La sovranità ad personam
di Carlo Galli (la Repubblica, 24 novembre 2009)
L’accorato appello di Carlo Azeglio Ciampi ci porta - con la sua altissima risonanza emotiva - a una stagione morale della politica che sembra ormai remota: la stagione della democrazia costituzionale e della repubblica parlamentare. Ci riporta al suo pathos per la libertà e al suo ethos di rispetto delle istituzioni, presidi della vita collettiva e del suo ordinato svolgimento secondo l’uguaglianza e il diritto (per non parlare della decenza). Una stagione che si pretende trascorsa e ormai finita, sostituita da un’altra, nuova e ormai alle porte, di cui si celebra l’avvento; una stagione che andrebbe riconosciuta nella sua ineluttabilità, e che meriterebbe il sacrificio della costituzione formale, ormai obsoleta, che dovrebbe essere adeguata alla splendida aurora della nuova costituzione materiale. Il cui contenuto fondamentale sarebbe un innovativo esercizio - libero, diretto e costituente - della sovranità popolare, che potrebbe oggi finalmente esprimersi senza la mediazione soffocante delle istituzioni, senza il vincolo della Legge, senza l’ossessione per l’ordine costituito.
E l’occasione per questo spontaneo manifestarsi del popolo e della sua volontà sovrana sarebbe data dalla persona empirica e singolare di Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio che appellandosi a essa intende sottrarsi - con tutti i mezzi che la fantasia dei suoi avvocati e dei suoi ministri può escogitare - alla legge ordinaria, alla comune uguaglianza giuridica che lega tutti i cittadini di una nazione democratica. Una eccezionalità, una straordinarietà, che gli sarebbero dovute in virtù del suo essere primus super pares fra i ministri (qualunque cosa ciò significhi), nonché direttamente votato dal popolo non come deputato - che rappresenta tutta la Nazione, come ogni altro parlamentare eletto - ma direttamente come capo del governo. Un cortocircuito fra potere esecutivo e popolo, dunque, che taglia fuori il potere legislativo, il Parlamento, spodestandolo, nella gerarchia dei poteri dello Stato, dal primo posto che gli compete nelle costituzioni moderne. Un cortocircuito, soprattutto, che dovrebbe sollevare il primus, l’Eletto, oltre l’ordinamento giuridico normale, garantendogli un’esenzione speciale dalla Legge; non importa se con norma ordinaria o costituzionale, se agendo sulla durata dei processi o sulla prescrizione: l’importante è che il cittadino Berlusconi, l’imprenditore privato di enorme successo e di immensa ricchezza, non venga toccato da processi.
Insomma, il potere del popolo - terribile e irresistibile fondamento di ogni legittimità politica - si condensa in un’unica epifania, in una manifestazione gloriosa strettamente individuale; il potere costituente, che rade al suolo gli ordinamenti costituiti e ne crea di nuovi, deve incaricarsi di ridisegnare l’equilibrio dei poteri dello Stato per il vantaggio di una sola persona; il caso d’eccezione deve diventare permanente, quotidiano e al contempo perenne, e garantire lo sfondamento dell’ordinamento a beneficio di uno solo. C’è, evidentemente, una sproporzione grottesca tra la causa e l’effetto, fra i principi e la realtà. Da una parte si evocano le categorie più forti della filosofia politica e della scienza giuridico-costituzionale moderna - appunto, la sovranità popolare, il potere costituente, il caso d’eccezione; chissà, la stessa rivoluzione - ; dall’altra l’obiettivo è tutto sommato modesto: una vicenda personale che il rilassarsi della democrazia e lo spregiudicato populismo di Berlusconi stanno trasformando in una tragedia repubblicana.
È questo squilibrio a mostrare, da solo, l’inconsistenza delle tesi che intendono nobilitare con motivazioni storico-politiche i frenetici tentativi di parte della maggioranza di salvare Berlusconi dai suoi processi (che non sono più di cento, ma meno di venti) che da anni subisce come imprenditore e che da anni contrasta con innumerevoli leggi a proprio vantaggio (come questo giornale ha documentato inoppugnabilmente). Tutti i superamenti dell’ordinamento formale e del potere liberale di cui si parla, tutte le potenze concrete, i momenti materiali della politica, hanno senso se hanno a che fare con obiettivi pubblici, universali: se anche la destra vuole diventare rousseauiana e mostrare un improvviso amore - forse sospetto e certamente pericoloso - per la sovranità popolare nella sua forma assoluta, non sarebbe male si ricordasse che la Volontà generale è tale perché vuole solo ciò che è generale, non perché vuole gli interessi particolari; che il caso d’eccezione è una violazione della Legge per un Valore pubblico supremo (la salvezza dello Stato, la salus populi, o qualche altra motivazione d’emergenza di carattere generale) e non per una vicenda di corruzione in atti giudiziari; che le rivoluzioni sono l’evento più pubblico e politico che ci sia, e che non si fanno per vicende personali.
E infatti nessuno ha inteso rivoluzionare alcunché col votare Berlusconi, ma soltanto eleggere un deputato che in seguito è stato incaricato dal Capo dello Stato di formare un governo, che ha avuto bisogno del voto di fiducia del Parlamento. Si deve contrastare la pretesa che l’on. Berlusconi sia stato eletto dal popolo capo del governo, e che goda perciò di uno status privilegiato: ciò non è vero.
La mitizzazione dei momenti forti in cui si fondano gli ordinamenti è un’evocazione equivoca e
fuori posto: la sovranità popolare - valore supremo della democrazia, che nessuno intende discutere
non è a favore di un singolo ma di tutti i cittadini in regime di uguaglianza; non è una coperta da
tirare da una parte, ma il presidio della libertà di tutti; non è un fantasma da evocare a piacimento
ma un bene da difendere e da garantire attraverso le libere istituzioni della democrazia
repubblicana. E la salvezza dello Stato e del popolo non sta nell’infrangere le norme, e nell’inventare
modi per sottrarsi ai processi, ma, al contrario, nella determinazione costante di restituire il Paese
all’ordine della legalità, che coincide, anziché esservi contrapposto, con l’ordine della legittimità, e
di ritornare alla sana distinzione fra privato e pubblico, fra diritto penale e diritto costituzionale, che
distingue uno Stato libero da uno Stato patrimoniale, e una nazione di cittadini da una di sudditi.