Religione. Storici e teologi a confronto al convegno promosso dalla Cei. Domani le conclusioni
La grammatica è la prova di Dio
Il filosofo Robert Spaemann arruola (e ribalta) Nietzsche
Si vuole dimostrare l’esistenza di Dio nelle condizioni della vita moderna, perché l’Illuminismo, alla fine, è costretto a distruggere se stesso
di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 11.12.2009)
«Che esista un essere che nella nostra lingua si chiama ’Dio’ è una vecchia diceria che non si riesce a mettere a tacere», una «diceria immortale». «Ma abbiamo un motivo per accettare che alla diceria intorno a Dio, dunque a ciò che noi pensiamo quando diciamo ’Dio’, corrisponda qualcosa nella realtà?». Robert Spaemann, il maggior filosofo tedesco vivente (professore emerito a Heidelberg e Monaco, visiting professor a Parigi, Rio de Janeiro, Lovanio e all’Accademia delle scienze sociali di Pechino, autore di opere tradotte in 14 lingue) torna sul nucleo centrale della sua riflessione. E blocca l’attenzione dei 1.500 partecipanti riuniti a Roma per l’evento internazionale «Dio oggi», organizzato dal Progetto culturale della Conferenza episcopale. Il filosofo affronta quello che ha definito «il problema della mistificazione moderna dell’intramontabile questione su Dio» («Die Frage nach Gott und die Täuschung der Moderne»). La parola Täuschung indica una torsione, una deformazione prospettica che restituisce un’immagine ingannevole del problema.
Spaemann spiega però all’auditorio che c’è la possibilità di dimostrare Dio «nelle condizioni della vita moderna». Cioè a partire da un pensiero inteso come dominio, come autoaffermazione e non più come il mostrarsi di ciò che è. Una «prova» dell’esistenza di Dio, come Spaemann ha detto, che sia «Nietzsche-resistente», perché «l’Illuminismo alla fine è costretto a distruggere se stesso». E di conseguenza non solo Dio, ma anche l’uomo: «Il risultato è il nichilismo ».
Concetti cari a Benedetto XVI, che li ha ribaditi nel messaggio letto in apertura del convegno: «Quando Dio sparisce dall’orizzonte dell’uomo, l’umanità perde l’orientamento e rischia di compiere passi verso la distruzione di se stessa ». «Ce lo insegnano - afferma il Papa - le esperienze del passato, anche non lontano». È per questo che, secondo il cardinale Camillo Ruini, motore dell’iniziativa «Dio oggi», «rendere testimonianza al vero Dio e al tempo stesso alla verità dell’uomo è il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere». Da Cartesio in poi l’intelligibilità dell’essere (il fatto che l’uomo comprende la realtà) non è più garanzia del fatto che ci sia Dio: la prova della sua esistenza, perciò, non parte più dal presupposto della verità della conoscenza. Compiuta la «torsione» della modernità, secondo Spaemann, l’argomento più convincente per dimostrare l’esistenza di Dio non è allora quello che guadagna Dio come causa prima, motore immobile, bensì quello che - con un percorso inverso a quello ontologico - giunge a Dio come al garante dello spazio della verità, entro il quale il soggetto può recuperare la propria identità. Dio è il garante di una realtà che sola permette a quell’«animale abile» che è oggi l’uomo (abile a manipolare tutta la propria vita) l’intelligibilità dell’essere e della verità.
Proprio per i motivi largamente esposti nella relazione di Spaemann - svolta interamente in italiano, per cui è stato ringraziato da Andrea Riccardi - chi più di altri ha contribuito a preparare il terreno per questa nuova prova dell’esistenza di Dio è paradossalmente Friedrich Nietzsche il teorico della «morte di Dio». Egli avrebbe infatti mostrato nel modo più radicale l’intimo nesso che collega l’idea di Dio con quella di verità. La negazione di Dio comporta la negazione della verità, comporta che l’uomo si limiti solo a conoscere i propri stati d’animo soggettivi. Cosa che però all’uomo stesso è strutturalmente quasi impossibile. A questo proposito Spaemann cita un’affermazione del pensatore che si era dichiarato ateo «per istinto». «Io temo - scrive Nietzsche - che non ci libereremo di Dio finché continuiamo a credere alla grammatica». E Spaemann commenta: «Il problema è che non possiamo fare a meno di credere alla grammatica e anche Nietzsche ha potuto scrivere quello che scrisse soltanto perché ha affidato alla grammatica quello che ha voluto dire». La grammatica però oggi viene attaccata dagli stessi strumenti di comunicazione, soprattutto la tv, secondo il critico Aldo Grasso: «Osservando il creato si ha l’impressione che Dio ami la complessità e invece la tv ama la semplicità, fino a confonderla con la banalità». La «diceria immortale » ha profonde conseguenze vitali ed esistenziali «perché - ha affermato Spaemann - la traccia di Dio nel mondo, da cui oggi dobbiamo prendere le mosse, è l’uomo, siamo noi stessi». Implicazioni immediate sul terreno delle tecnoscienze e della bioetica, di cui hanno discusso in una tavola rotonda, voluta al termine della prima giornata, Aldo Schiavone, il cardinale Carlo Caffarra, Enrico Berti e Giuliano Ferrara. Ma conseguenze soprattutto sul senso della vita. Le Confessioni di Sant’Agostino hanno chiuso l’intervento del presidente della Cei, Angelo Bagnasco: «Quando cerco te, o mio Dio, io cerco la felicità della mia vita. Ti cercherò perché viva l’anima mia».