Miriam, ragazza libera
La giornalista e scrittrice Miriam Mafai è morta ieri a Roma dopo lunga malattia. Il 2 febbraio aveva compiuto 86 anni.
di Angelo d’Orsi (il Fatto, 10.04.2012)
“Ragazza rossa”: così i primi commenti, appena si è diffusa la notizia della scomparsa di Miriam Mafai, una ottantaseienne rocciosa, ma capace di sorridere e, come sanno coloro che l’hanno conosciuta da vicino, anche di ridere, fragorosamente. Non sono poi così numerose le donne che hanno lasciato un segno di rilievo nella vicenda dell’Italia degli ultimi decenni, dalla Resistenza storica alla nuova resistenza contro il tirannello di Arcore: la Mafai è stata una di quelle poche, che ha attraversato la storia italiana, imprimendo la sua orma specialmente nel giornalismo. Forse la sua stagione più felice è stata quella della direzione del settimanale Noi Donne, dalla 1965 al 1970: nel suo partito, il Pci, in cui ancora esercitava un ruolo eminente il suo compagno, Gian Carlo Pajetta, il femminismo non era merce comune, e a lei spetta l’indubbio merito di averlo fatto circolare. Il sodalizio con Pajetta - oltre che l’incontro e l’incrocio tra due grandi famiglie della sinistra storica italiana: da un canto gli eroici Gaspare e Giuliano Pajetta, e d’altro canto, la tuttora viva e vegeta Simona Mafai, icona della lotta alla mafia in Sicilia, con alle spalle genitori quali Mario Mafai e Antonietta Raphael - credo che, almeno visto dall’esterno, non avrebbe potuto essere più felice: due figure di “indipendenti nel partito”, vigorose, ironiche, a tratti sarcastiche, capaci di scarti improvvisi. Lui, Pajetta, rimase davvero, pur brontolando, “il ragazzo rosso” - come si intitolò efficacemente la sua autobiografia -; lei, invece, il colore rosso parve volerlo buttare nel dimenticatoio, fin dagli anni Settanta, passando da Paese Sera alla nascente Repubblica, dunque assai prima della occhettiana svolta della Bolognina del 1989, che, nella analisi della Mafai, in qualche modo, confermava il suo giudizio ipercritico su tutta la storia del comunismo italiano, di cui ella era stata militante fin dai tempi gloriosi della lotta di Liberazione.
NON EBBE mai funzioni direttive in seno al Partito di Togliatti, Longo e Berlinguer, ma neppure in seguito tra PdS e PD, ma fu, in queste ultime formazioni, sempre un’anima critica. Mi capitò qualche anno fa di partecipare a un dibattito con lei e Rossana Rossanda, due grandi donne della sinistra italiana: provenienti da un passato comune, le vedevo lontanissime, nelle analisi del presente, e dei suoi possibili sviluppi.
Mi colpiva nella Mafai - donna di grande vigore intellettuale, dalle analisi forse troppo sicure, al punto da far velo, quella sicurezza, alla comprensione dei fenomeni - proprio quella sua energia volta a gettare via il bambino con l’acqua sporca, come se il comunismo italiano avesse talmente tante responsabilità - di tragici errori o di scelte sbagliate -, da costringere tutti coloro che, come lei, l’avevano percorso, a tradurre in abiura la “colpa”.
Insomma, all’opposto di Rossana, che pure di autocritiche ne ha fatte (talora anche qualcuna di troppo), la quale cercava di distinguere, analizzare, tenendo alta la bandiera di un altro comunismo - o socialismo - possibile, lei, Miriam, era dura nel suo voltar le spalle a un’intera tradizione. Il “cupio dissolvi”, tuttavia, mai in lei raggiunse le forme grottesche di cui abbiamo visto tante prove: dal “non sono mai stato comunista” al “fingevamo di essere comunisti”, di molti dirigenti attuali del Partito Democratico...
E che dire della posizione della Mafai sulle guerre post’ 89? Sempre il paradigma della “guerra antifascista” usato per giustificare gli americani e le loro bombe, dal Kosovo all’Iraq. Queste posizioni la Mafai le ha espresse nei suoi editoriali - di grande efficacia -, specie per il quotidiano di Scalfari, ma anche in una vasta produzione saggistica, di piacevole lettura, ma in cui, bisogna dirlo, si trovano sovente analisi discutibili e giudizi perentori, non suffragati dai documenti. Del resto, il testimone non è lo storico. E lei è stata, comunque, una grande, vivida testimone di tempi difficili. Così dobbiamo ricordarla e renderle omaggio.