Bob Dylan torna all’impegno e parla soltanto agli homeless
di Roberto Brunelli *
Un misterioso labirinto bizzarramente profumato di Natale. Il vecchio Bob proprio non ce la fa a togliersi la maschera beffarda di dosso. Come sempre, si nasconde, racconta soprattutto quel che non pensa e quello che non è, eppure piccoli squarci di verità vengono fuori, talvolta. Plotoni di critici non gli hanno perdonato la sua ultima sortita: un album natalizio, Christmas at Heart , pieno zeppo di vecchi standard anni ‘40, più un’incredibile versione di Adeste fideles e un vecchio Christmas Blues preso da Dean Martin, il più mellifluo di tutti i crooner.
Il fatto è che lo squarcio di verità sta dietro le pieghe di quel disco ed è, abbastanza clamorosamente, il ritorno di Dylan all’impegno: non solo (e questo si sapeva) i proventi dalle vendite vengono destinati integralmente ad associazione che combattono la fame, come Feeling America negli Stati Uniti, Crisis Uk in Gran Bretagna e il World Food Program in tutto il mondo.
La vera novità consiste nella strategia di promozione, del tutto inedita: un’intervista esclusiva diffusa solo ed esclusivamente attraverso riviste per homeless. Ora, voi sapete che le interviste di mr. Robert Zimmerman si contano sulla punta delle dita. Tramite la sua casa discografica, la Columbia, Dylan si è affidato a Bill Flanagan (noto critico rock, saggista e produttore per Mtv), uno dei pochi a cui Bobby usa (comunque di rado) affidare il suo pensiero. Che rimane misterioso eppure folgorante, diabolicamente ironico eppure distante anni luce dal plastico nulla cui solitamente si gonfiano le star della musica. Motivo per cui Dylan - quello di Masters of War e The Times They are a-Changin’ , quello che un tempo fu il profeta della controcultura e del movimento di protesta dell’America dei primi anni Sessanta, quello che non scendeva direttamente nell’agone almeno dai tempi di Hurricane (quando difese il pugile Rubin «Hurricane» Carter da un’ingiusta accusa di omicidio) - ecco, quello, non dirà mai «eccomi, sono tornato all’impegno».
MENÙ NATALIZI
E infatti, nella lunghissima intervista uscita su riviste di homeless come la britannica The Big Issue , l’americana Street News Service , la svedese Situation Sthlm , la tedesca Der Freie Buerger e l’elvetica Surprise Strassenmagazine , non lo dice mai. Però, tra confessioni quasi spirituali, menù di pranzi natalizi e digressioni musicologiche, la verità viene fuori: «Ho deciso di devolvere le vendite di Christmas at Heart a enti come Feeling America perché danno il cibo direttamente alla gente. Nessuna organizzazione militare, niente burocrazia, nessun governo con cui dover trattare». Fine.
Il resto è il solito Dylan: sorprendente, come sempre. Un Dylan a cui piacciono le rappresentazioni sacre del New Mexico, «dove Giuseppe e Maria cercano un posto dove stare», a cui piacciono «i campanellini da slitta» ed il verseggiare fine a se stesso del rap (che lui non ascolta mai). Domanda: «La tua versione della canzone O’ Little Town of Bethlehem sembra quasi un pezzo da ribelle irlandese: c’è qualcosa di audace nel modo in cui canti “le speranze e le paure di tutti questi anni si ritrovano in te stasera”... esponi la canzone come un vero credente». Risposta: «Beh, io sono un vero credente».
CRITICI SCIOCCATI
Ad un certo punto Flanagan riferisce che alcuni critici hanno paragonato lo «shock» di quest’album natalizio allo shock della famigerata «svolta elettrica» del ’65. Bob non fa una piega: «Chiedilo a loro. Dicono che io avrei dovuto essere più irriverenti nei confronti di queste canzoni natalizie. È un’affermazione irresponsabile. Non c’è già abbastanza irriverenza nel mondo? Chi potrebbe averne bisogno ancora, soprattutto a Natale»?
La risposta a quelli che sono rimasti «sconvolti» dall’album natalizio di Dylan è lapidaria. «Nessuna ironia», dice Bob. «Critici come quelli guardano dentro standosene fuori (...). Ancora oggi non sanno cosa farsene di me».
Il labirinto-Dylan non finisce qui. Si scopre, per esempio, che il piccolo ebreo errante Dylan ama «i dischi natalizi in latino. Quelli che cantavo da bambino». Domanda: «Un sacco di gente preferisce quelli non religiosi». Risposta: «La religione non è cosa per tutti».
Mmmm. Il vecchio cantore vagheggia pure di lussuriosi pranzi natalizi, di tacchini farciti, di patate arrosto e della grandezza di una canzone come White Christmas (ricordate il luminescente Bing Crosby?). Qualche riga oltre scopriamo che in passato il vecchio Bob ha cantato canzoni in italiano, oltreché in francese e spagnolo. «Negli anni spesso la Columbia mi ha chiesto di fare dischi in quelle lingue, e così ho registrato un po’ di materiale, che però finora non è mai stato pubblicato» (Scoop!). Segue confessione: «Avrei voluto cantare qualche pezzo di Edith Piaf». «La Vie en Rose ?». Ebbene sì, La Vie en Rose.
Il labirinto si chiude, il mistero rimane.
* l’Unità, 08 dicembre 2009