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DONNE, UOMINI, E L’USCITA DA INTERI MILLENNI DI "PREISTORIA" E DI "LABIRINTO". A ELVIO FACHINELLI (1928-1989), per il ventennale della morte.

LA GABBIA E IL "FILO D’ORO" DI ELVIO FACHINELLI. LE AMARE RIFLESSIONI DI LEA MELANDRI, IL CORAGGIO DI P.A. ROVATTI, E IL RISVEGLIO DI DON PAOLO FARINELLA. Materiali per riprendere a pensare in modo "inattuale" - a cura di Federico La Sala

IL VECCHIO E NUOVO FASCISMO, E "LA FRECCIA FERMA". LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE E LA FINE DELLA CLAUSTROFILIA.
venerdì 18 settembre 2009
LA DECAPITAZIONE DI OLOFERNE E LA FINE DELLA CLAUSTROFILIA. UN OMAGGIO A ELVIO FACHINELLI.
Una nota sull’importanza della sua ultima coraggiosa opera
DAL "CHE COSA" AL "CHI": TRACCE PER UNA NUOVA ERMENEUTICA.
VITA E FILOSOFIA. Per il ventennale della morte di Elvio Fachinelli ((1928-1989).
METTERSI IN GIOCO, CORAGGIOSAMENTE. PIER ALDO ROVATTI INCONTRA ELVIO FACHINELLI.
CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Da Emilio Garroni, una sollecitazione a (...)

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> LA GABBIA E IL "FILO D’ORO" DI ELVIO FACHINELLI. --- LA SUA ERA UNA GRAZIA RIVOLUZIONARIA, INTRAMONTABILE (di Paulo Barone).

sabato 19 dicembre 2009

Fachinelli

LA SUA ERA UNA GRAZIA RIVOLUZIONARIA INTRAMONTABILE

di Paulo Barone (il manifesto, 18.12.2009)

A vent’anni dalla morte, la figura di un ineguagliabile protagonista della psicoanalisi, capace di tradurre il suo sapere teorico in una serie di distinzioni vitali tra ideologia e teoria, individuo e collettività, bisogno e desiderio

Quando se ne parla, raramente il nome di Fachinelli circola da solo, con il semplice, puntuale riferimento ai suoi scritti. Quasi sempre si avverte la necessità di farlo subito seguire da una specie di sottotitolo, da una ulteriore, lapidaria indicazione, da una sorta di avvertenza preliminare. Di solito questa nota di accompagnamento recita: una voce isolata, originale, «inattuale».

L’ambiguità di questa formula accattivante è palese. Mentre da un lato sembra celebrarla, dall’altro essa corre il rischio di estrometterla anticipatamente da ogni forma di ascolto, e, nei fatti, di zittirla. Difficile, tuttavia, stabilire con certezza se la sorte toccata al pensiero di Fachinelli - a venti anni dalla morte - sia stata effettivamente quella di una dorata sepoltura (alla odierna confusione generale, infatti, il laboratorio italiano aggiunge - come già nel fascismo - una quota di decomposizione tutta speciale). Comunque sia, la presunta eccentricità di Fachinelli è presto detta.

Elogio della frattura

Il suo primo libro, per esempio, Il bambino dalle uova d’oro, lascia ammirati tanta è la ricchezza dei temi, degli autori, degli incroci, presentati. Nato come raccolta di interventi pubblicati dal 1965 in varie sedi (tra cui Il corpo, Quaderni piacentini, L’erba voglio), ospita inediti d’eccezione, tradotti allora per la prima volta dallo stesso Fachinelli: La negazione di Freud, Materialismo dialettico e psicoanalisi di Reich, Programma per un teatro proletario di bambini di Benjamin. Vi compare un testo di una giovane psicotica, Rose Thé, il resoconto della partecipazione a un contro-corso universitario tenuto a Trento nel ’68 sul senso del «gruppo»; le riflessioni sull’esperienza dell’asilo autogestito di Porta Ticinese a Milano; certe incursioni in Jung e Lacan. Ma che cos’è che - al di là di quella irripetibile stagione sociale, politica, culturale di cui il libro è di sicuro espressione - gli permette di intrecciare, in modo così inconsueto e per così dire naturale, sottili ragionamenti teorici e il testo di una psicotica, il fenomeno del travestitismo e l’osservazione dei bambini, il corpo e i movimenti di contestazione? Di condensare, insomma, così tanta aria, così tanto mondo? La risposta più convincente e promettente va rintracciata nella «premessa» del libro (sempre le «premesse» di Fachinelli anticipano, in modo fulmineo, la chiave operativa del lavoro poi svolto), laddove si parla di un «libro fratturato», «che non cela le proprie fratture».

