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JOSE’ SARAMAGO: PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1998.

PAROLA DI JOSE’ SARAMAGO: FAREI AVANZARE LA GIUSTIZIA, E LA LIBERTA’, E CANCELLEREI LA CARITA’, BERLUSCONI E’ UN BUBBONE E LA SINISTRA NON HA IDEE. Un’intervista di Oreste Pivetta - a cura di Federico La Sala

«Ho scritto anche e ne sono convinto che Marx non aveva mai avuto tanta ragione come oggi».
sabato 19 giugno 2010 di Federico La Sala
[...]Abbia pazienza: ci siamo tutti arresi al mercato e alla sue regole...
«Ho scritto anche e ne sono convinto che Marx non aveva mai avuto tanta ragione come oggi».
Mi ha colpito un capitoletto del suo blog, dove cita alcune parole cardine e cioè bontà, giustizia, carità. Per un comunista come lei e come noi non dovrebbe contare in primo luogo l’eguaglianza?
«Le ho pure collocate in ordine di importanza quelle parole: prima la bontà che dovrebbe implicare la (...)

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> PAROLA DI JOSE’ SARAMAGO ... Nel suo ultimo romanzo Saramago rivisita le storie della Genesi assumendo il punto di vista dell’uomo che è diventato il simbolo del male (di José Sramago - con una nota di Paolo Mauri)

martedì 20 aprile 2010


-  Quell’Eden così noioso
-  E Adamo disse a Eva "Andiamo a letto"

-  Il dono tardivo della parola ad Adamo ed Eva, la vita quotidiana nel paradiso terrestre, e l’affare misterioso del peccato originale
-  Nel suo ultimo romanzo Saramago rivisita le storie della Genesi assumendo il punto di vista dell’uomo che è diventato il simbolo del male

-  di José Saramago (la Repubblica, 20.04.2010)

Gli altri animali, al contrario degli umani muti, godevano già tutti di una voce propria Il fiat ci fu una volta sola e mai più perché gli esseri viventi non sono macchine Essere informati è sempre preferibile all’ignoranza specie in questioni come il bene e il male

Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c’era nessun altro nel giardino dell’eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godevano già di voce propria. In un accesso d’ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l’altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua.

Dagli scritti a cui sono stati via via, nel corso dei tempi, consegnati un po’ a caso gli avvenimenti di queste epoche remote, vuoi di possibile certificazione canonica futura o frutto d’immaginazioni apocrife e irrimediabilmente eretiche, non si chiarifica il dubbio su che lingua sarà stata, se il muscolo flessibile e umido che si muove e rimuove nel cavo orale e a volte anche fuori, o la parola, detta anche idioma, di cui il signore si era deprecabilmente dimenticato e che ignoriamo quale fosse, dato che non ne è rimasta la minima traccia, neppure un semplice cuore inciso sulla corteccia di un albero con una legenda sentimentale, qualcosa sul tipo ti-amo, eva.

Siccome una cosa, teoricamente, non dovrebbe andare senza l’altra, è probabile che un secondo fine del violento spintone dato dal signore alle lingue mute dei suoi rampolli fosse di metterle in contatto con le interiorità più profonde dell’essere corporale, le cosiddette parti scomode dell’essere, perché in avvenire, ormai con qualche cognizione di causa, potessero parlare della loro oscura e labirintica confusione alla cui finestra, la bocca, già cominciavano a spuntare. Tutto può essere. Chiaramente, per uno scrupolo da buon artefice che andava unicamente a suo favore, oltre che compensare con la dovuta umiltà la precedente negligenza, il signore volle accertarsi che l’errore fosse stato corretto, e quindi domandò ad adamo, Tu, come ti chiami, e l’uomo rispose, Sono adamo, tuo primogenito, signore. Il creatore, poi, si rivolse alla donna, E tu, come ti chiami tu, Sono eva, signore, la prima dama, rispose lei superfluamente, dato che altre non ce n’erano. Il signore si ritenne soddisfatto, si congedò con un paterno Arrivederci, e riprese la sua vita. Allora, per la prima volta, adamo disse a eva, Andiamo a letto.

Set, il terzogenito della famiglia, verrà al mondo solo centotrent’anni dopo, non perché la gravidanza materna richiedesse tanto tempo per ultimare la fabbricazione di un nuovo discendente, ma perché le gonadi del padre e della madre, i testicoli e l’utero rispettivamente, avevano tardato più di un secolo a maturare e a sviluppare sufficiente potenza generativa. C’è da dire ai precipitosi che il fiat ci fu una volta e mai più, che un uomo e una donna non sono mica delle macchine automatiche, gli ormoni sono una cosa piuttosto complicata, non si producono così da un giorno all’altro, non si trovano in farmacia né al supermercato, bisogna dare tempo al tempo. Prima di set erano venuti al mondo, a breve intervallo di tempo fra l’uno e l’altro, dapprima caino e poi abele. Quello cui non si può non fare immediatamente cenno è la profonda noia che erano stati tanti anni senza vicini, senza distrazioni, senza un bambino lì a gattonare tra la cucina e il salotto, senz’altre visite al di fuori di quelle del signore, e anche queste rarissime e brevi, intervallate da lunghi periodi di assenza, dieci, quindici, venti, cinquant’anni, immaginiamo che poco ci sarà mancato che i solitari occupanti del paradiso terrestre si vedessero come dei poveri orfanelli abbandonati nella foresta dell’universo, ancorché non sarebbero stati in grado di spiegare cosa fosse questa storia di orfani e abbandoni.

