“Forme della critica” di Carlo Galli
di Lorenzo Mesini (Pandora Rivista, 14 ottobre 2020)
Con il suo ultimo libro pubblicato presso il Mulino Carlo Galli consegna al pubblico la versione più matura e aggiornata del suo contributo filosofico nell’ambito della storia del pensiero politico occidentale. Il volume ha il pregio di riunire una selezione di testi dell’Autore precedentemente pubblicati altrove (volumi, riviste accademiche), offrendoli al lettore in una forma aggiornata entro un quadro teorico unitario e coerente.
Pur all’interno di una solida cornice di matrice filosofica, il libro si colloca all’incrocio di diverse aree tematiche e disciplinari: diritto, dottrina dello Stato, relazioni internazionali, storia della filosofia e dei concetti politici.
Oltre che con alcuni dei principali esponenti del pensiero politico dell’età moderna e contemporanea (Machiavelli, Hobbes, Hegel, Marx, Nietzsche, Schmitt e Benjamin) Galli si confronta con importanti nodi teorici della storia del pensiero e con le diverse interpretazioni che ne hanno segnato lo sviluppo fino ai giorni nostri. È un importante sforzo di sintesi quello compiuto da Galli per fare emergere quella «continuità tematica, metodologica, teoretica» che attraversa il suo lungo percorso di ricerca scientifica (p.7).
La specificità di questa sintesi può essere illustrata efficacemente richiamando l’attenzione sulle tre dimensioni, reciprocamente connesse, entro cui essa si articola: teorica, (auto)biografica, storiografica. La prima consente di mettere in luce lo specifico paradigma filosofico che emerge dai saggi raccolti nel volume; la seconda, quella (auto)biografica chiama in causa la fisionomia intellettuale dell’Autore e lo specifico percorso filosofico di cui essa è il frutto; infine la terza, quella storiografica, richiama l’attenzione sullo specifico paradigma storiografico che supporta e fornisce profondità storica alla prestazione filosofica dell’Autore.
È uno specifico paradigma filosofico quello che il libro consegna al lettore nelle sue articolazioni interne. Tale paradigma - di cui Galli nell’introduzione offre un’efficace panoramica per tesi - è riassumibile come segue. -L’esercizio della critica, secondo forme diverse, costituisce l’essenza della filosofia. La critica segna il perimetro dell’attività filosofica oltre la quale si colloca la prassi. L’obiettivo della critica - prosegue Galli - consiste nel fare emergere il rapporto irrisolto tra mediazione e immediatezza, il nichilismo presente all’origine della ragione moderna, della sua storia e delle istituzioni che ne discendono.
In quest’ottica la teologia politica si configura come una delle possibili forme - accanto alla critica dell’economia politica (il marxismo nelle sue diverse declinazioni) e alla biopolitica (una costellazione di posizioni comprese tra Foucault, Agamben, Esposito) - attraverso cui è possibile declinare la critica della ragione moderna e delle sue mediazioni. La teologia politica - con la sua specifica radicalità - rappresenta la declinazione filosofica della critica a cui Galli approda nel suo percorso.
La cifra metodologica del paradigma filosofico proposto nel volume consiste da un lato nella critica della storia del pensiero politico moderno (delle sue figure e delle questioni teoretiche di fondo), dall’altro in uno specifico modo di intendere e guardare alla politica e alla società che Galli definisce «realismo critico» (p.8).
All’interno della critica - come non manca di osservare Galli - si ripresenta l’origine nichilistica della ragione moderna. Nel suo intento di aderire «al reale senza legittimarlo» (p.9) la critica filosofica finisce nel corso del Novecento (nelle sue declinazioni decisioniste, francofortesi e decostruzioniste) per incorporare al suo interno lo stesso carattere aporetico del suo oggetto: soggetto e oggetto della critica condividono la stessa assenza di fondamento e sono entrambi aperti alla contingenza. Nel suo essere inevitabilmente condizionata (nella misura in cui è condizionato anche il soggetto che la esercita) la critica non può mancare di criticare se stessa, non può non essere autocritica, pena la perdita del suo costitutivo carattere radicale. Nella chiusura della critica su se stessa emerge il suo carattere ultimamente paradossale: l’esercizio della critica si trova continuamente esposto al rischio di esiti occasionalistici (quando la critica del carattere arbitrario dell’esistente si traduce in una prassi che afferma un’altra forma di arbitrarietà), paralizzanti (quando la critica si traduce in una piena autocritica e si preclude l’accesso alla prassi) o messianici (quando la critica, riconosciuta l’impotenza e/o l’impossibilità della prassi, si affida alla forma più estrema di contingenza contro l’arbitrarietà della realtà sociale).
Ripercorrendo le diverse «forme della critica» l’Autore ne traccia i confini e il loro possibile campo di azione. Nel paradigma definito da Galli la critica filosofica assume così una fisionomia eroica e umile al tempo stesso: per quanto priva di fondamento e aperta alla contingenza, la critica non può congedarsi completamente dall’orizzonte progettuale ed emancipatorio che è caratteristico della Modernità, di cui conserva l’ambizione costruttiva (pur con una diversa consapevolezza). Nella misura in cui riunisce al suo interno l’assenza di fondamento, la coazione all’ordine e un insopprimibile anelito all’emancipazione, la teologia politica delineata da Galli si configura come una delle espressioni più mature del nichilismo, di cui esibisce tutto il carattere contraddittorio.
