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COSTITUZIONE E PENSIERO. ITALIA: LA MISERIA DELLA FILOSOFIA ITALIANA E LA RICCHEZZA DEL MENTITORE ISTITUZIONALIZZATO ...

BERTRAND RUSSELL: LA LEZIONE SUL MENTITORE (IGNORATA E ’SNOBBATA’), E "L’ALFABETO DEL BUON CITTADINO". Una nota di Bruno Gravagnuolo - a cura di Federico La Sala

BERTRAND RUSSELL. Una grande avventura di pensiero e di libertà, nel segno del socialismo umanitario culminata in un’intensa attività pacifista e nella creazione nel 1966 del «Tribunale Russell contro i crimini di guerra».
lunedì 12 novembre 2012 di Federico La Sala
[...] le due grandi opere russelliane: Principi della Matematica(1903) e Principia Mathematica (1910-1913). In realtà è qui che comincia l’Odissea. Perché ben presto Russell si accorge che l’«assiomatica» non funziona ed è autocontraddittoria. Ovvero: i costrutti logici sono autoreferenziali e non si autoesplicano. Le essenze logiche a priori, fuori dall’esperienza, danno luogo ad antinomie irrisolvibili e a paradossi come quello del «mentitore» e della «classe di tutte le classi» da (...)

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> BERTRAND RUSSELL: LA LEZIONE SUL MENTITORE (IGNORATA E ’SNOBBATA’) ----- LA SCIENZA PONTE DI PACE (di Pietro Greco).

domenica 11 novembre 2012

La scienza ponte di pace

di Pietro Greco (l’Unità, 10 novembre 2012)

I primi 40 medici si sono laureati il 23 gennaio 2010. altri 62 esattamente un anno dopo, il 22 gennaio il 2011. quest’anno hanno ottenuto il titolo di studio in 51. A tutt’oggi sono oltre 150 i giovani che si sono laureati presso la Facoltà di Medicina nata nel 2004 a Gulu, nell’Uganda del Nord, grazie al Gulu-Nap Science, un progetto di collaborazione tra l’ateneo locale e l’Università Federico II di Napoli. I 150 giovani medici ora lavorano tutti sul territorio, nelle aree settentrionali dell’Uganda devastate da anni di guerra tra l’esercito governativo e i ribelli del Lord Resistance Army.

Gulu-Nap Science è uno delle decine di progetti di collaborazione che verranno presentati oggi presso la Città della Scienza di Napoli nell’ambito dell’edizione italiana 2012 della Giornata Mondiale della Scienza per la Pace e lo Sviluppo che l’Unesco promuove fin dal 2001.A illustrare questo piccolo - ma non piccolissimo - esempio di «scienza per la pace e lo sviluppo» sarà Pen Mogi Nyeko, vice rettore dell’Università di Gulu.

Un esempio davvero emblematico del triplice ruolo che, storicamente, la scienza - ma sarebbe meglio dire la comunità scientifica - si è ritagliata nella conquista della pace. Il primo ruolo le deriva non solo dal fatto che la scienza è una cultura universale ma anche e soprattutto dal fatto che la comunità scientifica - non senza contraddizioni, certo - ha l’universalismo tra i suoi valori fondanti.

Non a caso essa è nata, nel Seicento, in Europa come comunità transnazionale e transreligiosa proprio mentre il continente era devastato da una serie di guerre nazionali e religiose. Né è un caso che la prima istituzione europea nata nel Vecchio Continente uscito devastato dalla seconda guerra mondiale sia stato, all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, il Cern di Ginevra, il più grande laboratorio di fisica al mondo. È grazie a questi suoi valori fondanti che la scienza si propone come naturale, continuo e concreto «ponte di pace».

Un secondo ruolo che la comunità scientifica si è ritagliata, soprattutto negli ultimi decenni, è quello di attore fondamentale nel processo di disarmo. Il movimento Pugwash, per esempio, nato nel 1955 da un’idea e dall’azione di due grandi scienziati come Albert Einstein e Bertrand Russell, svolge questa attività a favore del disarmo, in primo luogo del disarmo nucleare. I risultati conseguiti sono stati svariati. Il più importante, come più volte sottolineato dallo storico americano Lawrence S. Wittner, è stato culturale: aver contribuito in maniera sostanziale, dopo Hiroshima e Nagasaki, a rendere un tabù la guerra atomica.

