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EVANGELO E COSTITUZIONE. In principio era la Legge (il Logos, non il "Logo") - e la logica dell’amore (= charitas) non è quella di "mammona"(=caritas)!!!

SUL CONFLITTO "STATO-CHIESA", RIVELAZIONI CLAMOROSE E DEFINITIVE. NON SOLO L’IMPERATORE MA ANCHE IL PAPA E’ NUDO!!! La "lezione" teologico-politica di Hans Christian Andersen - a cura di Federico La Sala

giovedì 3 settembre 2009 di Federico La Sala
[...] l’imperatore aprì il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente per le strade e alle finestre diceva:
Dio! Sono di una bellezza incomparabile, i vestiti nuovi dell’imperatore! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene! - Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente, perchè se no significava che non era degno della carica che occupava, oppure che era molto stupido. Nessuno dei tanti costumi dell’imperatore aveva avuto tanta fortuna.
Ma se non ha niente (...)

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> SUL CONFLITTO "STATO-CHIESA", RIVELAZIONI CLAMOROSE E DEFINITIVE. --- Così siamo al dunque. Quel che non si può comprare né corrompere deve tacere ... scatenare l’offensiva prima che sia troppo tardi.

giovedì 3 settembre 2009

Se non può comprare

di Concita De Gregorio (l’Unità, 02.09.2009)

Così siamo al dunque. Quel che non si può comprare né corrompere deve tacere. Eccola qui la strategia d’autunno: zittire con ogni mezzo il dissenso, che ormai questo è diventato il semplice dovere di cronaca e diritto di critica. Il presidente del Consiglio, lo avete letto, è in guerra in queste settimane con i commissari europei, con le gerarchie ecclesiastiche, con i giornali che nel nostro paese e nel mondo documentano le sue gesta. Non ci sono in Italia molti organi d’informazione che non dipendano direttamente o indirettamente dal suo favore, dal suo smisurato potere economico e dal suo potere di influenza e di minaccia. Premere, corrompere o comprare. Dove non si può pagare, allora uccidere.

Lo squadrismo mediatico di governo, forte di nuove reclute, è difatti al lavoro per distruggere le reputazioni dei giornalisti non a busta paga. Mezzi leciti e illeciti, menzogne, false prove, non importa. L’aggressione al direttore di Avvenire, che ieri persino Fini ha definito killeraggio. L’aggressione personale all’editore e al direttore di Repubblica, insieme la richiesta di risarcimento al giornale per aver posto dieci domande. L’Unità, unico quotidiano in Italia, le ha per due volte ripubblicate: è possibile giudicare diffamanti delle domande, non sarebbe doveroso rispondere? Il gruppo Prisa, editore del Paìs, è sotto offerta economica da parte di emissari spagnoli del premier.

Ecco adesso l’attacco all’Unità. Due richieste di danni per una somma complessiva di 3 milioni di euro riferite non a un articolo o a un commento ma a due numeri del giornale nella loro interezza. Due numeri in cui ad alcune delle dieci domande si offriva risposta. I temi: lo stato della trattativa tra governo e Vaticano (indulgenza sulla condotta del premier contro leggi gradite oltretevere), il divieto di usare le intercettazioni telefoniche come strumento di indagine, lo stato della guerra privata del premier contro Sky e i danni che agli italiani ne derivano. Servizi di cronaca e libere opinioni, del resto da molti giornali anche stranieri condivisi.

La novità, oggi, è che non si contesta un articolo ma un giornale intero. Una scrittrice, una editorialista, due giornaliste sono accusate insieme al direttore di aver concorso alla diffamazione che si dedurrebbe dal complesso generale dei loro scritti. È l’insieme che non gli piace. È il giornale: la sua linea, il suo tono.

Chiedere un milione per ogni numero suona come un avvertimento: potrebbe farlo ogni giorno. Non vuole giustizia in sede penale, non gli interessa stabilire se quegli articoli riferiscano il vero. Vuole soldi. Minaccia di chiederne così tanti da ridurci al silenzio. Non accadrà, se accadesse sarà per sua mano. Come durante il fascismo, come quando la censura imponeva i sigilli.

È venuto il momento non solo di una grande mobilitazione, necessaria ma non sufficiente. È il momento di opporre allo strapotere dei soldi la politica, che sia quella l’argine al declino della democrazia. È anche venuto il momento, cari cittadini, di sostenere con forza rinnovata chi si sottrae alla logica del plutocrate. Di dare più forza alle voci del dissenso, ogni giorno. Non tanto e non solo per noi, che dal 1924 abbiamo conosciuto stagioni peggiori. Per tutti, per l’Italia che verrà.


