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LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL MENTITORE ISTITUZIONALE ... ITALIA. UN CITTADINO SI APPROPRIA (1994) DEL NOME DI TUTTO IL POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE E REALIZZA LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA POLITICA ITALIANA.

UNITA’ D’ITALIA: CENTOCINQUANTANERIO?! IL PRESIDENTE NAPOLITANO, DAL GOVERNO DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA", ASPETTA (ANCORA!?!) UNA RISPOSTA!?! Una nota di Federico Geremicca - a cura di Federico La Sala

Il sonno della ragione costituzionale (1994-2009) genera mostri
mercoledì 19 agosto 2009 di Federico La Sala
[...] Qualche settimana fa Giorgio Napolitano prese carta e penna e scrisse una lettera al governo per conoscere gli intendimenti e gli impegni dell’esecutivo per la celebrazione del centocinquantenario: è passato del tempo, e attende ancora una risposta. La lettera era riservata, naturalmente, ma il tenore è facile da immaginare, essendo invece nota un’altra missiva che il Presidente inviò negli stessi giorni al Comitato di Torino per le celebrazioni (era il tempo della polemica sollevata (...)

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> UNITA’ D’ITALIA: CENTOCINQUANTANERIO?! ---- L’Italia unita e voluta nel Risorgimento (di FRANZO GRANDE STEVENS)

sabato 2 gennaio 2010

L’Italia unita e voluta nel Risorgimento

di FRANZO GRANDE STEVENS (La Stampa, 2/1/2010)

Si è in tanti al lavoro, soprattutto a Torino, per realizzare l’anno venturo i vasti programmi di celebrazioni dell’Unità d’Italia; ma, imprevedibilmente, si sono levate distinte voci di dissenso. C’è chi sostiene che qui, dal Piemonte, non si volle un’Unità così come realizzata per tutta l’Italia e chi d’altra parte ritiene che alcune Regioni italiane fossero state brutalmente annesse contro la loro volontà ed i loro interessi.

È molto triste che così si dimentichino - o piuttosto si tradiscano - le migliaia e migliaia di patrioti e di intelligenze di tutta la penisola che credettero negli ideali degli illuministi, della rivoluzione francese, di quella napoletana del ’99, nell’unità degli italiani e per restarne fedeli andarono in esilio, nelle carceri o sacrificarono la loro vita.

Proprio qui in Piemonte, si guardò lontano: si dette la Costituzione (lo Statuto), si riconobbero i diritti delle minoranze (ebrei e valdesi), si combatterono con le guerre di indipendenza gli stranieri che occupavano regioni italiane, si stabilì che la giustizia ordinaria, senza distinzioni e privilegi, fosse applicabile anche agli ecclesiastici, si accolsero gli esuli qui venuti d’ogni parte d’Italia.

Intorno al decennio chiamato «di preparazione» (1849-1859), a Torino convennero i migliori da tutta l’Italia.

Via Po dintorni e il Borgo Nuovo (con i caffè Florio e Perla) furono il centro frequentato, ad esempio, da Francesco De Sanctis, Antonio Scialoja, Pasquale Stanislao Mancini, Bertrando Spaventa, Francesco Crispi (anch’egli convertito all’Unità), Carlo Poerio, Raffaele Conforti, Guglielmo Pepe, Enrico Cosenz, Mariano d’Ayala, Giuseppe La Farina, Guglielmo Pepe, Giovanni Nicotera, Giuseppe Pisanelli, Raffaele Piria, Agostino Depretis, Luigi Settembrini, Francesco Ferrara, Filippo Cordova e tanti tanti altri. E quanta solidarietà essi trovarono! A Scialoja il governo sardo assicurò un appannaggio e la cattedra di economia, poi trasmessa a Francesco Ferrara, a De Sanctis (ricordato con una lapide in via San Francesco da Paola) fu consentito l’insegnamento e qui egli tenne il famoso corso di mirabili lezioni dantesche; Francesco Crispi che stentava la vita fra la mansarda di via Vanchiglia ed il locale «Caffè del Progresso» venne aiutato da Don Bosco che incontratolo macilento in corso Valdocco lo invitò a mangiare dai salesiani (dove è ora Maria Ausiliatrice). A Mancini che aprì uno studio in via Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi) che fu anche il luogo di incontro di un cenacolo intellettuale, la professione legale e la cattedra di diritto internazionale - la prima - consentirono di guadagnarsi da vivere. E tanti altri potrebbero ricordarsi.

Tutti si guadagnarono fama e gratitudine (strade e monumenti dedicati, quello di La Farina a piazza Solferino, di Guglielmo Pepe in Piazza Maria Teresa, di Piria nel cortile dell’Università).

Piero Citati che amava «chi imprigionasse nei suoi libri una goccia di passato» ci fece sentire con una vibrazione appassionata la «dolentissima» realtà di affanni dei tanti emigrati politici.

E Benedetto Croce nel 1925 scrisse: «Quando io ripenso a quei calabresi e abruzzesi, balisicatesi e pugliesi, e napoletani di Napoli che agitavano ardenti problemi politici..., che entrarono nelle legioni italiane appena formate... e quando leggo i documenti delle relazioni e amicizie che essi allora legarono con lombardi e piemontesi e liguri e veneti dico tra me: ‘’Ecco la nascita dell’Italia moderna, della nuova Italia, dell’Italia nostra’’».

E in una lettera conservata all’istituto di Studi filosofici di Napoli, Bertrando Spaventa scrisse a Pasquale Villari (il grande allievo di De Sanctis) «di essere giunto alla Mecca a Gerusalemme, la Città Santa degli italiani: Torino» che descriveva così: «Torino, una città seria, silenziosa, gli abitanti non sono oziosi, badano ai loro affari e pare che non sia; pochi gesti, poche parole, proponimento...; hanno creduto e credono che la Costituzione non sia una burla, e la vogliono, ne godono e non sono contenti di perderla. Vita politica attivissima. A me pare una piccola città inglese. Donne... graziose e facilissime, anzi troppo». E così concludeva: «Ma l’anima è ora italiana».

Nel suo ultimo libro Arrigo Levi scrive: «Emancipazione e Risorgimento, nella cultura degli ebrei italiani, furono una cosa sola. Essi diventarono italiani, come lo diventarono veneziani e napoletani, piemontesi e lombardi, esattamente negli stessi anni».

Soltanto chi manchi di letture o abbia spirito fazioso può oggi sostenere che nel Risorgimento - periodo favoloso della nostra Storia - non si volle l’Italia unita, o addirittura che non la si voglia oggi.

Tanto più oggi poi quando la Costituzione definisce l’Italia «una Repubblica...» costituita da «Comuni, Province, Città metropolitane, Regione e Stato», si è costituita l’Unione Europea e si tende ad un’Europa sempre più unita (come ricordano e sollecitano i Presidenti della nostra Repubblica). Al punto che le nostre leggi ordinarie non possono essere in contrasto non soltanto con la nostra Costituzione, ma anche con «l’ordinamento comunitario» o gli «obblighi internazionali».


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