Reati al Colosseo, o i rischi delle iperboli
di Giorgio Mascitelli (alfapiù, 25 settembre 2015)
L’onorevole Francesca Barracciu, sottosegretaria ai Beni culturali, ha definito l’ormai celebre assemblea sindacale dei custodi del Colosseo un reato e, a fronte delle rimostranze di chi le faceva notare che le assemblee sindacali in orario di lavoro sono perfettamente legali, ha replicato affermando di considerarla un reato in senso lato. Dunque in senso tecnico la sottosegretaria avrebbe usato la figura retorica dell’iperbole. Ora, per la mia modesta esperienza di scriba, l’iperbole è una figura molto pericolosa, che va impiegata con parsimonia perché nasconde diversi trabocchetti logici.
Infatti l’iperbole non può essere usata in tutti i casi: per esempio utilizzare il termine di reato funziona solo se attribuito a fattispecie non previste esplicitamente dalla legge, altrimenti è un errore logico. D’altronde l’iperbole è usata alquanto spesso solo nei poemi epici, nella pubblicità e nelle dichiarazioni di alcuni presidenti del consiglio. Questi tre generi di discorso hanno in comune non soltanto il fatto di proporsi di edulcorare o abbellire una determinata situazione o prodotto, anziché di denunciarla, ma anche di avere come oggetto delle proprie affermazioni iperboliche cose o fatti che il pubblico non può facilmente verificare tramite fonti indipendenti. Le iperboli devono essere perfettamente calcolate anche nel loro grado di superfetazione, altrimenti si ritorcono contro il loro stesso autore, come dimostra il fatto che le parodie dei tre generi di discorso indicati sopra si basano su iperboli così forzate da risultare ridicole o totalmente fuori luogo.
E tuttavia l’errore dell’onorevole Barracciu è ampiamente scusabile non solo perché la retorica, inutile materia umanistica, non fa parte del corso degli studi, ma perché, nella sua scompostezza, l’errore dell’onorevole è l’espressione di un senso comune oggi diffuso o per meglio dire di un senso mediatico oggi diffuso. Infatti, nella narrazione neoliberale del mondo i diritti collettivi, quali quelli sindacali, sono descritti come privilegi di casta, che dovrebbero essere vietati per legge, esistendo solo quelli individuali. E qui però dovrebbe scattare per tutti un campanello d’allarme non solo in quanto è del tutto evidente che in assenza di alcuni diritti collettivi è impossibile godere di diritti individuali, ma anche perché quella narrazione prende l’abbrivio agli inizi degli anni ottanta da un’apertura di credito di un celebre caposcuola come Von Hayek alla dittatura di Pinochet, anche se ormai nessuno si ricorda più di questo fatto.
A costo di essere scambiati per gente noiosa o peggio convinta che esistano ancora i telefoni a gettoni nell’era degli smartphone, è bene nella comunicazione pubblica esprimersi con lentezza e ponderazione altrimenti si corre il rischio di venire parlati dalla superlingua mediatica. Certo i vecchi politici centristi della DC o del PRI, che pure non dovevano avere in grande simpatia le assemblee sindacali, non avrebbero mai fatto un errore del genere.
Proprio per questo mi permetto di rivolgere ai compagni del partito democratico, specie a quelli che hanno un ruolo più importante nella comunicazione pubblica, un appello analogo a quello che a suo tempo Nanni Moretti rivolse a D’Alema. Io sarò però più moderato e mi accontento di chiedere loro, quando parlano di diritti sociali, di dire qualcosa di centro.