Quel richiamo all’amore vale per l’intera umanità
di Vito Mancuso (la Repubblica, 05.11.2009)
Dietro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo vi è la preoccupazione in sé legittima di tutelare la libertà, in particolare la libertà religiosa dei bambini che potrebbe venir minacciata dalla presenza di un crocifisso nelle aule scolastiche. In realtà vi sono precisi motivi che rivelano l’infondatezza di tale preoccupazione, e mostrano al contrario che dal crocifisso scaturisce uno sprone all’esercizio della libertà in modo giusto e coraggioso.
Il primo di questi motivi si può esprimere con le parole con cui domenica scorsa Eugenio Scalfari concludeva il suo articolo, quando, rivolgendosi al cardinal Martini e dopo aver ribadito il suo ateismo, scriveva: "Sia lei che io sentiamo nel cuore il messaggio che incita all’amore del prossimo. A lei lo invita il suo Dio e il Cristo che si è incarnato; a me lo manda Gesù, nato a Nazaret o non importa dove, uomo tra gli uomini, nel quale l’amore prevalse sul potere".
Da queste parole schiettamente laiche appare che il simbolo del crocifisso è un invito all’amore universale, in particolare a quell’amore che non teme di scontrarsi con l’arroganza e la forza del potere. Ma se è lecito scrivere come fa Scalfari che in Gesù l’amore prevalse sul potere, è altrettanto lecito vedere nella sua croce l’esatto opposto, cioè la prevalenza del potere sull’amore. Così Natalia Ginzburg, anche lei distante dal cristianesimo, scriveva sull’Unità del 22 marzo 1988 (riprendo la citazione dall’Avvenire di ieri): "Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo". Sia nel caso di Scalfari sia nel caso della Ginzburg siamo in presenza di forti personalità non cristiane che vedono nel crocifisso un simbolo del più alto ideale che agli uomini sia possibile abbracciare, cioè quello dell’impegno a favore del bene e della giustizia anche a rischio della perdita della vita fisica. E perché dovremmo privare i nostri ragazzi di questo richiamo?
Il secondo motivo a favore del mantenimento del crocifisso nelle aule scolastiche consiste nel bisogno di simboli radicato nell’anima umana fin dalle sue origini e che contraddistingue particolarmente la gioventù. Tutti siamo stati ragazzi e tutti abbiamo avuto i nostri poster incollati con lo scotch sull’armadio della camera, come oggi avviene con i nostri figli. Quali poster ideali è in grado la scuola italiana di presentare alla mente dei giovani? Quali esempi concreti di umanità, quali modelli esemplari di vita? È chiaro che Gesù di Nazaret non è il solo modello (per fortuna!), ma è altrettanto chiaro che è il principale individuato dalla nostra tradizione spirituale, culturale e civile lungo i suoi secoli di storia. E perché dovremmo privare i nostri ragazzi di questo simbolo concreto? Perché lasciare solo una parete bianca e vuota?
Mi sento di aggiungere che anche chi non crede non ha nulla da perdere dal confronto con questo simbolo carico di storia e di pensiero, persino l’ateismo ha da guadagnare nel confrontarsi con il simbolo della croce, come mostrano, per fare solo tre celebri esempi, Feuerbach con "L’essenza del cristianesimo", Nietzsche con "L’anticristo" e Bloch con "Ateismo nel cristianesimo". Perché ci sia negazione, ci deve essere qualcosa da negare, sennò c’è solo il nulla, l’afasia: le zucche vuote di Halloween di cui parla il cardinal Bertone
Un terzo motivo riguarda il fatto che la croce è presente non solo nelle aule scolastiche ma in molti altri simboli e luoghi, nei quali non si vede perché debba rimanere se nelle aule scolastiche viene considerata una minaccia. Mi riferisco per esempio a numerose bandiere europee compresa quella della Finlandia (la nazione da cui viene la signora all’origine del ricorso alla Corte di Strasburgo), mi riferisco a numerosi stemmi di città italiane (ora che scrivo mi vengono in mente Milano e Genova, e penso anche a Venezia col suo leone che regge un vangelo, pericoloso elemento conturbante da sostituire quanto prima con un codice di diritto), mi riferisco a migliaia di opere d’arte e di croci presenti nelle città e sui monti italiani.
E poi come si potrà leggere e studiare in classe la Divina Commedia senza turbare la libertà religiosa dei non cattolici? E quando si chiama un’ambulanza come non urtare la sensibilità di qualcuno visto che si presenta la Croce Rossa? Duemila anni di storia, grazie ai quali nel bene e nel male siamo quelli che siamo, non si cancellano con una sentenza. Il diritto non può affermarsi astrattamente ignorando i contesti e le tradizioni dei popoli. Se lo fa, non è giustizia.