Inviare un messaggio

In risposta a:
MESSAGGIO CRISTIANO E TRADIMENTO STRUTTURALE. La chiesa non ha più il diritto di definirsi “cristiana”.

ABUSO DEL NOME DI "CRISTIANI". I vescovi cattolici tedeschi citati in giudizio. Non dovranno più definirsi cristiani. L’azione è portata avanti dai Cristiani liberi - a cura di Federico La Sala

domenica 27 settembre 2009 di Federico La Sala
[...] La domanda giudiziale era stata preceduta da una “diffida” rivolta a tutti i vescovi diocesani tedeschi, nella quale un teologo, un medico, due giornalisti e due giuristi avevano spiegato in modo dettagliato i motivi per i quali, dal loro punto di vista, la chiesa avrebbe perso il diritto di definirsi “cristiana”. In palese contraddizione con l’insegnamento di Gesù di Nazareth, essa accumulerebbe infatti potere e ricchezza (”mentre milioni di persone del (...)

In risposta a:

> ABUSO DEL NOME DI "CRISTIANI". ---- E ABUSO DEL NOME DI "“ALLAH”!!!

martedì 12 gennaio 2010


-   Violenze anticristiane in Malesia a proposito dell’uso del nome di “Allah”

-  di Stéphanie Le Bars (con Reuters)

-  Le Monde del 12 gennaio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

Si può considerare la parola araba “Allah” un’esclusività musulmana? Questa domanda apparentemente semantica suscita in Malesia, dall’inizio del 2010, delle tensioni interreligiose, che hanno indotto il governo ad intervenire nel dibattito.

Domenica 10 gennaio quattro chiese e un convento sono stati bersagli di attacchi e danneggiamenti. Già nella notte tra giovedì e venerdì tre luoghi di culto (due protestanti e uno cattolico) erano stati presi di mira da bombe incendiarie. E, all’uscita dalla grande preghiera del venerdì, diverse centinaia di musulmani avevano manifestato la loro opposizione all’utilizzo del termine “Allah” da parte dei cristiani.

Queste violenze sono legate alla polemica sull’uso della parola “Allah” da parte di non musulmani. La disputa è esplosa il 31 dicembre 2009, data nella quale l’Alta Corte della Malesia ha autorizzato un giornale cattolico, Herald-The catholic Weekly, edito in quattro lingue e con una tiratura di 14000 copie, ad usare questa parola per designare Dio.

Il giornale utilizza il termine “Allah” nella sua edizione destinata ai fedeli di lingua malese dell’isola di Borneo. Questo paese di 28 milioni di abitanti, in maggioranza musulmano e malese - il 60% della popolazione - conta anche una forte minoranza di cristiani (9% della popolazione, di cui 850 000 cattolici), di buddisti e di induisti, di origine cinese e indiana. La costituzione vi garantisce la libertà di culto.

Mentre nella maggior parte dei paesi di lingua araba la parola “Allah” designa sia la parola “dio” sia il Dio dell’islam, ed è utilizzato dai non musulmani, i musulmani malesi hanno ritenute che l’uso di questo termine da parte dei cristiani fosse suscettibile di creare confusione e di favorire il proselitismo. “Allah appartiene solo a noi”, scandivano dei fedeli all’uscita dalle moschee di Kuala Lampur, venerdì.

Di fronte al rischio di scontri tra comunità, il governo ha presentato appello contro la decisione della Corte e ottenuto, il 6 gennaio, la sospensione dell’autorizzazione concessa ai cristiani dall’Alta Giurisdizione. “Si tratta di una faccenda di interesse nazionale”, ha detto il procuratore generale per giustificare questa sospensione.

Nel suo appello, il governo del primo ministro, Najib Razak, al potere dall’aprile 2008, ha fatto riferimento ad una decisione dell’Alto Consiglio nazionale della fatwa del 2008, che statuiva che la parola “Allah” potesse essere utilizzata solo dai musulmani.

Dei membri dell’opposizione, in particolare il Pan-Malaysian Islamic Party, hanno accusato il partito al potere, l’Organizzazione nazionale malese unita (UMNO), di cercare di politicizzare l’argomento. Il primo ministro ha condannato gli attacchi di venerdì contro le Chiese e ha annunciato il rafforzamento della sicurezza attorno ai luoghi di culto cristiani. Sabato si è recato in una chiesa che aveva subito danneggiamenti. “L’islam ci proibisce di insultare o di distruggere tutte le altre religioni, sia fisicamente che attaccando i luoghi di culto”, ha dichiarato. Il suo appello alla calma evidentemente non è stato ascoltato.

Eletta con la più bassa percentuale della sua storia nel 2008, la coalizione è al potere da 52 anni. Le minoranze etniche e religiose denunciano regolarmente l’islamizzazione della società e le discriminazioni sociali di cui si dicono vittime. Padre Lawrence Andrew, direttore del giornale cattolico al centro di questa polemica, ha dichiarato venerdì che, anche se non c’era “pericolo immediato”, la situazione restava “preoccupante”.

In Vaticano, Monsignor Robert Sarah, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha espresso la sua inquietudine a Radio Vaticano: “Penso che esista realmente una volontà di annientare i cristiani, di ignorarli, di rifiutare di ammettere che hanno una fede in Dio. Il fatto che sia loro proibito pronunciare il nome di Dio equivale a considerarli dei pagani che quindi devono essere convertiti all’islam.”


