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SVOLTA IN FRANCIA. DALLA CARITÀ ("CHARITE’") DI PASCAL ALLA CARITA’ DI PAPA RAZTINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006), DALLA CHIAREZZA DI CARTESIO ALLA "CONFUSIO-NE" ("COMMUNIO") DI J.-L. MARION ....

IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION: DALL’ACCOGLIENZA DELLA DIVERSITÀ ALLA DIFESA DELL’IDENTITÀ, ’NAZIONALE’ E ’CATTOLICA’. Sul tema, un articolo di Philippe Bernard ("Le Monde"), di Marcel Neusch ("La Croix") e un’intervista di Isabelle de Gaulmyn a Marion ("La Croix") - a cura di Federico La Sala

Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di origine straniera - si ritiene più rassicurante per l’elettore
martedì 26 gennaio 2010
[...] Le incertezze politiche e la crisi economica hanno probabilmente avuto ragione delle convinzioni
del capo dello Stato. Con una disoccupazione galoppante e delle elezioni regionali difficili in
prospettiva, non era più il caso di sostenere un discorso suscettibile di essere percepito come
favorevole alla promozione, anche sul lavoro, di persone provenienti dall’immigrazione.
Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di (...)

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>iN MEMORIA DI RICOEUR E FREUD, AL DI LA’ DELLA IDEOLOGIA DELLA TERRA E DEL SANGUE - Sul progetto di legge "Matrimonio per tutti", l’intervento di Irène Théry (direttrice di studi a EHESS) e un’interv. a Caroline Thompson (psicoanalista terapeuta familiare della Pitié-Salpêtrière) )

lunedì 12 novembre 2012

      • NOTA SUL TEMA:

L’alterità sessuale sopravviverà

di Irène Théry, direttrice di studi a EHESS (École des Hautes Études en Sciences Sociales)

in “Le Monde” del 9 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Impegnandosi a trasformare due istituzioni fondamentali come il matrimonio e la filiazione, la nuova maggioranza ha alzato di molto la posta in gioco. Lo ha fatto pensando che l’essenziale si gioca attorno ad una certa idea non più solo di ciò che riguarda “loro”, gli omosessuali (la loro situazione, le loro aspirazioni, i loro diritti), ma proprio di ciò che riguarda “noi”, che facciamo società comune al di là delle pluralità dei nostri orientamenti sessuali.

Ma forse non aveva valutato il grande spostamento di prospettiva che stava introducendo: dal problema della sessualità al problema dei sessi. Ancora ieri, si poteva credere che “l’uguaglianza delle sessualità”, opponendo gli eterosessuali agli omosessuali secondo il vecchio schema dominanti/dominati, sarebbe stato sufficiente per introdurre la retorica ben rodata della lotta alle discriminazioni.

Oggi, non si tratta certo di negare che esiste una fortissima sensazione di disuguaglianza nelle coppie dello stesso sesso. Ma per comprenderne le ragioni profonde, occorre riconoscere che opporre eterosessuali e omosessuali non permette appunto di pensare ciò che trascende queste categorie identitarie: la nostra condizione comune di esseri sessuati e mortali.

Per questo, ormai, il cuore del dibattito è il grande problema dei sessi. È al centro dell’interrogativo di coloro che si preoccupano: ci stanno dicendo che non c’è più né padre né madre, ma un “genitore” in qualche modo asessuato? Polarizza gli anatemi di coloro che stigmatizzano l’omogenitorialità: “Si vuole distruggere la differenza dei sessi! È un crimine contro la nostra condizione antropologica!”. Ma rode anche coloro che, impegnati a promuovere i diritti delle famiglie omogenitoriali, scoprono che esse interrogano necessariamente quelle categorie che si credevano così semplici: il padre e la madre.

È qui che il dibattito degli esperti “psi” (psicologi, psicanalisti, psichiatri) assume tutta la sua importanza. Dieci anni fa sono stati loro a porre per primi il problema dei sessi, a rischio di non essere compresi, o di essere trattati da omofobi. Oggi, questo dibattito ha conquistato la sua legittimità, ed è chiaro che le divisioni dei clinici esprimono in realtà quelle della società intera. L’interesse per il loro dibattito deriva dal fatto che mette in scena in maniera radicale l’opposizione tra le due vie tra le quali dobbiamo scegliere. Riguarda due casi precisi: l’adozione e l’assistenza medica alla procreazione (AMP) con un terzo come donatore, ossia i casi in cui, per ipotesi, la coppia dei genitori non è quella di coloro che hanno procreato.

La prima via riconduce all’opposizione radicale tra “noi” e “loro” con una messa sotto accusa senza precedenti dei genitori omosessuali. Che cosa abbiamo potuto leggere in queste ultime settimane in testi scritti da coloro (esperti “psi”, ma anche rappresentanti religiosi) che denunciano il “delirio” della “omogenitorialità”? Sempre la stessa idea. Le coppie dello stesso sesso che rivendicano l’adizione o AMP vogliono soddisfare una loro fantasia: far credere al figlio che è “nato” dalla loro unione sessuale. Sottolineiamo l’uso ripetuto di questo termine, “nato”: è la parola chiave.