Il terzo ruolo che la comunità scientifica si è ritagliato nel tentativo di costruire un mondo di pace è nell’aver compreso che lei, la pace, è una condizione che non si conquista solo con l’assenza ella guerra. Ma anche con l’integrazione, con la giustizia sociale, con lo sviluppo.

Oggi sappiamo che lo sviluppo è tale solo se è socialmente ed ecologicamente sostenibile. Di qui il senso della giornata organizzata dall’Unesco, che cade in un periodo in cui il processo di costruzione della pace attraverso lo sviluppo segna il passo. In soldoni gli «aiuti allo sviluppo» da parte dei Paesi ricchi a quelli poveri nel 2010 non hanno raggiunto i 120 miliardi di dollari (pari al 0,31% del Pil dei Paesi donatori), molto lontano dall’obiettivo dello 0,70% che ci si è dati in molte occasioni ufficiali. In realtà la percentuale è bloccata intorno a questi valori - che per inciso sono appena il 10% delle spese militari globali - fin dagli anni ’70. E da allora alimentano un dibattito in cui la scienza, ancora una volta entra da protagonista.

L’idea che per uscire dal sottosviluppo i paesi più Poveri non hanno bisogno di qualcuno che gli regali il pesce, ma di acquisire la capacità di dotarsi della canna da pesca. Nell’era della conoscenza la canna per imparare a pescare da soli è rappresentata dall’educazione (scuola, università) e dalla ricerca scientifica. Di qui la necessità di progetti, come quelli di Gulu in Uganda, che tendano a creare nei Paesi più poveri una rete di docenti, di tecnici e di ricercatori integrata in quella internazionale.

Il processo della «canna da pesca» sembra funzionare. I Paesi che negli ultimi decenni sono usciti dal sottosviluppo e sono diventati a economia emergente - dalla Cina all’India al Brasile - sono i Paesi che più hanno investito in educazione e in ricerca scientifica. Un processo in cui la comunità scientifica internazionale - la scienza, se si vuole - è chiamata, appunto, a svolgere un terzo ruolo da protagonista.

Già,ma come? Formando solo i tecnici (medici, agronomi, ingegneri) e i ricercatori nei settori applicati (medicina, agricoltura, ingegneria) che servano a creare una capacità endogena di risolvere i problemi più immediati (la fame, le malattie, la carenza di infrastrutture) o anche aiutando ad allestire una comunità scientifica locale che partecipa alla ricerca fondamentale o, come si dice oggi, curiosity-driven, che non ha (non sembra avere) immediate ricadute concrete?

Il tema è stato a lungo dibattuto. E le risposte non sono ancora unanimi. Di recente Bollati Boringhieri ha ubblicato un libro, Il posto della scienza, che raccoglie due lavori di un economista americano di origini norvegesi, Thorstein Veblen, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900. Veblen invita a non dimenticare mai che la scienza ha due anime: una è la curiosità, l’altra è la necessità di soddisfare le domande della società. Ciò vale anche per gli aspiranti scienziati dei Paesi più poveri. A motivarli è in primo luogo è la curiosità. E se non riescono a soddisfarla in patria, cercano di fuori. I più bravi ci riescono. Per questo, nel corso dei decenni, c’è stato un gigantesco braindrain, drenaggio dei cervelli, che ha privato dei migliori cervelli proprio i Paesi più poveri a vantaggio dei più ricchi.

Ora questo flusso a una direzione sembra essersi arrestato e molti grandi ricercatori ritornano a casa: in Cina, in India, in Brasile. Sarà (anche) per questo che quei Paesi stanno velocemente uscendo dalla condizione di sottosviluppo e raggiungendo quelli che una volta erano i più avanzati? Ecco, un compito della comunità scientifica internazionale impegnata oggi «per la pace e lo sviluppo» è anche quello di riconoscere che non ci sono posti privilegiati al mondo per la ricerca libera e mossa dalla curiosità. E che i Paesi che ancora faticano a uscire dalla condizione di sottosviluppo hanno bisogno della loro quota di ricerca libera e fondamentale e in pace. Senza quella quota di libertà e di curiosità e di pace, la capacità di costruirsi da sé la canna da pesca risulta più difficile e resta più fragile


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