È pur vero che, un giorno sì, un giorno no, e anche quel giorno no con altissima frequenza sì, adamo diceva a eva, Andiamo a letto, ma la routine coniugale, aggravata, nel loro caso, da nessuna varietà nelle posizioni per mancanza di esperienza, già allora si dimostrò altrettanto distruttiva di un’invasione di tarli lì a rodere le travature della casa. All’esterno, salvo un po’ di polverina che fuoriesce qua e là da minuscoli orifizi, l’attentato si coglie a stento, ma all’interno la processione è ben altra, non ci vorrà molto che venga giù tutto ciò che era parso tanto solido. In situazioni del genere, c’è chi sostiene che la nascita di un figlio può avere effetti rivitalizzanti, se non della libido, che è opera di chimiche assai più complesse che imparare a cambiare un pannolino, almeno dei sentimenti, il che, bisogna riconoscerlo, già non è poco. Quanto al signore e alle sue visite sporadiche, la prima fu per vedere se adamo ed eva avevano avuto problemi nell’installazione domestica, la seconda per sapere se avevano tratto qualche beneficio dall’esperienza della vita campestre e la terza per avvisare che tanto presto non si aspettava di tornare, giacché aveva da far la ronda negli altri paradisi esistenti nello spazio celeste. In effetti, sarebbe riapparso solo molto più tardi, in una data di cui non è rimasta traccia, per scacciare la sventurata coppia dal giardino dell’eden per il nefando crimine di aver mangiato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.

Questo episodio, che diede origine alla prima definizione di un peccato originale fino ad allora ignorato, non è mai stato ben spiegato. In primo luogo, persino l’intelligenza più rudimentale non avrebbe alcuna difficoltà a comprendere che essere informato sarà sempre preferibile a ignorare, soprattutto in materie tanto delicate come lo sono queste del bene e del male, nelle quali chiunque si mette a rischio, senza saperlo, di una condanna eterna a un inferno che allora era ancora da inventare. In secondo luogo, grida vendetta l’imprevidenza del signore che, se realmente non voleva che mangiassero di quel suo frutto, avrebbe avuto un rimedio facile, sarebbe bastato non piantare l’albero, o andare a metterlo altrove, o circondarlo da un recinto di fildiferro spinato. E, in terzo luogo, non fu per aver disobbedito all’ordine di dio che adamo ed eva scoprirono di essere nudi. Nudi e crudi, con tutto quanto all’aria, c’erano già quando andavano a letto, e se il signore non aveva mai notato una mancanza di pudore così evidente, la colpa era della sua cecità di progenitore, proprio quella che, a quanto pare inguaribile, ci impedisce di vedere che i nostri figli sono, in fin dei conti, tanto buoni o tanto cattivi quanto gli altri.
-  © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano



-  la Repubblica, 20.04.2010
-  La recensione
-  Lo scrittore multiforme e i suoi dubbi sul sacro
-  di Paolo Mauri

Quando scrisse Il Vangelo secondo Gesù Saramago affermò più o meno che quel Gesù era "suo", un prodotto della sua scrittura e della sua immaginazione. Le polemiche non mancarono. Se ci fosse stata ancora l’Inquisizione, Saramago avrebbe fatto la fine di Giordano Bruno. Si limitò a lasciare Lisbona per Lanzarote, protestando col governo portoghese. Oggi il premio Nobel torna con mano leggera, nonostante le apparenze, su un tema biblico, resuscitando addirittura Caino e con lui Adamo ed Eva e una bella porzione dell’Antico Testamento.

La tesi di Saramago è irridente: come si fa a considerare sacro e dunque autorevole al massimo grado un testo pieno di incongruenze, di errori e di comportamenti raccapriccianti? «La storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio, né lui capisce noi, né noi capiamo lui», scrive Saramago ed avrà modo di documentare gli strani comportamenti dell’Onnipotente, che spesso appare distratto. Perché induce Abramo a sacrificare Isacco? Perché, quando distrugge Sodoma, non salva almeno i bambini, innocenti per definizione? Anche a proposito di Caino, Saramago potrebbe dire che si tratta di una sua creazione letteraria, visto che di licenze se ne prende parecchie. Il cherubino che fa da guardiano all’Eden dopo la cacciata della celebre coppia, tresca con Eva e rivela che al mondo c’è anche altra gente. Meno male, se no sai che noia, pensa l’autore che spesso si diverte a commentare.

Caino, con un marchio in fronte che lo preserverà da eventuali assassini, va in giro per la Terra Desolata, avrà la sua love story e attraverserà momenti biblici diversi (Saramago li chiama «diversi presenti»). Sarà lui a fermare la mano di Abramo, visto che l’angelo preposto a tal compito arriva tardi per un problema con le ali (sembra un’opera buffa), e sarà presente alla rovina di Giobbe, alla strage inaudita seguita all’episodio del vitello d’oro. Dio è un pazzo stravagante e sanguinario, ammalato di gelosia: questa la conclusione.

Saramago, scrittore "magico" e multiforme riesce bene in una doppia operazione: fa tornare il lettore nell’antichità della Bibbia, dando un seguito "inedito" alla storia di Caino e insieme (e qui il linguaggio è quello di un nostro contemporaneo) provoca la ragione di chi si ostina a non vedere. Nel mirino di Saramago c’è la vecchia e la nuova Israele: il suo "Caino" è letteratura, ma anche politica. Sarà incontrando Noè (e litigando con Dio) che Caino trova una soluzione molto drastica. La scoprano i lettori, come è giusto.


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