Il grande assalto ai cristiani

di Giordano Stabile (La Stampa, 11 gennaio 2010)

Dall’Algeria alla Malaysia passando per l’Egitto, lungo un fronte immaginario lungo diecimila chilometri, le minoranze cristiane nei Paesi musulmani sono sotto attacco. Dopo la strage del Natale ortodosso a Luxor, nei giorni scorsi è stata la volta di Kuala Lumpur, dove le rappresaglie degli islamici contro in centri di culto cristiani sono state scatenate dal verdetto dell’Alta Corte che difendeva il diritto di un settimanale cristiano di usare la parola «Allah» per riferirsi a Dio.

La maggioranza musulmana, il 60 per cento della popolazione contro il 10 per cento di cristiani, lo ha considerato un’offesa gravissima. Venerdì tre chiese sono state attaccate nella capitale, altre sono state date alla fiamme sabato. Ieri, con le chiese della maggiori città presidiate massicciamente dalla polizia durante le messe della domenica, due bombe molotov sono state lanciate contro un convento cattolico e una chiesa anglicana di Taiping, nello stato di Perak, a 300 chilometri da Kuala Lumpur.

Il governo del premier Najib Razak - in cerca di consensi tra i non musulmani per farsi rieleggere nel 2013 - sembrava propenso ad autorizzare l’uso della parola Allah, come sinonimo di Dio, anche nelle celebrazioni dei culti non musulmani. Adesso il verdetto della Corte Suprema è sospeso, proprio per il ricorso presentato dall’esecutivo in difesa dell’esclusivo uso del termine da parte degli islamici.

Disquisizioni teologiche di questo tipo, in apparenza bizantine, sono cruciali in Paesi dove le minoranze religiose faticano a farsi accettare a pieno diritto. In Indonesia, ma anche in Siria e Egitto, l’uso della parola Allah da parte dei cristiani è già autorizzato. Ma mentre nei primi due l’integrazione sta migliorando, in Egitto la condizioni dei copti è drammatica. Secondo molti dei loro leader, il governo del presidente Hosni Mubarak li sta usando come valvola di sfogo per le tensioni sociali che attraversano un Paese sovrappopolato e con poche risorse, ormai fuori controllo.

Ieri la polizia egiziana ha arrestato 42 persone, 14 musulmani e 28 copti, con la accusa di aver fomentato i disordini dopo la strage nella chiesa di Baghorah, vicino a Luxor, nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, giorno di Natale secondo il calendario ortodosso seguito dai copti. Un esito paradossale: pagano i cristiani, dopo che otto di loro sono stati trucidati. Nessuno sviluppo, invece, nelle indagini sul commando che da una automobile aprì il fuoco con fucili mitragliatori sui fedeli, all’uscita dalla chiesa.

Secondo i copti, non c’è la volontà politica di arrivare ai colpevoli. «L’aggressione aveva un obiettivo ben diverso: l’assassinio del vescovo Kirillos . - accusa Ashraf Ramelah, presidente della Voice of Copts -. Kirillos si era rifiutato di accettare le "sedute di pace" organizzate dal governo dopo gli attacchi vandalici contro i beni dei cristiani. Voleva giustizia, non una riconciliazione che equivaleva a una resa». Secondo Ramellah, gli aggressori contro i copti non hanno mai avuto una condanna: «La legge dell’Islam indica che il musulmano non può essere condannato se la vittima non è musulmana - spiega -. Il regime in Egitto ha un unico scopo: la pulizia etnica».

Con oltre otto milioni di fedeli, una storia di 1900 anni che risale a San Marco, la chiesa copta è la più radicata tra le chiese nordafricane. La parola copto deriva da un termine greco, storpiato poi dagli arabi, che significava «egiziani». E i copti si considerano ancora oggi i «veri» egiziani, colonizzati e convertiti a partire dal Settimo secolo dopo Cristo, ridotti a una minoranza sempre più esigua, arroccata nella fede cristiana, un’isola in un mare musulmano.

Nel resto dell’Africa del Nord rimangono solo piccole comunità, anche loro sotto attacco. Ieri la chiesa protestante di Tizi Ouzou, la capitale della regione berbera della Cabilia, in Algeria, è stata incendiata da un gruppo integralisti islamici. Nella regione berbera è presente una delle più importanti comunità protestanti dell’Algeria, circa un migliaio di fedeli. I «barbuti», come vengono chiamati gli islamisti fanatici, la vogliono far sparire.«La violenza verso i cristiani in varie parti del mondo suscita sdegno». Queste le parole di condanna pronunciate dal Papa davanti ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’Angelus, facendo riferimento alla strage in Egitto e ad altri episodi di violenza di questi giorni. «La diversità religiosa non può mai giustificare la violenza, e non può esserci violenza in nome di Dio - ha continuato Benedetto XVI -. Occorre che le istituzioni sia politiche, sia religiose non vengano meno alle proprie responsabilità». «La violenza - ha aggiunto Ratzinger - non sia mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano. Invito a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un animo, una storia e che Dio lo ama, come ama me».


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: