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FILOLOGIA E TEOLOGIA. A KAROL WOJTYLA, IN MEMORIA. "Se mi sbalio, mi corigerete" (Giovanni Paolo II)

PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga - a cura di Federico La Sala

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
mercoledì 25 settembre 2013
«Se una società basata sul mito della produttività ha bisogno di uomini a metà - fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà - vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla» (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Einaudi, Torino 1973, p. 171).
Deus charitas est: et qui manet in charitate, in Deo manet, et Deus in eo (1 Gv., 4.16).
SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS (...)

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> PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI --- Luciano di Samosata, "Una storia vera e altre storie scelte da Alberto Savinio".

domenica 9 dicembre 2018

Gli storici, questi mentitori. Torna il Luciano di Savinio

di Andrea Santurbano (Alfabeta-2, 02.12.2018)

      • Luciano di SamosataUna storia vera e altre storie scelte da Alberto Savinio
      • traduzione di Luigi Settembrini, introduzione, note e illustrazioni di Alberto Savinio, Adelphi, 2018, 386 pp. Con 50 illustrazioni b/n, € 14

La verità greca ha tremato un tempo con l’affermazione «io mento», ricorda Michel Foucault nel Pensiero del fuori, riferendosi al noto paradosso del mentitore di Epimenide, secondo cui tutti i cretesi sarebbero bugiardi, compreso il cretese che, nel dir questo, pretende di affermare il vero. Luciano di Samosata, che della civiltà greca ed ellenistica poteva ormai osservare l’epilogo dall’alto del II sec. d. C., può aggiustare il tiro: «giacché non ho a contar niente di vero [...], mi sono rivolto a una bugia, che è molto più ragionevole delle altre, ché almeno dirò questa sola verità, che io dirò la bugia». Quanto mai opportuno, dunque, appare oggi, in epoca di fake news, recuperare un classico impolverato dal tempo, di Luciano appunto, Una storia vera e altre storie scelte da Alberto Savinio, libro apparso per la prima volta nel 1944, da Bompiani, e ora riproposto da Adelphi. E già, non poteva essere che Savinio l’artefice di tale riscoperta, in anni, tra l’altro, che lo vedevano impegnato nella stesura di articoli, poi riuniti in Nuova enciclopedia (opera anch’essa riproposta da Adelphi, lo scorso anno), in cui non manca di esprimersi al riguardo con la sua consueta, funambolica arguzia: «Il difetto maggiore e la profonda immoralità dei regimi assolutistici come di ogni condizione assolutistica, è il principio della ‘verità unica’. Mentre si sa che la verità umana, la verità nostra, la verità ‘vera’ è fatta di vero e di falso: più di falso che di vero».

In realtà, è difficile distinguere a chi appartenga la paternità del volume: se Kafka, come vuole Borges, altro maestro di paradossi, avrebbe prodotto retroattivamente lo scrivano Bartleby, non è fuori luogo affermare che Savinio abbia prodotto retroattivamente questi scritti di Luciano. Ci si trova di fronte, infatti, a una lettura nella lettura: si legge Luciano ma si legge Savinio, che nell’introduzione lascia che sia lo stesso Luciano a raccontare la sua storia - questa sì, presumibilmente vera - alla maniera di un’«intervista impossibile». E non bisogna dimenticare la modernissima traduzione di Luigi Settembrini, realizzata durante la prigionia sull’isola di Santo Stefano (1851-59) per cospirazione contro il regime borbonico (anni in cui - o forse più tardi, ma il discorso non cambia molto - il serio letterato scrisse, probabilmente suggestionato da questa stessa traduzione, la breve favola omoerotica dei Neoplatonici, rinvenuta solo nel 1937, che Croce avrebbe considerato una «caduta» del maestro e di cui invece Giorgio Manganelli accompagnerà con un memorabile scritto la prima edizione nel 1977). Savinio, nella nuova edizione, si premura appena di «rinettare» questa versione di pochissimi arcaismi, considerandola bella, fedele e minuziosa.

Ma si diceva, insomma, di una polifonia di fondo; di un dialogo a tre, neanche troppo tenero, spesso spassoso, in cui Settembrini fa più compuntamente da esegeta al testo, mentre Savinio, teppisticamente, usa le note da contrappunto, per vivaci commenti o per libere divagazioni. Ne è esempio il dialogo Il Menippo o la negromanzia, in cui Savinio apre le danze chiamando in causa Settembrini: «Nota, o lettore, il modo “filologico” col quale è usato qui l’aggettivo indifferente: è a simili finezze che si riconosce l’eccellenza di questa versione dal greco»; Luciano, da parte sua, si lancia in uno dei suoi contundenti attacchi: «manda alla malora i filosofi e i loro sillogismi, ché son tutte sciocchezze; e attendi solo a questo, usare bene del presente, passare ridendo sopra molte cose, non dare importanza a nulla»; al che segue la pungente reazione di Savinio: «Peccato che questo dialogo così spiritoso finisca in una così povera morale. Questo purtroppo è il lato debole degli spiriti liberi: Luciano, Voltaire... Tra libertà di spirito e sciocchezza il passo è breve: troppo spesso gli spiriti liberi fanno il passo oltre il limite»; ma subito dopo Settembrini riporta la calma con una precisazione da par suo: «Livadia, città di Beozia, dov’era il tempio, anzi l’antro di Trofonio».

