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SVOLTA IN FRANCIA. DALLA CARITÀ ("CHARITE’") DI PASCAL ALLA CARITA’ DI PAPA RAZTINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006), DALLA CHIAREZZA DI CARTESIO ALLA "CONFUSIO-NE" ("COMMUNIO") DI J.-L. MARION ....

IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION: DALL’ACCOGLIENZA DELLA DIVERSITÀ ALLA DIFESA DELL’IDENTITÀ, ’NAZIONALE’ E ’CATTOLICA’. Sul tema, un articolo di Philippe Bernard ("Le Monde"), di Marcel Neusch ("La Croix") e un’intervista di Isabelle de Gaulmyn a Marion ("La Croix") - a cura di Federico La Sala

Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di origine straniera - si ritiene più rassicurante per l’elettore
martedì 26 gennaio 2010
[...] Le incertezze politiche e la crisi economica hanno probabilmente avuto ragione delle convinzioni
del capo dello Stato. Con una disoccupazione galoppante e delle elezioni regionali difficili in
prospettiva, non era più il caso di sostenere un discorso suscettibile di essere percepito come
favorevole alla promozione, anche sul lavoro, di persone provenienti dall’immigrazione.
Il messaggio subliminale dell’ “identità nazionale” - quello dell’ostilità verso le persone di (...)

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> IL PRESIDENTE SARKOZY E IL FILOSOFO J.-L. MARION ---- Il velo dell’ipocrisia in difesa dell’identità (di Giuliana Sgrena).

giovedì 28 gennaio 2010

Il velo dell’ipocrisia in difesa dell’identità

di Giuliana Sgrena (il manifesto, 28 gennaio 2010)

Sembra un dibattito surreale dopo che qualcuno aveva giustificato una guerra per eliminare il burqa. Era solo un subdolo pretesto, con esito grottesco, giocato sulla pelle delle donne, visto che il burqa non si porta più solo in Afghanistan ma anche in Europa. Dalla Francia la discussione sul divieto - per legge - dell’uso del burqa e del niqab (veli integrali con la sola differenza che il primo ha una rete all’altezza degli occhi e il secondo lascia una fessura) rimbalza in Italia.

La Francia non è nuova a simili divieti, con una legge del 2005 sono già stati aboliti i simboli religiosi nelle scuole e nei luoghi pubblici. Eppure il dibattito sul burqa è forse più teso di allora. Da parte dei fautori del relativismo culturale si invoca la «libertà di espressione» mentre il presidente Sarkozy si oppone al burqa perché «offende i valori della Repubblica». Il burqa innanzitutto offende la dignità della donna, poi anche i valori della repubblica se intesi come i valori universali nati dalla rivoluzione francese.

Chi difende il burqa o il velo in nome dell’identità, della tradizione o della religione lo fa per ipocrisia o per ignoranza. Sappiamo che le tradizioni si superano (non avevamo forse anche in Italia il fazzoletto in testa, il tabù della verginità e le attenuanti per il delitto d’onore?), che il corano non prescrive l’uso del velo e tanto meno del burqa, vietato anche dal gran muftì di al Azhar, la massima autorità sunnita, e infine che l’unica identità riconoscibile dietro un simile simulacro è quella wahabita, la versione più integralista dell’islam che è religione di stato in Arabia saudita. Che si diffonde in tutto il mondo a suon di petrodollari.

Il problema è dunque se vogliamo aiutare donne, come noi, ad affermare i loro diritti o sostenere un sistema patriarcal-tribal-religioso sessista che usa il velo come controllo della sessualità della donna. Con il velo la donna deve garantire l’onore del maschio nascondendo le parti del suo corpo che potrebbero indurlo in tentazione. E se cade in tentazione è sempre la donna a pagare con il delitto d’«onore».

Anche l’Italia, che non ha mai avuto una politica sulla migrazione (affrontata solo in termini umanitari o di sicurezza), si trova ad affrontare la questione del burqa. Dal punto di vista della sicurezza (riconoscibilità della persona) c’è già una legge del 1975 che vieta di andare con il viso coperto, anche se l’applicazione viene lasciata alla discrezionalità dei funzionari. Ma qui non si tratta tanto di sicurezza quanto dei diritti delle donne, gli stessi che noi abbiamo faticosamente conquistato e che ogni giorno vengono messi in discussione. Non possiamo permettere a donne di essere private della possibilità di comunicare con il mondo in cui vivono perché isolate da un velo.

Lo si può fare con una legge? In Italia probabilmente no, perché non siamo un paese laico, ma terra disseminata di simboli e superstizioni religiose: invece di aiutare queste donne finiremmo per renderle doppiamente vittime. Occorre prima garantire loro gli stessi nostri diritti per pretendere il rispetto delle nostre leggi. Solo giustizia e uguaglianza possono eliminare la violazione dei diritti e l’intolleranza.


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