non è contemplato nelle regole del mercato, che supera anche la giustizia.

Il dono non è uno smottamento sentimentale, ma una scelta razionale. Questo dice Benedetto XVI. E senza citarla rimanda alla bellissima parabola della vigna. Il padrone della vigna dà un denaro come pattuito a chi aveva lavorato tutta la giornata, ma anche a chi aveva lavorato solo poche ore. I primi - racconta Matteo - nel ritirarlo, mormoravano contro il padrone dicendo: questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
Ancora: leggere, sottolineare e riflettere.


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