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COSTITUZIONE, CATTOLICESIMO E BERLUSCONISMO, E L’ABUSO DELLA PAROLA "ITALIA" E L’ABUSO DELLA PAROLA "CRISTIANI"

L’ATTACCO CONGIUNTO DI PAPI ATEI E DEVOTI CONTRO L’ITALIA E LA LEGGE DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Una nota (2006) di Federico La Sala

Costituzione Italiana, Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
sabato 14 agosto 2010 di Federico La Sala
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e (...)

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> L’ATTACCO CONGIUNTO DI PAPI ATEI E DEVOTI CONTRO L’ITALIA ---- D’ALEMA "BENEDICE" BERSANI, Marco Pannella a Pierluigi Bersani: il tuo caldo e tremendo equivoco...

domenica 8 novembre 2009

Marco Pannella a Pierluigi Bersani: il tuo caldo e tremendo equivoco...

Dichiarazione di Marco Pannella:

http://www.fainotizia.it/2009/11/07/marco-pannella-pierluigi-bersani-il-tuo-caldo-e-tremendo-equivoco

Discorso davvero splendido e ricchissimo quello che da Radio Radicale l’Italia ha potuto ascoltare da Pierluigi Bersani (rtsp://video-1.radioradicale.it/store-4/2009/20091107_11.15.24.mp3). Un solo, drammatico se non pestilenziale, limite: Bersani pensa e parla come se avesse dietro di sé non la politica partitocratica, per cinquant’anni, del comunismo organizzato italiano, nelle sue varie edizioni, ma come se avesse dalla sua la storia immensa di cent’anni di “Giustizia e Libertà”, di componente liberale della sinistra europea, in una parola persino il presente ideale ed esistenziale del Partito Radicale e della sua diaspora. Noi non mettiamo in discussione la personale onestà intellettuale di Bersani: tutt’altro! Ma, poche parole, il suo rischia di essere oggettivamente copertura di una espressione della vera, attuale, Peste Italiana che insidia di nuovo il mondo, in primo luogo l’Europa.

Nella candidatura assolutamente berlusconiana di Massimo D’Alema a posizione di assoluto rilievo e potere nell’Unione europea, non v’è che la parte terminale di un lungo percorso berlusconiano e d’alemiano, e di una verità così chiara da essere accecante per troppi, quasi per tutti: la regia berlusconiana e il convergere “strategico” del leader democratico D’Alema stanno per arrivare ad una tappa finale, foriera di un epocale disastro politico e istituzionale. Dalla metà degli anni ’90, gli episodi di questo sottotraccia della struttura e del percorso del Regime monopartitico italiano sono stati, ad esempio, ripeto: ad esempio, volti ad impedire dell’affermarsi della volontà popolare italiana di portare alla Presidenza della Repubblica nel 2000 Emma Bonino.

La candidatura di Massimo D’Alema ha oggi la forza esclusiva e determinante del potere di Berlusconi e della sua proclamata ossessivamente “italianità”. Rischia di trionfare, e per lo stesso Bersani rischia di esplodere come una seconda tragica illusione ed errore. Ma anche lui come per ora tutta la “Democrazia” (sic!) italiana, riedizione profonda di quell’”Unità Nazionale” che di già portò agli anni più tragici della seconda metà dei settanta e della prima metà degli ottanta il nostro Paese, sicché l’imperativo, tanto assoluto quanto celato, è, oggi come negli anni ’30 in Europa, eliminare, rendere inconoscibile al popolo la grande lotta, la grande Resistenza liberale contro lo tsunami fascista, nazista, comunista che, trionfante, temeva solo quella parola, quel pensiero, quella lotta. Oggi, amico e compagno Bersani, anche, persino per te, non deve esistere, deve essere assassinata.

E negli ultimi tre anni la storia del Partito Democratico sta riuscendo, pare, a essere lo strumento, il killeraggio necessario al Sessantennio partitocratico per continuare il suo tragico cammino, la sua tragica dittatura.

Voglia Iddio (al contrario del Vaticano) che questo disegno, come in gran parte degli anni ‘70, non vi riesca. So benissimo che tu e il tuo popolo non vorreste andare fino in fondo nel tentativo allora, fallito. Ma, davvero, so che tu credi di rappresentare, di avere dietro di te e di voi, non la vostra storia ma la nostra.

Noi Radicali - ripeto: Radicali - lotteremo per il possibile contro il probabile, per continuare per altri cinquant’anni a rendere sempre più viva e forte l’alternativa democratica, federalista, laica, liberale, nonviolenta. Anche per te e per voi.


la Repubblica, 8.11.2009

Rivoluzione copernicana nel Pd" D’Alema "benedice" il segretario

di Goffredo De Marchis

ROMA - In prima fila, accanto al corridoio centrale. Massimo D’Alema occupa la sua poltronissima giù dal palco, sempre la stessa da quando è nato il Pd. Quella del dirigente senza incarichi, ma alla quale tutti guardano per vaticinare il futuro del centrosinistra. Da lì oggi vengono sorrisi e disponibilità. Al microfono della nuova Fiera di Roma, opera veltroniana e teatro degli appuntamenti democratici fin dagli esordi, sta parlando il neosegretario Pierluigi Bersani, il suo candidato. Missione compiuta, dunque. Partito riconquistato. «Nel discorso di Pierluigi vedo una rivoluzione copernicana», commenta l’ex ministro degli Esteri.

