La ragione simbolica è pratica?
di Roberta de Monticelli (Il Sole-24 Ore, 22 luglio 2012)
Scriveva Kant nella Critica del giudizio: «Il poeta osa dar corpo a quelle essenze invisibili che sono le idee... il paradiso e l’inferno, l’eternità, la creazione, o anche a quelle di cui l’esperienza ci dà qualche esempio... ben oltre i limiti dell’esperienza che ne abbiamo...». Gustavo Zagrebelsky non esita ad allargare ben oltre la sfera di influenza dell’arte il potere dei simboli: «Attraversando il segno simbolico, si dischiude una dimensione supra-sensibile e supra-razionale dove gli esseri umani incontrano un mondo che è per loro realtà, come il divino e il diabolico, l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, l’infinitamente alto o l’infinitamente profondo, la giustizia e l’ingiustizia, l’ordine e il caos, il potere e l’arbitrio, l’amore e l’odio, l’unione e la divisione, il puro e l’impuro, la riscossa e la rassegnazione, la pace e la guerra: realtà anch’esse, per chi le percepisce, le desidera o le teme, pur se appartenenti a un altro ordine di realtà rispetto a quelle empiriche e razionali».
Il nuovo piccolo libro del grande costituzionalista è perfetto per spalancare la vacanza della mente alla vastità di quell’«immensa ontologia invisibile» (Searle) che è il mondo della nostra vita associata, con i suoi oggetti invisibili eppure realissimi almeno nei loro effetti, come mercati e monopoli, confini nazionali e proprietà, matrimoni e professioni, conflitti e guerre... Ma l’oggetto del libro non sono i fatti, le relazioni e gli atti sociali, ma ciò che in qualche modo li avvolge: le Idee, primo e ultimo oggetto della filosofia.
Questo rende insieme affascinante e scivolosa la breve via per cui Zagrebelsky ci conduce, e che a ogni svolta apre ulteriori e indefinite possibilità di accogliere l’invito che i simboli fanno - a pensare. O magari qualche volta al contrario - a sognare. Che cosa sono le Idee? Grumi di «eccedenza di significato che non si lascia racchiudere in un concetto determinato... sfugge al discorso descrittivo e razionale, si affida all’immaginazione, è sempre produttivo di significati e dà motivo per rivolgersi al passato... ma anche per guardare avanti, immaginando, sperando...». Eppure c’è un indizio che le Idee non sono solo, e non sono fondamentalmente questo.
È la parola «ideologia», che ci conduce nel cuore di questa operetta morale. Zagrebelsky riconosce quanto imbarazzante possa essere questa parola, e tuttavia osserva anche come il tramonto delle ideologie sia tutt’uno con il «deserto simbolico», l’apparente povertà che nelle nostre società affligge quella delle tre funzioni sociali riconosciute da Platone a Dumézil - la funzione economica, quella politica e quella simbolica - l’ultima, quella che invece è stata nei millenni - attraverso i chierici religiosi o laici di ogni civiltà - la funzione più potente e necessaria alle altre, quella che plasma le «rappresentazioni collettive» e dà alimento alla «fiducia» e alla «speranza» sulle quali si basano le convivenze umane. Quella di cui da sempre ha bisogno la politica per esistere e governare.
Ci sono pagine che il Presidente di Libertà e giustizia dedica alla nullità ideale e simbolica degli emblemi e dei discorsi dei partiti qui e oggi, pagine di cui non si può non condividere tutto l’irridente sconforto. Ma ecco, siamo al punto.
Se tanto necessaria e potente è la funzione simbolica, che in veste di ideologia «prende possesso delle menti...» - non sarebbe indispensabile, oggi, liberare questa funzione dall’ambiguità costitutiva - fra pensiero e «sogno», critica e illusione, libertà e prigionia della mente, che al procedere «simbolico» sembra costitutivamente inerire? Se la politica è nella sua Idea il governo delle società umane secondo giustizia e ragione, non è davvero tempo di provare a mettere a fuoco che cosa sia un’Idea come questa? Il nucleo di quest’idea è una qualità di valore, la «giustizia»: è possibile uno spazio non «ideologico», delle ragioni, dell’informazione, della critica, e naturalmente del confronto fra ordinamenti di priorità di valore diversi, quindi di diverse «parti» politiche?
Insomma: è possibile una fondazione razionale del pensiero pratico, che nella cognizione del dolore e dell’ingiustizia abbia proprio le sue fonti di evidenza? Ciò che fa dei fatti sociali dei beni o dei mali è offerto infine alla nostra critica, sorvegliata esperienza dei valori e disvalori, o consegnato all’arbitrio delle suggestioni, delle religioni, degli dei o delle forze in campo? Insomma: c’è possibile ricerca di verità nel campo dei valori, o la ragione pratica è «soltanto» ragione simbolica?
* G. Zagrebelsky, Simboli al potere. Politica, fiducia, speranza, Einaudi, Torino, pagg. 92, € 10,00