Proviamo per un attimo anche noi, allora, a riportare tutto sotto controllo. Una storia vera e altre storie si divide in due sezioni: «Dialoghi e saggi» e «Una storia vera e altre opere». Dei dialoghi soprattutto si sa quanto abbiano, e dichiaratamente, influenzato le Operette morali di Leopardi. Ma è tutta la silloge a rappresentare uno scrigno prezioso, a partire dal meraviglioso «trattatello storico-didascalico» Della dea Siria e dalla stessa Una storia vera, viaggio fintamente autobiografico che rivisita tradizione mitologica, storica e odeporica, tra battaglie interplanetarie fra Lunari e Solari (una sorta di Guerre Stellari ante litteram) e mesi vissuti nella pancia di una balena (Collodi, come Savinio suggerisce, doveva aver letto questa storia!). E poi l’incontro vis-à-vis, durante le peripezie marittime, con filosofi e personaggi di quel grande universo della cultura greca, fatta oggetto di ironia, ancorché venata di affetto, perché l’ironia, come puntualizza Savinio nell’introduzione, «- e qui io parlo anche per me e lo dico alle orecchie fini - [...] è una forma di amore indiretto: è l’amore più pudico, l’amore più geloso».

Quel che non smette di sorprendere in un autore come Luciano di Samosata, ancora oggi, sono tuttavia i tanti spunti, quella sorte di immagini dialettiche che continueranno a brillare nei secoli a venire in materia di critica letteraria o di rapporti tra storia e letteratura. Per esempio, in una Storia vera è già chiamata in causa l’«intenzionalità» dell’autore. A domanda specifica, «E perché cominciasti da quel Cantami l’ira?», Omero, fattosi personaggio e già satireggiato in altro passo, risponde: «Perché così mi venne in capo: credi tu che ci pensavo?». Verrebbe addirittura da chiedersi: ma chi scrive, Luciano o Savinio? O ancora, sul finale, giunge la stoccata agli storici, relegati in una specie di girone infernale: «le pene più gravi sono date ai bugiardi e specialmente agli storici che non scrivono la verità, come Ctesia di Cnido, Erodoto, e altri molti».

Ancorché in forma di satira, dunque, è già messo sotto accusa lo statuto di verità della storia, prima di Marc Bloch, e prima dei vari Michel de Certeau, Roger Chartier e Carlo Ginzburg che finiscono col fare i conti con un dilemma evidente: l’esigenza di organizzarsi secondo un ordine diegetico, che muove evidentemente da categorie retoriche e narrative proprie della letteratura, la quale però non è obbligata a stringere compromessi con un’esigenza di veridicità, non farebbe anche della storia un «racconto»? Jacques Rancière non esita addirittura a reclamare un’esigenza opposta, quando afferma che «il reale deve essere reso finzione per poter essere pensato».

Anche in questo caso risulta complice, dunque, il dialogo Luciano-Savinio: provvedendo alla demolizione di rigide frontiere narrative, compreso quell’autobiografismo impastato anch’esso dall’ibridismo dei generi scritturali, che nel secondo (sarà bene ricordare, nato e cresciuto in Grecia) sfocerà in un continuo gioco di rimandi e dissimulazioni, di ricordi e libere associazioni (ri)creative: da Tragedia dell’infanzia a Dico a te, Clio, da Narrate, uomini, la vostra storia a Infanzia di Nivasio Dolcemare.

Discorso a parte meritano infine le illustrazioni di Savinio che impreziosiscono il volume. Quell’animismo metamorfico, suo marchio di fabbrica, che insuffla vita agli oggetti e rapprende gli esseri umani in forme materiche, animali o vegetali, trova nelle mirabolanti narrazioni di Luciano un terreno fertilissimo d’ispirazione. Insomma, nel rileggere questo libro si entra nel vivo di quell’idea di anacronismo suggerita da Georges Didi-Huberman: un palpitare, un metodo, un montaggio vivo e fecondo di tempi diversi, e non quel tremendo peccato inviso agli storici. Gli storici, già, ancora loro.