È dunque l’idea di frattura, di interruzione, l’operatore segreto (e costante sino alla fine) che consente a Fachinelli di distinguere, per esempio, ideologia e teoria, individuo e collettivo, bisogno e desiderio, rompendo quel blocco tradizionale di sapere (e di potere) che tiene invece ogni coppia divisa in due, salvo poi saldare meccanicamente l’un termine all’altro e congelare così l’esperienza. Persino marxismo e psicoanalisi finiscono con l’alimentare un simile blocco. Il primo impigliato nell’idea di un «progressismo a vapore», secondo cui gli individui seguiranno il «Cammino della Storia» e l’uomo nuovo nascerà con l’avvento del socialismo; la seconda diventata una specie di «nebulosa in continua espansione», che penetra in ogni fessura della «società industriale avanzata», inaspettatamente chiamata a ricucirne gli strappi tramite «risposte» più o meno rassicuranti che assecondano la tendenza, già prevalente, alla passività e alla soggezione. Ma per Fachinelli, a caratterizzare davvero l’esperienza, a renderla vitale e degna di questo nome, è quel po’ di novità, di creatività, di grazia rivoluzionaria che essa contiene. Dunque qualcosa di precario, di fragile, che rischia velocemente di degenerare, di andare perduto. Qualcosa, perciò, che uno sguardo teorico autentico, orientato a una determinata pratica, riesce a cogliere solo di sfuggita, aporeticamente, come un elemento anomalo, marginale, «irregolare e aritmico», come un punto vuoto, un che di letteralmente incollocabile, utopico, «senza fissa dimora».

Se c’è un magnete che attrae, e intorno a cui gravita, l’intera ricerca di Fachinelli, sino alle tesi più controverse dell’ultimo libro La mente estatica, esso è costituito proprio da questo elemento sfuggente, incontenibile. Per rivendicarne l’esistenza non occorre far ricorso a un ottimismo di maniera, che minimizza la spietata insensatezza delle cose. Sebbene tutto nella vita pare soggetto a ripetersi, a riprodurre con dolorosa monotonia certi traumi iniziali, Fachinelli - lavorando a fondo sul Freud dell’Al di là del principio di piacere - mostra come alla radice della ripetizione viga un paradosso irresolubile, in base al quale, accanto alle repliche cieche e alle versioni ridotte, sta anche l’opportunità - magari solo istantanea - di una ripresa, di un’alternativa, di una variazione del tema.

Si chiarisce così che tale nucleo incandescente dell’esperienza è sempre più una questione di tempo. Ma mentre da principio Fachinelli lascia intendere che a pregiudicarne il libero accesso sarebbero tutte quelle pratiche che si istituzionalizzano provando a inscriverlo in una serie e a organizzarlo in una trama, via via egli propenderà per l’idea di una sua ingestibilità, completa e radicale. Nella Freccia ferma egli ci indica vari modi di annullare - appunto - il tempo: quello contrappuntistico dell’individuo ossessivo, quello circolare della società arcaica, quello mortifero del fascismo; e, in Claustrofilia, quello interminabilmente allungato e sostanzialmente immobile della pratica psicoanalitica. Eppure, proprio dalla correlazione di queste differenti modalità temporali risulta non più sostenibile il proposito di ordinarle secondo una loro presunta gerarchia di valore (dal meno del tempo statico-regressivo del primitivo al più del tempo dinamico-progressivo del moderno) o secondo un loro puro avvicendamento storico. Queste opposte fisionomie temporali tendono piuttosto a concomitare in un apice intensivo, in una micro-oscillazione sacra ed estatica del tempo.

L’iperbole conclusiva

Per accedere a un simile tempuscolo può bastare una «teoria del discontinuo»? Quale vita potrebbe uscirne cambiata se è la vita stessa - una vita qualsiasi nella sua durata estensiva, nel suo ordinario tessuto narrativo - a perdere intrinsecamente la possibilità di questo contatto? Non è tutta la nostra cultura programmaticamente orientata a rafforzarci, a erigere delle difese nei confronti di ciò che estraneo e sconosciuto, a puntare sull’Io, a farci scambiare l’eccesso di gioia con il dolore e la paura? Una gioia in eccesso sganciata dalle religioni, dall’eternità, da qualunque forma di continuità.

Un’illuminazione profana collegata invece con l’effimero, con la recettività, l’accoglimento, la creatività. Fedele alle sue premesse, il tragitto di Fachinelli si conclude all’insù, come un’iperbole, con una sfida tanto impossibile quanto improrogabile. Bizzarro, in fondo, per un uomo del quale si può dire che fosse, al pari di Benjamin, «sensibile alle speranze come un reumatico alle correnti d’aria».


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