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Chiesa ed Eucharistia. Il comandamento dell’amore e la norma personalistica ....

Amore e responsabilità (Karol J. Wojtyla) - e "caritas" (J. Ratzinger) !!! Fonti cattoliche a confronto, in chiave dialettico-polemica. Ripreso Giovanni Paolo II, l’ennesimo affondo per il dibattito - di Federico La Sala

Il magistero del "Deus caritas est" ("Dio caro-prezzo è") o il magistero del "Deus charitas est" ("Dio è Amore")?!
lunedì 6 marzo 2006 di Emiliano Morrone


AMORE E RESPONSABILITA’
di Karol Wojtyla - Giovanni Paolo II *
L’INDICE DEL LIBRO
I. La persona e la tendenza sessuale
Analisi della parola “godere”
1. La persona soggetto e oggetto dell’azione
2. Primo significato della parola “godere”
3. “Amare” contrapposto a “usare”
4. Secondo significato della parola “godere”
5. Critica dell’utilitarismo
6. Il comandamento dell’amore e (...)

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> Amore e responsabilità (Karol J. Wojtyla) - e "caritas" (J. Ratzinger) !!! ---- «Religioni e sessualità». Tesi non convincenti di teologi su “Confronti” (di David Gabrielli)

sabato 28 settembre 2013

Tesi non convincenti di teologi su “confronti”

di David Gabrielli

in “confronti” - il mensile di fede politica e vita quotidiana - n. 10 dell’ottobre 2013

H o letto con particolare interesse il numero monografico di settembre di Confronti , curato dal sempre solerte Brunetto Salvarani e dedicato quest’anno al tema «Religioni e sessualità». Ho trovato assai stimolanti molti dei contributi che l’arricchiscono. Qui, a quattro di essi (dedicati, si potrebbe dire, a «Cattolicesimo e sessualità»), vorrei esprimere una mia opinione, assai critica, su alcune tesi. Concordo pienamente con Giancarla Codrignani, quando tra l’altro afferma: «Il nuovo catechismo [della Chiesa cattolica, varato da Giovanni Paolo II nel 1992] unifica - parr. 2351-57 - adulterio, masturbazione, omosessualità, prostituzione e stupro, mostrando totale ignoranza di ciò di cui intende fare dottrina». Mi ritrovo, poi, abbastanza, nelle riflessioni di Luca Zottoli su «Il Concilio Vaticano II e la sessualità»; mi pare invece indifendibile quanto lo stesso autore, docente di teologia morale a Modena, afferma ne «Il dibattito sulla Humanae vitae fra dottrina e vita quotidiana», cioè sull’enciclica con cui Paolo VI, nel 1968, dichiarava immorale la contraccezione.

Da una parte lo studioso difende quel testo come un atto del magistero che i fedeli debbono accogliere; dall’altra tiene però conto delle difficoltà di molti coniugi a seguire quelle indicazioni e dunque, nel contempo, suggerisce ai confessori di valutarli con misericordia, secondo la «legge della gradualità», e sperando che essi arriveranno infine a fare proprie le normative papali.

L’ Humanae vitae - è bene ricordare - fu accolta con disagio da molti episcopati, con malessere da gran parte del mondo teologico, con aperto dissenso da diversi teologi/e e da moltissimi fedeli: come mai? Il quesito, riproposto anche oggi, all’osso si può riassumere così: chi rifiuta l’enciclica lo fa perché indisposto ad assumersi il peso che comporta seguire il Vangelo o non, invece, perché ha fondati motivi di ritenere quella normativa estranea al messaggio di Gesù e legata piuttosto ad una radicata sessuofobia e ad una mentalità - rispettabile ma in nessun modo obbligante - che quasi eleva a divinità la «legge naturale» come intesa dal magistero ecclesiastico? Condivido il secondo corno del dilemma, e perciò tutte le argomentazioni di Zottoli mi sembrano un castello di carta ideologico per salvare comunque il principio dell’autorità papale; non lo sfiora l’idea che la normativa espressa da Paolo VI sia un abuso di potere. Eppure fior di teologi e teologhe hanno dimostrato, con una logica ardua da contrastare, l’impossibilità di fondare biblicamente e antropologicamente i no dell’enciclica, pur sempre ripetuti con instancabile zelo anche da papa Wojtyla. Insomma, dal labirinto di quel testo non si esce, pensano in molti, se non rifiutandone le tesi di fondo.

D’altronde, senza dover citare teologi... pericolosi, trovo davvero strano che su Confronti non si siano ricordate le parole del cardinale Carlo Maria Martini nel 2011: dall’ Humanae vitae «è derivato un grave danno» giacché, a causa del divieto della contraccezione, «molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone». E, evidenziata la decisione «personale» di Paolo VI, il porporato aggiungeva: «In passato la Chiesa si è forse pronunciata anche troppo intorno al sesto comandamento. Talvolta sarebbe stato meglio tacere».

Analoga critica vorrei fare alle tesi di Giacomo Coccolini ne «La teologia del corpo in Giovanni Paolo II». Egli - a ragione - sottolinea la novità e, direi, l’arditezza delle catechesi proposte da papa Wojtyla in 133 udienze generali dal 1979 all’84; ma, poi, il docente presso l’Istituto di scienze religiose di Bologna bypassa tranquillamente quella che non si può non definire una lampante contraddizione: quel pontefice, infatti, dopo tante alate parole sull’amore, ribadì con tenacia le normative di Paolo VI e del cardinale Ratzinger in materia di sessualità, che pur erano figlie di un’altra ed avversa teologia.

Altri si ritroveranno nelle tesi dei due teologi citati, e avranno le loro ragioni; ma io resto del parere che con i silenzi sulle aporie del magistero papale si faccia un’analisi monca e fragilissima della tensione norma/coscienza, e una teologia che non ha futuro.


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