Lo convince il tono generale. Lo convincono alcuni passaggi-chiave. «Può nascere finalmente il Pd che parla al Paese, che si occupa dei temi concreti, quelli che toccano la vita dei cittadini», dice D’Alema giocando con un pezzetto di carta. Ma non parlava ai cittadini anche un partito del 33 per cento? Non erano quelli voti in carne e ossa? D’Alema scuote la testa: «Abbiamo preso il 33 per cento, poi siamo caduti precipitosamente verso soglie molto più basse. Non è una mia opinione. Sono numeri, dati di fatto. Qualcosa non funzionava, è evidente». Il confronto con la maggioranza così come lo ha declinato Bersani, esemplifica il superamento definitivo dell’era veltronian-franceschiniana. Una nuova fase dell’opposizione. «Su questo Pierluigi è stato perfetto. Il problema non è dialogo sì dialogo no. Il problema è: dialogo su che cosa. Su quali materie, su quali proposte. Il Pd ha le sue. Quali sono quelle del centrodestra? Vale lo stesso ragionamento sulla giustizia. Dobbiamo uscire dalla contrapposizione tra chi è pro magistrati e chi è contro. Dobbiamo metterci nell’ottica dei cittadini, di quello che serve a loro. Come ha fatto Bersani».

La testa è da un’altra parte, alla corsa per la carica di ministro degli Esteri europeo. Ma D’Alema rispetta la liturgia. Si alza solo per salutare le signore. Ascolta tutti gli interventi e li sottolinea con un’irrefrenabile mimica facciale. Si allontana, e salta alcune votazioni finali, solo per una misteriosa e lunghissima telefonata in inglese. Manifesta inedite simpatie. Pippo Civati, della mozione Marino, gli piace: «Ragazzo in gamba». Però i leader politici sono come gli elefanti. E D’Alema non dimentica le accuse di correntismo ricevute da quel fronte. «Facciamo un gioco. Se Marino è il primo a congratularsi con Civati significa che sono una corrente, giusto?». Civati scende dal palco, il senatore-chirurgo scatta dalla sedia e si affretta a stringergli la mano. «Visto...», esclama D’Alema con un sorrisetto. Conferma antiche freddezze. La memoria pachidermica si applica anche a Debora Serracchiani. Senza perdono. L’eurodeputata gli ha dato dell’antipatico, poi il voto: un bel cinque. Ma è brava, no? D’Alema fulmina con lo sguardo: «Ci siamo presentati dieci minuti fa, non la conosco abbastanza».

Ora che l’ennesimo segretario prende il timone il pericolo è che il Pd cominci subito a divorarlo. Bersani resisterà, ha davvero la stoffa del leader? «Penso proprio di sì - risponde D’Alema -. Ma la certezza ce la darà il suo lavoro, la prova del budino si fa mangiandolo. E le leadership si misurano sul campo». Dell’intervento di Dario Franceschini, l’ex segretario che si era candidato contro «quelli che c’erano prima», cioè D’Alema, apprezza le conclusioni. «Farsi carico di una responsabilità collettiva anche nei momenti difficili non appartiene solo alla demagogia, alle frasi di circostanza. Non adesso almeno perché il Pd è atteso da elezioni regionali complicate e mancano solo cinque mesi. Significa che se le cose non andassero bene, un pezzo del partito non punta a mettere in discussione il segretario subito dopo. Non si ricomincia daccapo».

Dove sarà lui tra cinque mesi è il problema di cui D’Alema si occupa pancia a terra da settimane. Mostra il palmare e dice: «Qui c’è tutto quello che occorre sapere sulla corsa a Mr Pesc. Anche un messaggio del ministro degli Esteri polacco. Ho fatto pace con loro». L’esternazione dell’ambasciatore di Polonia a Bruxelles contro il suo passato comunista è ormai un caso chiuso. Ma sono altri i problemi. D’Alema lo sa bene: «La Gran Bretagna aspira a una delle due cariche, presidente stabile della Ue o ministro degli Esteri. Dopo il no a Blair è difficile per l’Europa dire di no una seconda volta. Si rischia di alimentare il sentimento antieuropeo degli inglesi già piuttosto diffuso». Questo è lo scoglio più grande. Gli equilibri della geopolitica, non la caratura degli avversari. D’Alema non smette di fare la sua partita, anche se «arrivare secondi è peggio che arrivare sesti». Racconta alcuni particolari del suo lavoro diplomatico: «Se Blair fa qualche telefonata alle cancellerie europee anch’io sto facendo le mie. È vero che la questione interessa le famiglie politiche, ma parlare con i leader è necessario. Decide il Consiglio europeo, sono loro che siedono lì». E l’ultimatum lanciato dal Partito socialista europeo ai laburisti inglesi («ora basta, dateci un nome») aiuta fino a un certo punto.

Domani D’Alema è atteso a un convegno a Palermo. Poi comincia il rush finale. «Da martedì sono in stand by, controllo gli sviluppi e sono pronto anche a muovermi, vediamo in quale direzione...», dice alludendo a un possibile viaggio all’estero. Si sente coperto sul fronte italiano. Non ha dubbi sull’appoggio pieno di Berlusconi. E protegge questa carta. Perciò non fa polemiche, si fida anche di Antonio Tajani, commissario uscente del Pdl che certo non sta con le mani in mano per ottenere la riconferma: «Si sta comportando in maniera esemplare. Finora è stato correttissimo».


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