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SE BERLUSCONI SI FINGE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (1994) E TUTTI E TUTTE STANNO ANCORA AL SUO SPORCO "GIOCO", SIGNIFICA CHE L’ "ITALIA" HA FATTO E FARA’ LA FINE DELLA ... VECCHIA "TROIA". - Lezione dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti: Se un cittadino-sovrano, una cittadina-sovrana, "pecora si fa, il lupo se la mangia"!!!

L’ITALIA, SEDOTTA E MASSACRATA, MUORE COME LA VECCHIA "TROIA"!!! IL COLTELLO DEL POTERE. Una nota di Giuseppe D’Avanzo - a cura di Federico La Sala

CEDUTA LA "PAROLA" (1994) E CANCELLATA LA DIFFERENZA TRA LA VERITA’ ("ITALIA") E LA MENZOGNA ("FORZA ITALIA"), L’ ITALIA E’ GIUNTA AL CAPOLINEA ... CHE GRANDE "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!
martedì 15 settembre 2009
[...] Oggi, Berlusconi non reclama più nemmeno la legittimità di quel potere. Preferisce mostrarne, senza alcuna finzione ideologica, con immediata concretezza, soltanto la violenza pura. Gli interessa soltanto alimentare l’efficienza di una macchina di potere che non vive di idee, progetti, discussioni, riforme, alterità, ma di brutalità, imperio, conformismo e terrore. Quel che si intravede è un uomo solo, circondato da cattivi consiglieri, prigioniero di una sindrome narcisistica, (...)

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> L’ITALIA, SEDOTTA E MASSACRATA, MUORE COME LA VECCHIA "TROIA"!!! --- I sospetti del Cavaliere: "C’è chi ha messo in gioco la fine del berlusconismo" (di Claudio Tito).

giovedì 27 maggio 2010


-  IL RETROSCENA

"Hanno tentato di farmi fuori" i sospetti del Cavaliere

-  Berlusconi teme un accordo contro di lui da parte di Tremonti, la Lega e i poteri forti.
-  "C’è chi ha messo in gioco la fine del berlusconismo"

-  di CLAUDIO TITO *

"C’E’ QUALCUNO che stavolta sta giocando davvero contro di me". Trentasei ore vissute sull’onda dei sospetti. Ogni parola letta in controluce. E gli "alleati più leali" che si rivelano "non più affidabili". Per Silvio Berlusconi non si è trattato solo di discutere la manovra economica "più pesante della mia vita", ma anche di rivedere la gerarchia delle alleanze. Di allontanare i sospetti del "complotto". Riformulare le amicizie dentro il governo.

A cominciare dal rapporto con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e con la Lega di Umberto Bossi. E già, perché dietro ogni singola misura, si è giocato qualcosa di più di una semplice battaglia sui numeri. Come ha ripetuto ieri mattina lo stesso Cavaliere, "è stato messo in gioco il "berlusconismo"". E i protagonisti non sono stati solo il titolare del Tesoro e il sottosegretario Letta, Bossi e Gianfranco Fini. Secondo il premier, si sono improvvisamente attivate le lobby più potenti. Quei "poteri forti" che hanno cercato di coagularsi intorno ai protagonisti della vicenda. "Per farmi fuori, per preparare un altro governo, per profilare un’emergenza nazionale". L’ombra del "complotto", insomma, che ha innervosito il presidente del consiglio e che si è stesa persino sul "socio" più leale: il Senatur.

Da tempo, del resto, molti ministri hanno seguito il braccio di ferro tra Letta e il capo del Tesoro, come la rappresentazione plastica di un duello più ampio. Con il sottosegretario spalleggiato dall’uomo forte della finanza, Cesare Geronzi, una parte della gerarchia ecclesiastica e dai giornali d’area che in questi giorni hanno infatti agitato lo spauracchio di un esecutivo tecnico. Con Tremonti, invece, sostenuto dalla Lega, da alcune banche del nord, da una parte della Finanza cattolica che nel mondo tremontiano ha le sembianze di Ettore Gotti Tedeschi, presidente del potentissimo Ior, e da settori del centrosinistra. Uno scontro nel quale Berlusconi ha sempre svolto la parte dell’arbitro, ma che ora teme di non poter più controllare. "Forse - è stata la sua riflessione - qualcuno pensa di poter cambiare la posta".