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3 risposte a “Gli storici, questi mentitori. Torna il Luciano di Savinio”:

      • 1)

CHE BELLA STORIA, QUELLA DEL PAESE DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA.... *

SE “La verità greca ha tremato un tempo con l’affermazione «io mento»”, COME “ricorda Michel Foucault nel *Pensiero del fuori*, riferendosi al noto paradosso del mentitore di Epimenide, secondo cui tutti i cretesi sarebbero bugiardi, compreso il cretese che, nel dir questo, pretende di affermare il vero”, OGGI NON SOLO “la verità greca”, MA la stessa verità planetaria trema e sollecita a NARRARE ancora e sempre UNA STORIA VERA ....

EPIMENIDE (con questo nome è rimasto nella storia, come persona degna di essere ricordata per la sopravvivenza della stessa isola), indignato contro i suoi stessi concittadini (che evidentemente lo accusavano di chissà quali malefatte), fece il primo passo nella terra della post-verità, e gridò infuriato: “Tutti i cretesi mentono”! Se molti risero, altrettanto molti lo applaudirono.

Qualche anno dopo, sempre in quell’isola, ci furono le elezioni: tra i partiti (quello che la storia non ci ha tramandato) comparve uno strano partito, con il nome “Forza Creta”, e il leader era proprio il vecchio EPIMENIDE!

CONQUISTATO IL POTERE legalmente, IL SUO GRIDO AI pochi CRETESI CHE AVEVANO RISO DELLA SUA “BATTUTA” FU QUASI SIMILE A QUELLO DI BRENNO CONTRO I ROMANI SORPRESI NEL SONNO, ANZI, NEL SONNAMBULISMO: “GUAI AI VINTI”!

SOLO CHE A ROMA CI FURONO LE OCHE CHE SVEGLIARONO UN POCO tutti e tutte E I GALLI FURONO CACCIATI, MA A CRETA ALLA FINE NESSUNO PIU’ OSO’ RIDERE E ... “TUTTI I CRETESI MENTONO” ANCORA!!! A MEMORIA (E A VERGOGNA) ETERNA.

*

Sul tema, mi sia consentito, si cfr.:

L’APOLOGIA DEL MENTITORE ISTITUZIONALIZZATO E LA FILOSOFIA ITALIANA

L’IDENTITA’ DELL’ITALIA E IL SONNAMBULISMO DEI FILOSOFI, DI FRONTE ALL’ATTACCO DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA.

KANT E GRAMSCI. PER LA CRITICA DELL’IDEOLOGIA DELL’UOMO SUPREMO E DEL SUPERUOMO D’APPENDICE..

      • 2)

P.S. - COME LA FANNO “TRAGICA”, questi STORICI. Ecco “come si deve scrivere la storia...” *

“Così dunque deve essere per me lo storico: impavido, incorruttibile, libero, amante della franchezza e della verità, e come dice IL COMICO, capace di chiamare i fichi, fichi, e la barca, barca, di non risparmiare o concedere nulla per odio o per amicizia; non deve avere riguardo, pietà, vergogna, o paura; sia un giudice imparziale, benevolo verso tutti ma non al punto di concedere a nessuno più di quel che gli è dovuto; nelle proprie opere deve essere straniero, senza patria, indipendente da ogni potere, uno che non calcola che cosa ne penserà l’uno o l’altro ma che racconta i fatti così come sono accaduti. [...]”

* Luciano di Samosata, “Come si deve scrivere la storia”.

      • 3)

N.B.! - STORIA, STORIOGRAFIA, E “COMICITÀ”....

Per non sottovalutare l’importanza della indicazione di Luciano sul “come si deve scrivere la storia”, e non pensare che Benedetto Croce (“Perché non possiamo non dirci «cristiani»”, 20 nov. 1942), come Mario Perniola (“Perché non posso non dirmi «cattolico»”: “Del sentire cattolico. la forma culturale di una religione universale”, 2001), si sia “rincristianito per dispetto” ( don Giuseppe De Luca al Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai, per un commento su “Critica Fascista” del 1° genn. 1943, al testo di Croce), è bene “guardare la luna” e non “il dito”, e ricordare che

      • “Prima dell’illuminazione, una montagna è una montagna. Durante l’illuminazione, una montagna non è una montagna; dopo l’illuminazione, una montagna è di nuovo una montagna!”.

Pur se sia Croce sia Perniola, in cammino sulla strada di Luciano (non di Heidegger), siano rimasti intrappolati nell’orizzonte degli storici “mentitori”, a loro del lavoro di Dante come di Kant e Nietzsche e Freud molto è sfuggito, non per questo bisogna arrendersi alla “tragedia” e a vivere prima della “commedia” - in una “storia” senza “comicità”, nella “preistoria”!

Dico a Te, Clio”. Narrate, uomini e donne, la vostra storia - comicamente...

SUL TEMA, mi sia lecito, cfr. CROCE “CRISTIANO” , VICO “ATEO”, E L’UOMO DELLA PROVVIDENZA;

“PERVERSIONI” di Sergio Benvenuto. UN CORAGGIOSO PASSO AL DI LA’ DELL’EDIPO.

Federico La Sala


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