Attraverso la lettura di questo paradigma filosofico emerge con forza la specifica fisionomia intellettuale dell’Autore, le cui coordinate di fondo meritano di essere brevemente illustrate. Quest’ultima deriva dall’approfondimento dei complessi teorici legati agli autori appartenenti alla costellazione del ‘pensiero negativo’ di lingua tedesca, letta all’interno della tradizione filosofica occidentale. Costellazione a cui Galli accede nel suo lungo percorso (prima di formazione e poi di ricerca) grazie alle coordinate fornite da Karl Löwith, dalla Scuola di Francoforte (in particolare da Theodor W. Adorno e H. Marcuse) e da Carl Schmitt. -Dall’insegnamento di Löwith (in particolare dal celebre libro Da Hegel a Nietzsche) proviene l’accento sul problema della mediazione (tra infinito e finito, universale e particolare, soggetto e oggetto, Stato e cittadini) come chiave filosofica di accesso alla storia del pensiero politico moderno e contemporaneo.
Dalla Scuola di Francoforte proviene il nesso particolare tra filosofia e critica, in cui convergono sia la potenza della filosofia classica tedesca (Kant, Hegel, Marx), sia lo sguardo radicale di Weber e Freud, di Heidegger e Lukács. L’accesso al pensiero dialettico e ai suoi due principali esponenti avviene mediante la lezione di Adorno (specialmente i Tre studi su Hegel) e di Marcuse (in particolare Ragione e rivoluzione - di cui il Mulino ha recentemente ristampato l’edizione italiana curata dallo stesso Galli nel 1997). L’eredità francofortese si configura all’interno di una lettura non idealista del pensiero dialettico, distante dalla tradizione idealista e storicista italiana.
Infine dal lungo e ripetuto studio di Carl Schmitt (della cui opera Galli si è affermato come uno dei principali studiosi nello scenario internazionale con la pubblicazione di Genealogia della politica nel 1996) proviene la concezione della teologia politica come genealogia critica dei concetti politici e giuridici dell’età moderna (opportunamente depurata dagli elementi ideologici degli anni Trenta), la consapevolezza dell’origine nichilistica degli ordinamenti politici (decisionismo) e con essa l’inevitabile coazione all’ordine.
Il paradigma filosofico al centro del libro corrisponde infine all’elaborazione di uno specifico paradigma storiografico a suo supporto. Paradigma incentrato sul pensiero moderno e contemporaneo di cui Galli ha offerto nel corso degli anni una lettura genealogica in chiave teologico-politica. Lettura che ha il merito non trascurabile di non prescindere mai dal rispetto filologico dei testi e della loro autonomia. La storia del pensiero politico moderno, dalla sua origine e alla sua conclusione novecentesca, viene ricostruita da Galli attraverso il prisma fornito dal problema della mediazione nelle sue tre principali tradizioni filosofiche: quella razionalistica (entro cui il liberalismo viene interpretato come un sottoinsieme), quella dialettica e quella del ‘pensiero negativo’.
L’attenzione dell’Autore verte su alcune figure e ne trascura inevitabilmente altre: Machiavelli e Hobbes, Grozio e Kant, Hegel e Marx, Nietzsche e Schmitt, Benjamin e Jünger. Ad Hobbes è dedicato in particolare uno dei capitoli centrali del libro: a partire dall’analisi di alcuni dettagli contenuti nel frontespizio del Leviatano (i due medici anti-peste collocati davanti alla chiesa presente nella città vuota) Galli fa emergere la distanza che separa la lettura bio-politica e quella teologico-politica della sovranità moderna.
Lungo il suo percorso Galli ha prestato una speciale attenzione alla tradizione del ‘pensiero negativo’ (categoria mutuata dai lavori compiuti da Massimo Cacciari negli anni Settanta e poi sviluppata autonomamente dall’Autore grazie all’eredità francofortese) senza tuttavia leggerla in maniera isolata rispetto alle precedenti. Al riguardo merita di essere segnalato l’importante saggio contenuto nel volume su Nietzsche e Schmitt, che costituisce un raffinato esempio di come l’analisi del dato filologico e il confronto filosofico debbano procedere di pari passo.
Di particolare interesse è inoltre l’attenzione (e la passione) mostrata da Galli nei confronti dell’opera saggistica e letteraria di Ernst Jünger di cui offre una pregnante lettura filosofica che è capace di lasciarsi alle spalle le polemiche ideologiche, per collocarla integralmente tra le espressioni più compiute del nichilismo occidentale. Da questo punto di vista l’attenzione e la lettura che Galli fornisce di Jünger rappresentano un caso più unico che raro nel panorama filosofico ed editoriale italiano (meriterebbero di essere maggiormente valorizzati) anche nell’anno che ha visto ricorrere il centenario della pubblicazione del più celebre romanzo dello scrittore tedesco (Nelle tempeste d’acciaio, 1920).
Non sono da trascurare infine gli affreschi contenuti nella terza parte del volume in cui la critica teologico-politica e il «realismo critico» sono messi alla prova su temi specifici non privi di rilievo attuale: la paura, di cui si mostra la produttività politica nel corso dell’età moderna e contemporanea, irriducibile ad ogni immediatezza di carattere antropologico; la guerra, che costituisce l’esperienza all’origine della pace e del diritto, sempre presente in ogni ordinamento come la possibilità latente del conflitto civile o come minaccia esterna.
Per via della ricchezza dei suoi contenuti il volume non si presta solo all’attenzione di un pubblico specialistico, che potrà apprezzare l’ultimo frutto delle ricerche condotte dall’Autore, ma anche a quella di tutti coloro che cercano una bussola per orientarsi nel labirinto ingannevole degli approcci critici che oggi proliferano sulla scena intellettuale italiana ed europea.