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DIO E’ AMORE ("Deus charitas est": 1 Gv., 4.8), MA PER LA CHIESA DI PAPA RATZINGER DIO E’ VALORE ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006). E "il valore ha una sua propria logica" (Carl Schmitt ).... quella di "Mammona" e di "Mammasantissima".

IL "DIO OGGI" DELLA CHIESA CATTOLICA E’ IL DIO -VALORE: "I NOSTRI VALORI NON SONO NEGOZIABILI". Un’intervista al cardinale Ruini (di Orazio La Rocca), e una riflessione su "la libertà di pensare Dio sfidando la Chiesa" di Vito Mancuso - a cura di Federico La Sala

Di valori non negoziabili - ma non solo - si parlerà a Roma al convegno «Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto», organizzato dal cardinale Camillo Ruini, presidente del Progetto Culturale Cei.
sabato 12 dicembre 2009 di Federico La Sala
[...] «L’uomo non è un semplice prodotto della natura. E’ questa la base su cui poggiano tutte quelle
tematiche che Benedetto XVI riassume, per cattolici, credenti, non credenti e uomini di buona
volontà, quando parla di "valori non negoziabili"». Valori che - ricorda il Papa - hanno come fine
ultimo la difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale. Di valori non negoziabili - ma
non solo - si parlerà a Roma al convegno «Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto», (...)

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> IL "DIO OGGI" DELLA CHIESA CATTOLICA E’ IL DIO -VALORE: "I NOSTRI VALORI NON SONO NEGOZIABILI". --- Il filosofo Robert Spaemann arruola (e ribalta) Nietzsche (di Maria Antonietta Calabrò)

venerdì 11 dicembre 2009

Religione. Storici e teologi a confronto al convegno promosso dalla Cei. Domani le conclusioni

La grammatica è la prova di Dio

Il filosofo Robert Spaemann arruola (e ribalta) Nietzsche

Si vuole dimostrare l’esistenza di Dio nelle condizioni della vita moderna, perché l’Illuminismo, alla fine, è costretto a distruggere se stesso

di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 11.12.2009)

«Che esista un essere che nella nostra lingua si chiama ’Dio’ è una vecchia diceria che non si riesce a mettere a tacere», una «diceria immortale». «Ma abbiamo un motivo per accettare che alla diceria intorno a Dio, dun­que a ciò che noi pensiamo quando diciamo ’Dio’, corrisponda qualcosa nella realtà?». Ro­bert Spaemann, il maggior filosofo tedesco vi­vente (professore emerito a Heidelberg e Mona­co, visiting professor a Parigi, Rio de Janeiro, Lovanio e all’Accademia delle scienze sociali di Pechino, autore di opere tradotte in 14 lingue) torna sul nucleo centrale della sua riflessione. E blocca l’attenzione dei 1.500 partecipanti riuniti a Roma per l’evento internazionale «Dio oggi», organizzato dal Progetto culturale della Confe­renza episcopale. Il filosofo affronta quello che ha definito «il problema della mistificazione moderna dell’intramontabile questione su Dio» («Die Frage nach Gott und die Täuschung der Moderne»). La parola Täuschung indica una torsione, una deformazione prospettica che restituisce un’immagine ingannevole del problema.

Spaemann spiega però all’auditorio che c’è la possibilità di dimostrare Dio «nelle condizio­ni della vita moderna». Cioè a partire da un pen­siero inteso come dominio, come autoafferma­zione e non più come il mostrarsi di ciò che è. Una «prova» dell’esistenza di Dio, come Spae­mann ha detto, che sia «Nietzsche-resistente», perché «l’Illuminismo alla fine è costretto a di­struggere se stesso». E di conseguenza non so­lo Dio, ma anche l’uomo: «Il risultato è il nichili­smo ».

Concetti cari a Benedetto XVI, che li ha ribadi­ti nel messaggio letto in apertura del convegno: «Quando Dio sparisce dall’orizzonte dell’uomo, l’umanità perde l’orientamento e rischia di compiere passi verso la distruzione di se stes­sa ». «Ce lo insegnano - afferma il Papa - le esperienze del passato, anche non lontano». È per questo che, secondo il cardinale Camillo Ruini, motore dell’iniziativa «Dio oggi», «ren­dere testimonianza al vero Dio e al tempo stes­so alla verità dell’uomo è il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere». Da Cartesio in poi l’intelligibilità dell’essere (il fatto che l’uomo comprende la realtà) non è più garanzia del fatto che ci sia Dio: la prova della sua esistenza, perciò, non parte più dal presupposto della verità della conoscenza. Compiuta la «torsione» della modernità, secon­do Spaemann, l’argomento più convincente per dimostrare l’esistenza di Dio non è allora quello che guadagna Dio come causa prima, motore immobile, bensì quello che - con un percorso inverso a quello ontologico - giunge a Dio come al garante dello spazio della verità, entro il quale il soggetto può recuperare la pro­pria identità. Dio è il garante di una realtà che sola permette a quell’«animale abile» che è og­gi l’uomo (abile a manipolare tutta la propria vita) l’intelligibilità dell’essere e della verità.

Proprio per i motivi largamente esposti nella relazione di Spaemann - svolta interamente in italiano, per cui è stato ringraziato da Andrea Riccardi - chi più di altri ha contribuito a pre­parare il terreno per questa nuova prova del­l’esistenza di Dio è paradossalmente Friedrich Nietzsche il teorico della «morte di Dio». Egli avrebbe infatti mostrato nel modo più radicale l’intimo nesso che collega l’idea di Dio con quel­la di verità. La negazione di Dio comporta la ne­gazione della verità, comporta che l’uomo si li­miti solo a conoscere i propri stati d’animo sog­gettivi. Cosa che però all’uomo stesso è struttu­ralmente quasi impossibile. A questo proposito Spaemann cita un’affer­mazione del pensatore che si era dichiarato ateo «per istinto». «Io temo - scrive Nietzsche - che non ci liberere­mo di Dio finché conti­nuiamo a credere alla grammatica». E Spae­mann commenta: «Il problema è che non possiamo fare a meno di credere alla gramma­tica e anche Nietzsche ha potuto scrivere quel­lo che scrisse soltanto perché ha affidato alla grammatica quello che ha voluto dire». La grammatica però oggi viene attaccata dagli stessi strumenti di co­municazione, soprattut­to la tv, secondo il criti­co Aldo Grasso: «Osser­vando il creato si ha l’impressione che Dio ami la complessità e in­vece la tv ama la sempli­cità, fino a confonderla con la banalità». La «diceria immorta­le » ha profonde conse­guenze vitali ed esistenziali «perché - ha affer­mato Spaemann - la traccia di Dio nel mondo, da cui oggi dobbiamo prendere le mosse, è l’uo­mo, siamo noi stessi». Implicazioni immediate sul terreno delle tecnoscienze e della bioetica, di cui hanno discusso in una tavola rotonda, vo­luta al termine della prima giornata, Aldo Schia­vone, il cardinale Carlo Caffarra, Enrico Berti e Giuliano Ferrara. Ma conseguenze soprattutto sul senso della vita. Le Confessioni di Sant’Ago­stino hanno chiuso l’intervento del presidente della Cei, Angelo Bagnasco: «Quando cerco te, o mio Dio, io cerco la felicità della mia vita. Ti cer­cherò perché viva l’anima mia».


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