di Mirella Camera
in “a latere...” (http://alatere.myblog.it) del 13 febbraio 2013
Questo versetto del Salmo 61, stupenda apertura alla vastità della comprensione a cui Dio ci chiama e perentorio invito all’uso della nostra libertà, secondo me può illustrare a meraviglia perché oggi Benedetto XVI sia un testimone eroico e coraggioso, nell’interrompere il suo ministero prima che esso possa venire devastato dalla mancanza “del vigore del corpo e dell’animo”, nello stesso modo in cui Giovanni Paolo II è stato un testimone eroico e coraggioso nel portare avanti il suo ministero fin dentro all’estremo scandalo della sua malattia devastante.
Due scelte non solo diverse, ma addirittura opposte. E noi, abituati oramai da tempo alla logica del bipolarismo e della contrapposizione o, peggio, dello scontro a tutti i costi - perfino nelle cose dello spirito - rischiamo di rimanere disorientati.
Anche il timore di indulgere un po’ troppo al relativismo, il nuovo terribile peccato dei nostri tempi secondo Ratzinger, finisce per spingerci a trovare sempre un’unica, ortodossa chiave di lettura per i nostri giudizi e per i comportamenti degli altri.
Dunque, qual’è la scelta giusta? Chi ha fatto bene e - di conseguenza - chi ha sbagliato? Invece no. E’ assurdo contrapporre le due scelte e pretendere di trovare argomenti che ne giustifichino solo una, escludendo l’altra.
Il bello della vocazione umana è che non è una lista della spesa. Questo magari è quello che vorrebbero i Grandi Inquisitori di tutti i tempi: ti sollevano dal "peso" della libertà per evitarti la fatica del discernimento, ti dicono cosa fare e cosa non fare, ti depredano della tua responsabilità dicendoti che è un fardello troppo pesante, creano regole e dottrine come labirinti intorno alla coscienza in modo che alla fine, stremato, tu gliela consegni.
Ma la vocazione umana è un cammino verso il bene esercitato sempre e solo nella libertà di ciascuno.
In una recente omelia, un amico ha scritto:
Rabbi Bar di Radoschitz supplicò un giorno il suo maestro Rabbi Giacobbe di Lublino: "Indicami un cammino universale al servizio di Dio!": Ed il maestro rispose: "Non si tratta di dire all’uomo quale cammino deve percorrere, perché c’è una via in cui si segue Dio con lo studio e un’altra con la preghiera, una con il digiuno e un’altra mangiando. E’ compito di ogni uomo conoscere bene verso quale cammino lo attrae il proprio cuore e poi scegliere quello con tutte le forze".
Un discepolo chiese al Rabbi di Zloczow: "Quando la mia opera raggiungerà quella dei Padri Abramo, Isacco, Giacobbe?". Ed Egli rispose:"Ciascuno in Israele ha l’obbligo di riconoscere di essere l’unico al mondo: se infatti fosse già esistito un uomo identico a lui, egli non avrebbe motivo di essere al mondo. Ogni uomo è cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. Finché questo non accade, sarà ritardata la venuta del Messia".
Rabbi Sussja, in punto di morte, disse: "Nel mondo futuro non mi si chiederà perché non sono stato Mosè, ma perché non sono stato Sussja!".
Sembrerebbe semplice. E forse lo è, visto che i bambini ci riescono benissimo. Ma più si accumulano sovrastrutture sull’anima e sulla mente, più diventa difficile. E dopo ci vuole un vero lavoro di liberazione.
Figuriamoci per un papa, con addosso un fardello secolare di cultura esegetica, teologia, precettistica, dottrina, normative, protocolli e quant’altro. Senza contare fardelli più mondani come le opportunità “politiche”, il giudizio umano, l’incomprensione, le paure dello scandalo, la perdita del potere, il timore del cambiamento.
E forse, il peggio di tutto in questo caso, l’esempio eroico e recentissimo di un altro papa, che ha scelto di mostrare con coraggio la malattia, la decadenza e la debolezza umana per riscattarne la dignità di fronte a un mondo ostile verso tutto ciò che lo mette in crisi con domande spiacevoli, scomode e ultime.
Papa Ratzinger è riuscito a sciogliere questa montagna di legami e a disfarsi di tutte le sovrastrutture che gli stavano addosso. E persino a sottrarsi all’ultima tentazione, il paragone con la croce mirabilmente portata al suo predecessore.
Si è liberato e ha deciso di percorrere la sua via. Il teologo ha deposto la sua scienza, il papa si è spogliato dei panni del suo ruolo e l’uomo ha contemplato la realtà, semplicemente: non ce la faccio più, le forze mi mancano, sono vecchio. Il mare è in burrasca, le onde ci sbatacchiano. Devo passare la mano e affidare il timone a qualcun altro. Quel che posso fare ora è pregare (cosa non da poco). Grande Benedetto, questo tuo gesto di libertà finale è il più profondo insegnamento del tuo pontificato.