I sogni dei preti nel nuovo millennio meno solitudine e più apertura alla vita
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2010)
Sognano di non vivere disperatamente soli, sognano una Chiesa lontana dai Palazzi, ma soprattutto chiedono l’ascolto di una gerarchia ecclesiastica, che appare lontana. E’ il sogno dei preti nel nuovo millennio. “Sogni da prete” (Edizioni Dehoniane) è l’inchiesta molto originale condotta da un preteprofessore, Angelo Sabatelli, convinto che il grande psicanalista Carl Gustav Jung avesse ragione quando scriveva che l’immaginazione non è un fantasticare a caso, ma il tentativo di comprendere i fatti e di rappresentarli con “immagini fedeli alla loro natura”. Docente di Psicopedagogia alla Facoltà teologica di Puglia, Sabatelli ha lavorato per tre anni, d’intesa con i vescovi, tra i preti pugliesi per far emergere la loro immagine di Chiesa e di sacerdozio.
Sono tempi difficili per la struttura ecclesiastica. A livello mondiale il clero è insufficiente per un miliardo e duecento milioni di cattolici. In Italia i preti sono circa 33.000, di cui millecinquecento stranieri, ma si prevede che in un ventennio il clero diocesano attivo si contrarrà nelle varie regioni del 25 e persino del 35 per cento.
L’inchiesta, basata su colloqui in quattordici “focus group”, cade in coincidenza con l’Anno sacerdotale proclamato da Benedetto XVI. E un primo dato, segnalato dalle conversazioni riservate, è che la maggioranza degli interrogati sono “contenti di essere prete”, di lavorare tra la gente, nelle case, con i giovani e le famiglie. Il che, d’altra parte, è avvalorato dall’indice di gradimento piuttosto alto di cui in genere godono i parroci nei sondaggi. Ma al tempo stesso è forte il bisogno di non farsi fagocitare da un lavoro di tipo impiegatizio. Il sogno di molti è di avere più tempo per pregare.
Conferma della propria missione non significa chiudere gli occhi dinanzi alla realtà. Chi era partito prima dell’ordinazione con un’ immagine di Chiesa idealizzata, in cui il sacerdote, è “adorato e venerato”, si accorge della fatica di rapportarsi alla società attuale. Confida ironicamente un prete che sarebbe utile scrivere un documento intitolato “Come annunciare il Vangelo in un mondo che se ne frega”. A contatto con i problemi quotidiani - anche quello di prepararsi un piatto in cucina! - molti si rendono conto che l’immagine del parroco piccolo monarca è irreale.
Di sicuro c’è in molti la percezione di uno stato di minoranza. Commenta un sacerdote che è ora di “iniziare a pensare che non saremo diecimila gatti, ma 2 o 3 che vogliono annunciare al mondo il Cristo Risorto”.
Tuttavia più che dalla gente gli ostacoli sembrano venire dallo stesso ambiente ecclesiastico. Sono testimonianze amare: “Le difficoltà maggiori derivano dai miei confratelli... Un uomo prete è essenzialmente egocentrico... Con gli (altri) sacerdoti scattano a volte meccanismi un po’ di gelosia, di invidia...Vorrei meno competitività, più umiltà”. Il grande spettro è la solitudine: “Sogno la possibilità di non essere più da solo in questa casa ... Il mio ideale di comunione si scontra con il fatto che sono solo in canonica e che non c’è un cane di prete che ti dice: viviamo insieme”.
E allora il sogno è di stare in mezzo agli altri, fare il “papà” della propria comunità, vedersi punto di riferimento nelle relazioni spirituali, presentarsi “più uomo di Dio che saggio”. “Ho quasi settant’anni - esclama un prete - e da dieci anni vivo in una nuova parrocchia che è nata con me e mi ha ridato carica”. Sogno ricorrente è quello di una “Chiesa che non si chiude nei suoi palazzi”. Certo, afferma un altro, “con il Concilio si sperava che le cose sarebbero andate meglio, ma credo che poi forse la Chiesa non ha avuto il coraggio di fare una scelta precisa e decisa, e viviamo in una situazione molto ambigua e confusa”.
La ricerca rivela un mondo in faticoso, ma volonteroso adattamento al mutare dei tempi. Non a caso il sociologo cattolico Luca Diotallevi parla di lifelong learning, un processo di formazione che duri tutta la vita. Traspare dalle risposte il disagio nei confronti di una gerarchia che, sbotta un prete, “tende a soffocare” la discussione dei problemi. Dice un prete, rivolgendosi nell’immaginazione ai vescovi: “Lasciate esplodere prima che diventi insostenibile la situazione. Lasciate emergere, affiorare quelli che sono i veri problemi che travagliano le parrocchie, i sacerdoti, i laici, tutti”. Perché - così emerge dai colloqui - la Chiesa parla molto di rispetto della persona umana dai pulpiti, ma fino a che punto è un ideale realizzato al proprio interno? “I preti vogliono essere ascoltati”, riassume l’autore dell’indagine.
Una gerarchia che decide tutto per conto proprio, nelle alte sfere, non è quello che si aspettano i sacerdoti nella trincea della missione quotidiana. “Chi guida - dichiara un parroco - dovrebbe essere molto più attento ad ascoltare”. Fosse così, viene da pensare, l’atteggiamento della Chiesa sarebbe stato diverso negli ultimi anni su tante questioni: dalle coppie di fatto alla fecondazione artificiale, al testamento biologico.