Certo, gli esperti “psi” non vogliono dire che gli omosessuali nasconderebbero al figlio il modo in cui è avvenuto il concepimento. Ma ciò che scrivono nero su bianco è proprio che questa pretesa “onestà” rende solo più perversa (nel senso freudiano del termine) la loro fantasia segreta: sconvolgere l’istituto della filiazione per abolire simbolicamente la natura, e cancellare l’alterità sessuale al punto da negare che un terzo dell’altro sesso sia stato necessario nel concepimento del loro figlio.

Il tono virulento di coloro che ci predicono la distruzione del soggetto occidentale se la nostra società cedesse a tale richiesta “folle” è all’altezza dell’accusa rivolta: niente di meno che la “negazione del reale” e la volontà feroce e ingenua di privare i figli dell’iscrizione simbolica nella distinzione maschile/femminile, fino ad ora incarnata dalla coppia immemorabile del padre e della madre.

Ma il dibattito degli esperti “psi” testimonia anche che è possibile un’analisi completamente diversa. Quella che comincia col riconoscere che sono proprio le coppie dello stesso sesso a non avere la tentazione di fare come se avessero procreato insieme il loro figlio adottato o nato da AMP. Invece, questa tentazione esiste nelle coppie genitoriali tradizionali, tanto più che subiscono una vera ingiunzione sociale del “fare come se”. In effetti, l’adozione fu costruita all’inizio come una “seconda nascita” che aboliva la prima.

Per molto tempo, si è trovato normale nascondere l’adozione al bambino, a cui era negato l’accesso al suo “dossier”. E solo recentemente alcuni bambini adottati hanno osato esprimere la sofferenza prodotta dalla cancellazione delle loro origini.

Quanto al modello francese di AMP con terzo donatore, va ancora più in là nella falsificazione della realtà: il principio legale di questo sistema infatti è quello di “far sparire” il dono e far passare la coppia dei genitori riceventi per una coppia procreatrice... Con il rischio di dire in seguito ai figli nati dal dono: “Le cose stanno così, non c’è che accettarle”.

Rifiutare di fare delle coppie dello stesso sesso i capri espiatori di queste contraddizioni e saper tornare al “noi” del nostro mondo comune: è questa la via che difendono coloro che - esperti “psi” o no - sono attenti alle grandi evoluzioni della famiglia.

Essa presuppone di vedere qual è la grossa posta in gioco. L’istituzione di un’adozione o di una AMP omogenitoriale, con un figlio con due padri o due madri, non priverà questo figlio né della simbolizzazione dell’alterità sessuale né dell’iscrizione comune nella distinzione maschile/femminile, se la nostra società sarà capace di trasformare queste istituzione a favore di tutti.

Ciò che noi dobbiamo infatti a tutti i bambini adottati o nati da AMP, indipendentemente dalla coppia dei loro genitori, è rispettare in priorità ciò che Paul Ricoeur chiamava l’identità narrativa: “Rispondere alla domanda chi, significa raccontare una storia.” Quando il nostro sistema di genitorialità farà spazio, accanto alla filiazione e senza alcuna rivalità con essa, alla possibilità - per ogni figlio maggiorenne che lo desideri - di accedere alla propria origine personale, si cesserà infine di pretendere che si può essere pienamente “genitori” solo se si può passare per “procreatori”. Si vedrà allora che il problema dei sessi si è fatto più complesso, valorizzando come non mai l’impegno genitoriale, base della filiazione, senza negare comunque la storia del bambino. Ma si comprenderà soprattutto che la nostra condizione comune, sessuata e mortale, ha trovato con questa metamorfosi un nuovo senso e un nuovo prezzo. Per tutti.


“Gli psicanalisti devono ascoltare i loro pazienti e non dire la norma”

intervista a Caroline Thompson,

a cura di Nicolas Truong

in “Le Monde” del 9 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Gli esperti “psi” (psicologi, psichiatri, psicanalisti...) si sono trovati un po’ intrappolati dalla mania di concepire i problemi di società in termini di “a favore o contro”. Ora, una delle forze degli psicanalisti è di avere una posizione più arretrata rispetto all’alternativa del “a favore o contro”. Quando ascoltiamo ciò che ci dice un paziente, non siamo a favore o contro, ma in una neutralità rispetto al contenuto di ciò che può dire. Possiamo sentire cose molto scioccanti, affermazioni razziste, sessiste, fantasie di grande violenza... Non siamo lì per dire “Questo è bene” o “ Questo non è bene”.

È la specificità del nostro mestiere: non essere espressione di una norma. Gli esperti “psi” sono stati attirati come calamite verso ciò che ritenevano di loro competenza, ossia il benessere del bambino e la struttura della famiglia, e il modo in cui questa struttura realizzava l’universo psichico e l’universo del bambino. Ma questo ha immediatamente creato un discorso normativo e paternalista.

