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UNA NAZIONE DI BURATTINI E MARIONETTE. EVANGELO, COSTITUZIONE, E UNA GERARCHIA VATICANA SENZA GRAZIA ("CHARIS") E AMORE ("CHARITAS") TUTTA ATTENTA A SERVIRE IL "DIO DEGLI AFFARI" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).

PINOCCHIO E NOI, ITALIANI ED ITALIANE: IL CROCIFISSO E UN PEZZO DI LEGNO. INDIETRO NON SI TORNA. Una nota su una discussione già fatta (2003) - di Federico La Sala

"C’era una volta. - Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. - No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno" (Collodi)!!!
mercoledì 2 novembre 2011
[...] Cosa rappresenta oggi per noi, italiani e italiane, il crocifisso? Niente, niente più: il cattolicesimo (e lo dicono pure tutti i sondaggi e le statistiche, al di là delle apparenze e degli opportunismi) ormai è solo una categoria sociologica che non esprime più L’ANIMA della "buona-notizia" e del "lieto-evento", ma dice solo dell’appartenenza ad una parziale visione politico-culturale di una determinata parte della società italiana. Non dice più né delle radici, né di nostro padre e (...)

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> IL CROCIFISSO ---- è un pezzo d’arredamento obbligatorio dell’aula scolastica, come la carta geografica d’Italia, la fotografia del Presidente o il busto di Cavour? Oppure è uno specifico segno religioso, diventato troppo potente e problematico per essere ridotto alla «tradizione nazionale degli italiani»? (Gian Enrico Rusconi - Crocifisso braccio di ferro inutile).

giovedì 5 novembre 2009

Crocifisso braccio di ferro inutile

di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 05.11.2009)

Il crocifisso è un pezzo d’arredamento obbligatorio dell’aula scolastica, come la carta geografica d’Italia, la fotografia del Presidente o il busto di Cavour? Oppure è uno specifico segno religioso, diventato troppo potente e problematico per essere ridotto alla «tradizione nazionale degli italiani»? Di questi italiani che non hanno più idea di che cosa significhi redenzione, salvezza, peccato ma in compenso strapazzano «le radici cristiane»? I clericali si illudono se ritengono che lo spazio pubblico, che continuano ad evocare come legittimo luogo di espressione della religione, si mantiene con una dubbia difesa giuridica della presenza del crocifisso in aula. Per questo la sentenza della Corte europea di Strasburgo suscita le solite furibonde discussioni, anziché mettere in moto un confronto ragionato di posizioni. E comportamenti coerenti. In termini giuridici la sentenza di Strasburgo è ineccepibile quando parla del «diritto dei genitori di educare i figli in linea con le loro convinzioni e con il diritto dei bambini alla libertà di religione». E’ un principio base di tutte le Costituzioni democratiche. Ma - si obietta - è esattamente quello che affermano anche i genitori cattolici che sostengono la necessità di esporre il crocifisso. In più per essi «la libertà di religione» comprende la manifestazione pubblica della loro fede, dei suoi segni e simboli. Scuola compresa. Il guaio è che ad essi non importa se questa esigenza entra in collisione con il principio su cui si fonda. E negano ad altri lo stesso diritto. Qui scatta un altro riflesso: il principio maggioritario, per cui l’esigenza dei dissenzienti o dei pochi rompiscatole (spesso considerati stravaganti o eccentrici) non viene riconosciuta o viene banalizzata.

Questo conflitto investe in profondità convinzioni ed emozioni. Ma non è una contrapposizione di valori a disvalori o assenza di valori - come pensano i clericali e gli agnostici devoti in politica. E’ importante insistere su questo punto se vogliamo andare alla sostanza del problema prima di vederlo tradotto in termini giuridici. Va respinta con energia l’accusa che chi (non credente o diversamente credente) vorrebbe rimuovere dallo spazio pubblico scolastico il segno della fede cristiana è una persona intollerante, insofferente, addirittura carica di astio contro la religione cristiana. Cristianofobica, si dice ora. Questa affermazione dovrebbe essere respinta per primi dai credenti seri. Qualcuno lo fa, ma troppo sommessamente e viene subito zittito come amico dei laicisti.

Lo stesso vale per l’accusa - su cui si insiste volentieri oggi - di rinnegare la tradizione popolare nazionale. Qualcuno non esita a parlare del crocifisso come di una componente simbolica dell’italianità. Il fondo della contraddizione è toccato dai leghisti che da una parte contestano e sbeffeggiano l’identità nazionale, e dall’altro difendono il crocifisso nelle scuole come simbolo intoccabile di tale identità.

Gli interrogativi di fondo sono due: il crocifisso è un segno religioso forte, specifico, storicamente e teologicamente inconfondibile (addirittura incompatibile) con altri? Oppure è un’immagine culturale, universale - di umanità sofferente, di amore universale? O addirittura è semplicemente uno straordinario motivo di creatività artistica e culturale di cui il nostro Paese è testimonianza eccezionale?

Se è vero il primo caso, vale il principio della libertà di coscienza. Ed è pertanto ridicola la protesta che la sentenza di Strasburgo miri a colpire una sensibilità preziosamente italiana. In realtà anni fa la stessa questione è stata affrontata e giuridicamente risolta nello stesso senso nella moderata e cristiana Germania, con un esemplare confronto tra la Corte costituzionale federale e la Corte regionale della Baviera. Se è vero il secondo caso, non si capisce perché - magari in nome del sempre declamato pluralismo dei valori - non si riconosca ad altre tradizioni culturali di essere portatrici - a pieno titolo - di umanità, tolleranza, solidarietà ecc.

A quanto dicono alcune rilevazioni, pare che alla maggioranza degli italiani ripugni l’idea di mettersi materialmente a staccare i crocifissi dalle aule cui ci si è abituati «tradizionalmente» appunto. Ma non credo che il punto sia iniziare un braccio di ferro tra autorità scolastiche, associazioni di genitori, gruppi di pressione vari per togliere o lasciare i crocifissi. La vera novità è non eludere il problema, parlarne in modo responsabile e pacato tra corpo docente, genitori e alunni stessi, soprattutto quelli delle classe superiori. Forse si farà la scoperta che i ragazzi sono più maturi di quanto non si sospetti. E soprattutto si smetta di «demonizzare» (è il caso di dirlo, in tempi di dubbi anche sul diavolo?) chi solleva problemi di civiltà giuridica - e non solo.


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