Infatti, nonostante l’armistizio firmato in extremis, il capo del governo è stato durissimo con il ministro dell’Economia. "Giulio - ha ripetuto anche ieri sera il Cavaliere - ha costruito la manovra come se volesse smentire tutto quello che ho fatto in questi anni". Non solo. Tutti provvedimenti, a suo giudizio, sono stati concordati solo con i Lumbard, e in particolare con il ministro Roberto Calderoli, scatenando le ire di tutti gli altri dicasteri. Ma soprattutto il premier ha scorto un obiettivo ben preciso: "Hanno calcato la mano - si è lamentato - per mettere al riparo il federalismo fiscale. Pensano che l’Ue non accetterebbe la riforma federalista se prima non diamo garanzie sui conti. Ma i progetti della Lega non possono venire prima di tutto il resto".

Il suo dubbio, dunque, è che il pacchetto "tremontiano" contenga in sé una sorta di "tesoretto" da utilizzare proprio per il federalismo fiscale. Sospetti che il titolare di Via XX Settembre ha respinto con decisione. Lo ha fatto l’altro ieri nell’ufficio di Berlusconi a Palazzo Chigi e lo ha ripetuto ieri prima della conferenza stampa congiunta. "Senza un intervento rapido, salta tutto: mi sono mosso su una linea molto delicata. Dopo quel che è accaduto in Grecia, dovevamo dare un segnale ai mercati. Lo faccio per il bene di tutti. Il mio rigore non ha altre ragioni se non la stabilità finanziaria del Paese e il suo futuro".

Eppure nella cena di martedì sera a Via del Plebiscito, Berlusconi ha sentito parlare l’intero stato maggiore leghista solo ed esclusivamente di federalismo fiscale. Ha ascoltato il Senatur definirlo "un’occasione da non perdere". Tant’è che proprio negli ultimi giorni ha provato ad accorciare le distanze con Fini. Una mossa tattica. Per frenare l’irruenza del Carroccio, ha rispolverato il "vecchio" alleato. "Se fate così - è stata la mossa compiuta con Bossi - cosa dico a Fini?". Ha persino incontrato l’odiato finiano Italo Bocchino e riesumato la commissione sui costi del federalismo suggerita dall’ex leader di An e che concluderà i lavori a fine giugno. Una sponda che stavolta Fini ha colto. Ma non per siglare la pace - "niente sarà più come prima" - bensì per dimostrare di avere ragione quando si lamenta che "il governo è a trazione leghista".

Sta di fatto, che fino al ritorno di Napolitano in Italia le misure verranno ulteriormente limate. Il premier ha imposto di alzare il tetto per la tracciabilità, ha elevare la soglia per imporre la tassa del 10% sugli stipendi pubblici (sopra i 150 mila euro) e ha reclamato di rinviare la cancellazione delle province. Tutti emendamenti che Tremonti sta apportando al suo testo. In più, ha imposto al suo ministro le parole d’ordine con cui presentare la manovra: "non siamo in recessione", "facciamo tutto per colpa della Grecia", "le tasse le abbasseremo". Ma il feeling tra i due sembra definitivamente rotto. E tutti se ne sono accorti martedì sera quando il Cavaliere, nella riunione a Via del Plebiscito, si è improvvisamente bloccato e lanciato un’occhiataccia di fuoco al ministro che gli sedeva accanto: "Giulio, perché scrivi quello che dico?". "Mi segno le barzellette che racconti".

* la Repubblica, 27 maggio 2010


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