È così a causa di una storia complicata tra la psicanalisi e l’omosessualità?

L’omosessualità era considerata come una perversione da Freud, in un senso più medico, certo, della perversione come la si può intendere oggi quando si dice di un individuo: “È un perverso”. Ma è comunque per lui una devianza, nel senso etimologico del termine, cioè che la sessualità “normale”
-  perché per Freud c’è una sessualità normale - è deviata dal suo oggetto e si dirige verso lo stesso sesso, cioè un oggetto diverso dall’oggetto “normale”, che dovrebbe essere la persona di sesso opposto. Per Freud, l’omosessualità è una devianza di uno sviluppo normale.

Quindi una forma di patologia?

Freud ritiene che l’omosessualità crea delle personalità più infantili o più narcisistiche. E occorre ricordare che fino agli inizi degli anno 80 - anche se non lo si diceva in questo modo - non si era analisti se si era omosessuali. Si nascondeva la propria omosessualità se si voleva diventare analisti, perché si riteneva che un analista omosessuale non avrebbe potuto analizzare bene il transfert. Non si tratta di incriminare Freud, che è stato un geniale esploratore dell’animo umano. Ma non per questo tutto quello che ha fatto è geniale.

C’è un corpus freudiano molto interessante per gli psicanalisti che possono servirsene come un riferimento, ma non certo come delle tavole della legge. Con Freud, si ha la realizzazione di un corpus clinico ancora utile. Ma certi psicanalisti fanno fatica a far entrare la nuova famiglia nel corpus freudiano (sulla genitorialità o sul complesso di Edipo, in particolare). Ne traggono le conclusioni che si debba bloccare il cambiamento familiare e sociale. Ma dimenticano che Freud ha cominciato osservando ciò che c’era attorno a lui, lasciando da parte il giudizio morale. Ma certi psicanalisti dicono che l’omogenitorialità cancellerebbe l’alterità, farebbe scomparire il ruolo del padre e della madre e costituirebbe un attacco all’equilibrio psichico dei bambini.

Questi argomenti sono accettabili?

È vero che il problema della differenza è fondamentale per lo sviluppo dello psichismo del bambino. Nella psicanalisi, questa differenza si fa su quella dei sessi e delle generazioni. La differenza delle generazioni esiste nell’omogenitorialità: non sono persone di 5 anni che adottano persone di 4 anni, sono degli adulti che adottano dei bambini. È evidente che un uomo e una donna sono differenti. Ma Freud ha anche parlato molto della bisessualità psichica - ogni essere è maschile e femminile - spiegando che c’era una differenza tra il maschile e il femminile biologici, esteriori, e il maschile e il femminile psichici, che sono di ordine diverso.

Si riduce il complesso di Edipo ad una realtà esteriore e sociale: un uomo, una donna, papà, mamma... Ora, spesso, i padri che vengono immaginati non sono i padri della realtà biologica. Quindi, quando si dice che occorre avere un padre e una madre per fare un Edipo, penso che questo non corrisponda alla realtà e che, del resto, non è buon freudismo.

Ci potrebbero quindi essere dei “padri” e delle “madri” all’interno delle coppie dello stesso sesso?

In una coppia in cui ci sono due uomini, penso che ci sia in effetti uno dei due che può rappresentare una parte femminile, ma che la femminilità e la mascolinità non si ritrovano necessariamente nella donna biologica e nell’uomo biologico. Quindi due uomini possono offrire ad un bambino quella variazione. Non è perché sono due uomini che ogni differenza viene cancellata. Non si può legare tutto al genere. Nelle coppie di omosessuali, c’è anche una divisione dei compiti: non è perché si è due uomini o due donne che si è identici e a specchio. Anche se è una visione caricaturale dei generi, si vede bene, per esempio, che una si occuperà di portare fuori la spazzatura, mentre l’altra laverà i piatti! Il principio di differenziazione che struttura un bambino può realizzarsi senza fondarsi sulla differenza dei sessi dei genitori.

L’omogenitorialità può turbare lo sviluppo psichico del bambino?

Per definizione, vediamo bambini in difficoltà, indipendentemente dal fatto che siano figlie o figli di eterosessuali o di omosessuali. Non ho visto per il momento una patologia specifica di figli di omosessuali. Ma penso di non essere io più abilitata dei miei colleghi a farne una regola generale per il momento. E sfido chiunque a farlo. Sì, stiamo vivendo un vero cambiamento antropologico, che si inscrive nella continuità della costruzione dell’individuo contemporaneo, che può decidere di tutto da solo, anche della propria sessualità.

Penso quindi che l’argomento che consiste nel dire “Ma quei bambini saranno traumatizzati perché saranno disprezzati dalla società quando andranno a scuola”, è poco accettabile, perché c’è un cambiamento di mentalità nei confronti dell’omosessualità. E il ruolo degli psicanalisti è di accompagnarlo.

Caroline Thompson, psicanalista e terapeuta familiare, servizio di psichiatria del bambino e dell’adolescente della Pitié-Salpêtrière


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