L’obiettivo di Silvio: scatenare l’offensiva prima che sia tardi

Attacco alla libera stampa per prevenire altre inchieste, nuovi scandali e processi delicati come per Dell’Utri. Con un pool di direttori fedeli e senza paura

di Rinaldo Gianola (l’Unità, 02.09.2009)

Milano, agosto 2009. La calura è insopportabile, tutto pare immobile. Tranne nel quartiere generale di Silvio Berlusconi dove si prepara la campagna d’autunno. Una sera, casualmente, Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, le due stelle del giornalismo di destra ingaggiate con contratti che nemmeno Ronaldinho..., si incontrano al Matarel, ristorante milanese per uomini di potere con lo stomaco forte e la passione per la cassoeula. I due sono bergamaschi, gente di poche e chiare parole, anche un po’ incazzosi quando è il caso. Si stringono la mano, poche battute, qualche augurio, forse l’impegno a non farsi del male e via.

l’ombra di Feltri, poi si è emancipato pare dopo qualche vaffan...di evidente stampo padano. Sono i beneficiati, un po’ invidiati, del mercato estivo dei giornalisti. Mentre i quotidiani grandi e piccoli sono in difficoltà, nei giornali di destra volano quattrini e assunzioni. Feltri e Belpietro sono le star di questa campagna acquisti. Il primo lascia Libero, edito dagli Angelucci, per tornare alla direzione del Giornale, l’ex creatura di Indro Montanelli che chissà cosa direbbe oggi. Belpietro, invece, molla Panorama, settimanale una volta perla della Mondadori dove viene piazzato un fedelissimo di Cesare Previti: Giorgio Mulè, e si trasferisce a Libero al posto dell’amico. Il regista è Silvio Berlusconi il quale riceve Belpietro e gli garantisce il mantenimento della sua trasmissione mattutina su Canale 5. Una concessione che fa incavolare Feltri che vorrebbe, pure lui, una bella finestra televisiva.

Lo spostamento dei direttori della carta stampata di destra è complementare con le nuove direzioni al Tg1 e al Tg2 dove Berlusconi ha promosso Augusto Minzolini e Mario Orfeo, naturalmente con il voto favorevole del presidente di garanzia, Paolo Garimberti. Berlusconi vuole mettere la sordina alla storia del divorzio dalla moglie Veronica, non ne può più di farsi chiamare «Papi», non sopporta la Patrizia e quelle amiche che entrano a palazzo Grazioli e scattano foto e registrano le conversazioni private. E poi ci sono quei rompiballe di Repubblica con la storia delle dieci domande che finiscono sulla stampa straniera. Bisogna passare all’attacco, preparare in anticipo l’autunno che si annuncia denso di prove impegnative. Nell’entourage del premier si teme che ci siano in giro altre fotografie, altre conversazioni compromettenti. Forse qualche inchiesta di una magistratura non ancora normalizzata. Si temono le critiche della Chiesa. Questo stillicidio deve finire. C’è bisogno di direttori fidati e senza paura perché l’autunno sarà impegnativo non solo per Berlusconi, ma anche per i suoi amici, come il senatore bibliofilo Dell’Utri che attende il nuovo processo dopo la prima condanna per mafia. Roba pesante che deve essere maneggiata da uomini esperti. Berlusconi vuole reagire subito, portare la guerra nel campo avversario, minacciare e sanzionare la libera stampa e chi non si adegua. Feltri e Belpietro partono subito in quarta, pienamente allineati con la linea Berlusconi. Belpietro si scatena sulla famiglia Agnelli, Feltri si supera e giganteggia con il caso Boffo-Avvenire che nemmeno il suo amico l’agente Betulla, il parlamentare Farina, avrebbe saputo fare meglio. Si rovista a piene mani nelle vicende personali e familiari, comprese le modalità di acquisto di un’abitazione da parte del direttore di Repubblica, Ezio Mauro. Ma siamo solo all’inizio, girano voci su nuovi filoni «d’inchiesta» di Feltri e Belpietro come certi viaggi all inclusive con noti imprenditori e direttori di giornali. A ognuno il suo.

A noi dell’Unità è toccata una richiesta danni di tre milioni da parte del premier perché non ha gradito i nostri articoli. In tempi normali sarebbe una medaglia al valore. Oggi, invece, è una vera minaccia: bisogna vedere se ce la caviamo❖


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