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INTELLETTUALI E POLITICA. LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO, IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE ... E IL BERLUSCONISMO

GLI INTELLETTUALI E L’IDENTITA’ PERDUTA. PUNTO E A CAPO: ASOR ROSA, "FORSE L’UNICO AL MONDO CHE HA LETTO TUTTO MARX E TUTTO DANTE", CERCA DI CAPIRE "CHE FARE OGGI". Una lettura del "grande silenzio" di Ida Dominijanni - a cura di Federico La Sala

sabato 10 ottobre 2009 di Federico La Sala
[...] In fondo, quello che Asor si propone con la sua diagnosi dell’estinzione dell’intellettuale novecentesco è l’elaborazione di un lutto: l’ennesima a sinistra, potremmo chiosare malinconicamente, se non fosse che per una volta qui non è la tonalità malinconica né quella nostalgica a prevalere, e l’intenzione non è di crogiolarsi nella perdita ma di mettere un punto a capo per ripartire. Sapendo però che alle spalle non c’è un usato da liquidare ai saldi, ma un grande patrimonio di cui (...)

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> GLI INTELLETTUALI E L’IDENTITA’ PERDUTA. --- L’analisi di Asor Rosa in un libro intervista (di Bruno Gravagnuolo - Intellettuali addio: il pensiero è polvere).

domenica 11 ottobre 2009

Intellettuali addio: il pensiero è polvere

L’analisi di Asor Rosa in un libro intervista

Silenzio o intrattenimento ciarliero. È finita l’epoca dei «chierici»: non parlano più e il loro ruolo di un tempo è ormai consunto, liofilizzato o trasformato in presenza mediatica.

di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 11.10.09)

Giorni fa scorrendo le offerte turistiche nell’inserto un importante quotidiano, ci si imbatteva in un curioso annuncio. Un famoso storico della filosofia avrebbe fatto da guida in una crociera nell’Egeo intrattenendo i crocieristi sulla filosofia greca per tutta la durata del tour. Prezzo modico. Niente di male. Ma si potrebbe cominciare di qui nel recensire Il Grande silenzio, il libro intervista con Alberto Asor Rosa sul «silenzio degli intellettuali» a cura di Simonetta Fiori. L’esempio, assieme a quello di un altro grande studioso autore da anni di (veri) menù gastro-filosofici, riassume ironicamente uno dei temi chiave del libro: la consunzione dell’intellettuale classico. La liofilizzazione del suo ruolo di un tempo. Sintetico e pedagogico, e basato sul nesso cultura e politica. E anche sull’idea di una cultura alta e critica. Vocata a distinguere tra ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Dunque silenzio degli intellettuali, oppure intrattenimento ciarliero, nell’era «postmoderna», termine al quale Asor preferisce quello di «civiltà montante» di massa.

Volume di qualità. Per svariati motivi. Primo, è ben condotto dalla curatrice. Secondo, ha come protagonista pensante un insigne italianista, versato in politica e cultura, la cui biografia è emblematica dell’intellighenzia italiana del dopoguerra.

Terzo, affronta un tema cruciale. Quarto, abbiamo lavorato con Asor al tempo di Rinascita e perciò parlare di lui significa anche parlare di cose convissute (diversamente). Ad esempio, la svolta Pci-Pds che ci sorprese entrambi nel varare, con lui direttore, l’ultima edizione del settimanale fondato da Togliatti. Ma veniamo al punto centrale: gli intellettuali. Asor ne descrive la genesi tra illuminismo e rivoluzione industriale. Figure chiave della riproduzione capitalistica dentro la moderna società civile, sono sempre stati in qualche modo enciclopedici, conflittuali, oppure organici. E sempre «espressivi» di un salto: dai saperi specialistici, all’intelletto generale. Sociologicamente per Asor quella funzione si è estinta, a beneficio di ruoli tecnici, mediatici o manageriali. E nel quadro di una mutazione «post-fordista» che ha massificato ceti e classi, rendendo inutili mediazioni e conflitti, dei quali i chierici sono stati vessiliferi attraverso le tempeste ideologiche del 900.

Sullo sfondo per Asor c’è ormai la «civiltà montante», il «Mostro mite» di cui parla Raffaele Simone, affine alla «dittatura della maggioranza» di cui scriveva Tocqueville: società dell’immagine, individualismo di massa, omologazione, populismo light, Grande Fratello etc. Matrici di un gigantesco degrado, sia del progresso civile e democratico, sia dell’intelligenza critica.

Apocalissi? Sì e no, per Asor. Che benché esegeta in passato dell’Apocalissi giovannea rifiuta geremiadi passatiste, e anzi cerca i punti di attacco per una ripartenza di politica e cultura (vissuti alla Bobbio in concordia/discorde) e per un rilancio del meglio della tradizione democratica occidentale.

Ma ha ragione Asor? Ha molte ragioni e magari qualche torto (ma più nel senso di omissioni). È giusta intanto la percezione generale dell’evo post-fordista, con il corollario giustissimo della barbarie italiana berlusconiana, fatta di disgregazione di memoria, prepotenza carismatica e minacce alla divisione dei poteri. Giustissima altresì è la critica agli intellettuali italiani, inermi o al di sopra delle parti spesso, dopo essere stati a sinistra magari corrivi e ortodossi.

E soprattutto ha ragione su una cosa: il difetto della svolta Pci-Pds. Che per Asor ha gettato alla fine il bambino e l’acqua sporca, senza un bilancio serio di ciò che fu il Pci nella storia d’Italia: una grande cosa progressiva, sia pur con limiti e ritardi. Realtà liquidata senza «pars construens», fino a privare le classi subalterne di organizzazione, identità e prospettive. E con la conseguenza di aver spianato il campo al blocco sociale e al senso comune della destra.

SALVARE LA SINISTRA

E però in conclusione l’analisi di Asor pecca forse almeno su due punti. E cioè, non è vero che l’omologazione sia poi così forte, al punto da rendere quasi disperata la ricerca di punti di attacco e resistenza. Infatti il lavoro dipendente è cresciuto, in parallello al grande esercito di riserva dei flessibili, immigrati e no. Il contrattacco oltre che dalla scuola di massa può riprendere dalla riscoperta del lavoro moderno, avanzato, infelice e dominato. Ribelle potenzialmente alle ricette liberiste, che vogliono farne una cosa marginale e areiforme, non più garantito e «umano-relazionale». Infine il Pci-Pds. Fu fatta male la svolta del 1989. Ma andava fatta visto il crollo del comunismo e non rifiutata come fece il fronte del «no», che meglio avrebbe fatto a tentare di indirizzarla in altro modo, invece di respingerla. In verità dopo lo sconcerto e il rifiuto Asor Rosa cercò con onestà una strada costruttiva e positiva, che salvasse il nocciolo razionale della sinistra e del comunismo italiano. Ma fu sconfitto, e tutti noi oggi dobbiamo ancora ricominciare di lì.●


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