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PER IL "15O° ITALIA", COSTITUZIONALMENTE, FORMALMENTE E LEGALMENTE, TOGLIERE LA PAROLA : ITALIA, DALLE MANI DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA", DEL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!

L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA. Un’analisi di Gianrico Carofiglio - a cura di Federico La Sala

RESTITUIRE LA PAROLA "ITALIA" AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO, AL PARLAMENTO, E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA
martedì 25 agosto 2009 di Federico La Sala
[...] Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle
parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio
a un’ideologia dominante attraverso l’occupazione della lingua.
E l’espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media
e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane [...]
LA LIBERTA’, LA "PAROLA" E LA "LINGUA" DELL’ITALIA, E IL COLPO DI STATO (...)

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> L’OCCUPAZIONE DELLA LEGGE E DELLA LINGUA ITALIANA -- #Dilloinitaliano. I Bambini non sono Petalosi geni, neanche se a dirlo è l’Accademia della Crusca (di Deborah Dirani)

mercoledì 24 febbraio 2016

I Bambini non sono Petalosi geni, neanche se a dirlo è l’Accademia della Crusca

di Deborah Dirani ( L’Huffington post, 24/02/2016)

"Il re è morto. Viva il re". Peccato che il re morto fosse un alessandrino genio della parola e il suo designato erede sia un bambino di Copparo che da stamattina viene additato come piccolo e formidabile eroe della lingua italiana poiché ha ottenuto (con la complicità della sua baldanzosa maestra) nientepopòdimenoche un riconoscimento dall’Accademia della Crusca.

Tutto questo baccano intorno a un aggettivo coniato dal piccino (nella fattispecie: petaloso... Che ci tengo a dirlo, Crusca o non Crusca, il correttore di Word non lo riconosce e ho impiegato 3 minuti per farglielo accettare) nasce da un errore che l’inconsapevole neolinguista ha commesso in un compito che trattava gli "aggettivi" derivati dai sostantivi. Va da sé (o meglio, va da lui, il bambino) che se esiste il petalo esiste l’equivalente petaloso. Il ragionamento non fa una grinza, e quanto a logica consequenziale il piccoletto ha ragione da vendere. Meno ne ha chi non è in grado di spiegargli che la lingua italiana è un patrimonio già depredato da irricevibili anglicismi e neologismi al quale non serve anche il suo saccheggio.

Macché, la maestra baldanzosa dopo avergli segnato l’errore (specificando però che trattatasi di errore bello... E al primo che mi cita Montessori e il valore intrinseco dell’errore spedisco una carriola di libri automotivazionali, così poi si diverte) pensa bene di prendere il capolavoro di linguistica e inviarlo ai parrucconi della vecchia Accademia, i bastioni di Orione a tutela della nostra lingua.

Considerato poi che oggi come oggi non si può più dire a un giovane virgulto d’uomo che è un somaro, benché dotato di brillante fantasia, i suddetti bastioni gli hanno concesso l’accondiscendente onore di riconoscere che quella inascoltabile parola (siamo seri: petaloso non si può proprio sentire) sia in realtà bella.

La verità, che a me appare evidente, è che lo schiavismo degli adulti verso gli infanti stia travalicando i limiti della decenza. E i risultati sono piccoli mostri di boria e presunzione che, ai miei tempi (sì l’ho detto, ai miei tempi) sarebbero finiti silenziati da un pattone sul sedere. Non tanto per il petaloso, quanto per il messaggio di liceità, di tutto è possibile, che questa storia contiene e diffonde.

Non si può pensare di far assurgere l’errore a mirabile esempio di eccellenza, non si può infilare un bambino che sta battagliando coi congiuntivi nei vestiti del fine umanista, non si può farne un genio, un eroe, un esempio da emulare. Sennò da domani altro che petali e germogli di umanità: ci troveremo davanti a un manipolo di usurpatori di gloria.

I limiti sono importanti: servono a far capire i confini del sé. Servono a far camminare lungo l’asse della vita, insegnando a mettere un piede dopo l’altro a chi, per natura, vorrebbe correre ma non ha le gambe abbastanza forti per farlo. I limiti sono educativi: se non si conoscono i propri difficilmente si troverà il coraggio per superarli. Perché è vero che piazzare un bambino dietro la lavagna con le orecchie da asino è un’idiozia, ma anche sbatterlo su tutte le pagine dei giornali non è che sia una straordinaria prova di saggezza.

I bambini sono bambini, non piccoli geni in pantaloni corti e scarpe ortopediche. Non hanno, ovviamente, nessuna responsabilità circa quegli abiti non loro che si sentono cuciti addosso da genitori (e a volte insegnanti) pronti a leggere nell’ordinarietà delle loro azioni la straordinarietà del fenomeno. Che di fenomeni ce ne sono pochi, molti meno di quanti ne vengano additati in giro. Nemmeno questo piccolo Matteo, che oggi è diventato trend topic su Twitter grazie al cinguettio del suo omonimo premier, nemmeno lui è un fenomeno, o se lo è, non lo è di certo per quel florilegio di orrore linguistico del suo petaloso.

E comunque forse la maestra di Matteo avrebbe fatto più fatica a spiegargli perché il suo compito non era corretto anziché sdoganarlo con un bagno di notorietà che, se il destino si accanirà contro di noi, ci costerà l’inserimento di petaloso nella prossima edizione dello Zingarelli. Ah, ancora una precisazione: son vecchia e reazionaria e rimpiangerò a lungo (temo per sempre) il re che è morto senza degni eredi.


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