Potere/Responsabilità
di Carlo Galli *
Davanti a queste tre modalità della responsabilità nella politica moderna - tutte aporetiche, benché diversamente - si comprende perché Nietzsche (Genealogia della Morale, 1887, II, 2) parli della necessità di allevare un tipo d’uomo che sappia fare promesse, ma non “l’uomo necessario, uniforme, uguale fra gli eguali”, sì l’uomo concreto - “l’individuo sovrano”, non seriale, non calcolabile né calcolante - capace di assumersi responsabilità verso altri uomini concreti, in modo libero, cioè non sospinto dalla necessità, né dal dovere di rispondere a una qualche domanda. Un uomo - un’umanità, un sistema di relazioni - estraneo alla logica della domanda e della risposta, ma anche della Cura e dell’Autorità. Una provocazione intellettuale, quella di Nietzsche, che allude a un riconoscimento disinteressato e non servile (semmai signorile) dell’Altro come via d’uscita dalle aporie moderne della responsabilità.
Quella capacità di fare promesse è individuata da Hans Jonas (Il principio responsabilità, 1979) - che opera una sorta di ri-moralizzazione di Nietzsche e di Heidegger - nella stessa struttura ontologica del Mondo: l’essere responsabile deriva immediatamente dall’essere-nel-mondo. Per lui, infatti, il muto stupore davanti al mondo è già un’obbligazione: il mondo è costitutivamente un appello. La responsabilità è quindi
un dovere ontologico, non logico: contro la legge di Hume che vieta di dedurre un
dovere dal semplice essere, l’esserci della Vita è quindi già in sé una domanda, a cui il
soggetto può e deve liberamente rispondere, nelle più diverse modalità.
Naturalmente, la responsabilità archetipica è quella dell’uomo per l’uomo, che dà voce alla trama
relazionale dell’Esserci, alla responsabilità dell’Io per gli Enti nella forma della Cura:
alla responsabilità pertiene quindi la consapevolezza tanto del limite (senza la quale
c’è solipsismo, egolatria) quanto dello scopo, che non è un universale prometeismo
ma che consiste nel fatto che è Bene che la potenzialità relazionale del mondo trovi
attuazione. Al contrario, nemico della responsabilità è il nichilismo, ossia tanto la
pretesa (razionalistica) che oltre il soggetto non ci sia nulla, quanto la nullificazione
dialettica del soggetto davanti a un’Autorità universale e assoluta, quanto, ovviamente, la teorizzazione del ‘nulla in comune’ propria del pensiero negativo.
Ma c’è anche un altro modo di intendere la responsabilità, tanto quella verticale del potere verso di noi, e nostra verso il potere, quanto quella orizzontale di ciascuno di noi verso gli altri. Un modo concreto e personale - non assoluto e astratto - che passa attraverso la politica e non la morale, e che implica una re-interpretazione della modernità, e della sua origine a due lati: da una parte, infatti, è vero che nel Moderno il soggetto è tendenzialmente solipsistico e anomico, sordo alla responsabilità, e che quindi vede la politica in modo meccanico (oppure che, per converso, sovraccarica la politica di istanze tanto responsabilizzanti da essere deresponsabilizzanti, tanto assolute da schiacciare ogni singolarità); ma d’altra parte è anche vero che proprio l’età moderna pone come centro e obiettivo della politica il libero fiorire, in uguale dignità, dei diversi progetti di vita umana, nella loro piena e incoercibile diversità (C. Galli, Perché ancora destra e sinistra, 2010).
In quest’ottica, il soggetto immaginato dalla modernità è in se stesso un appello, una pretesa di fiorire rivolta a sé e a tutti (il soggetto moderno sa di non poter volere istituire supremazie o gerarchie qualitative fra gli umani); e poiché ciò vale per ogni soggetto, l’appello è tanto individualizzante quanto generalizzabile. Il soggetto moderno non può non volere la fioritura di tutti e di ciascuno, e non può quindi non sentirsi responsabile verso questo obiettivo, universale ma anche concreto e determinato. Insomma, i singoli sono l’un l’altro responsabili - moralmente e politicamente - di questo progetto, che non li trascende come un’autorità, che non li affratella forzosamente sotto un unico Padre, ma che è nell’origine stessa (troppo spesso dimenticata) e nella finalità (troppo spesso obliterata) della politica moderna. Che della modernità è la ragion d’essere, e al contempo l’energia propulsiva: l’essere e il dover essere. Analogamente, il potere moderno è responsabile, verso i cittadini, di una Cura non autoritaria, ma per dir così umanistica e liberale (appunto, rivolta al libero fiorire dei singoli, che non devono essere coltivati o allevati, ossia fatti fiorire secondo una loro ‘natura’ presunta ‘vera’, ma trattati gli uni come Altri rispetto a ogni altro, cioè come diversi in pari dignità). Ed è anche ‘responsivo’, ovvero può e deve essere chiamato a rispondere delle sue azioni politiche, se esse siano o non indirizzate a questo obiettivo (tutt’altro che facile e scontato, anzi, probabilmente irrealizzabile ma ugualmente cogente come orizzonte trascendentale dell’agire).
Ciò che nel Moderno può diventare nichilistico solipsismo è qui libera contingenza; ciò che può diventare meccanismo è responsabilità e responsività; ciò che può essere astrattezza dell’ideale a cui obbedire diventa la consapevolezza che la responsabilità e la libertà coincidono, poiché sono due nomi delle stesse relazioni concrete fra individui che si riconoscono diversi ma pari in dignità; relazioni, quindi, di collaborazione, di contesa e anche di conflitto - con l’esclusione della violenza e del dominio: un’esclusione del tutto logica, che può e deve diventare politica - nelle quali consiste una coesistenza umana degna dell’uomo. Il riconoscimento, qui, non è infastidito incontro, e non è neppure mediato dal lavoro e dal potere: è ontologico (ossia immanente a questa interpretazione moderna del soggetto) e politico al contempo, perché nasce dalla singola, comune e concreta consapevolezza dell’esser uomo, e orienta il potere al fine del libero fiorire degli uomini, in uguale dignità. Il riconoscimento, qui, dà vita a una responsabilità immanente (anch’essa un’ontologia che è in sé politica) a cui non ci si può sottrarre: l’ontologia della libera fioritura del singolo, che implica la continua domanda e risposta a noi stessi, e simultaneamente a ogni altro, sul nostro essere capaci di vivere liberi in dignità, e di vivere fra liberi in uguale dignità. È, questa, come si vede, la responsabilità verso la democrazia: verso l’ideale concreto, umanistico, civile, istituzionale, potestativo, del reciproco riconoscimento come uguali e come diversi, che non può non accomunarci pur senza legarci, che non può non interpellarci pur senza comandarci. È la politica della fedeltà a noi stessi, del prenderci Cura (senza interferire) tanto dell’Io quanto dell’Altro, di tutti e di ciascuno.
*Doc. Regione Basilicata - Quaderni (FestivalFemminile)