Costumi, etica, società
Così Russell attaccò le basi del conformismo
«L’uniformità delle culture va deplorata»
di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 02.02.2011)
«A Firenze, nell’epoca anteriore a Mussolini, il traffico doveva scorrere in un senso in città e in quello opposto in campagna. Questa diversità era dannosa, ma vi furono ben altre diversità che il fascismo soppresse! Nel mondo della mente... è cosa buona che vi sia una vigorosa discussione fra le varie scuole di pensiero. Però, se deve esserci concorrenza intellettuale... dovranno anche esserci maniere per limitare i mezzi che vengono impiegati» . Così Bertrand Russell nel secondo dopoguerra affrontava il problema della conciliazione tra l’esigenza di un controllo governativo centralizzato e quella di una crescita dell’iniziativa personale che richiede «le maggiori possibilità e libertà compatibili con l’ordine sociale» . - non è solo il tema di Autorità e individuo (1949), ma compare in non poche incursioni di Russell in campo politico e altrove.
Ancor oggi i commentatori sottolineano come i suoi punti di vista in fatto di etica siano stati tra i più criticati del Novecento (ben più delle sue, anch’esse controverse, concezioni circa logica, matematica e teoria della conoscenza). Matrimonio e morale, sesso fuori e dentro la famiglia, liberalizzazione dei costumi non erano che esempi del gusto del filosofo di sfidare la costellazione delle opinioni stabilite. «Se non vogliamo che la vita umana diventi una cosa polverosa» , è bene coltivare ogni forma di anticonformismo, in modo che possa produrre i suoi cento fiori, purché non provochi danno ad altri. Leggiamo in Autorità e individuo: «L’uniformità dei caratteri e delle culture va deplorata. L’evoluzione biologica è dipesa da differenze innate tra individui o tribù, e l’evoluzione culturale dipende da differenze acquisite» .
Eliminare tali differenze significa privare gli individui della facoltà di scegliere. Agli occhi di Russell questo era l’esito del socialismo autoritario dell’Urss; ma non è che i Paesi capitalisti se la passassero molto meglio, a causa della commistione del potere di pochi leader carismatici con la proliferazione della burocrazia. La società - ammoniva - non è un organismo né un meccanismo. Un qualunque manager che si dia alla politica potrebbe considerarla «un modello piacevole di bell’ordine, qualcosa di ben programmato con tutte le parti che s’incastrano perfettamente l’una nell’altra. Ma è negli individui, e non nel tutto, che dovranno cercarsi valori utili» .
E ancora: «Quando un agricoltore dello Herefordshire viene colto in una tormenta di neve, chi sente il freddo non è il governo che sta a Londra! È questa la ragione per cui portatore del bene e del male è l’uomo singolo» , e non qualsiasi apparato collettivo. Russell concepiva l’indagine delle strutture astratte, per esempio quelle della matematica, come un’impresa non molto diversa dalle esplorazioni che Colombo o Vespucci avevano fatto del continente americano: era dunque convinto del loro valore oggettivo, ma restava pur sempre un rigoroso individualista. Per esempio, lo Stato è un’astrazione e «non sente piacere o dolore, non ha speranze o timori» , proprio come non sente piacere o dolore ecc. il numero 3 o l’insieme dei numeri interi.
Dietro qualsiasi costruzione astratta vi sono gli scopi degli individui che la producono. Comunque, gli esseri umani sempre meno operano in solitudine, persino nella scienza: «La maggior parte delle ricerche esige apparecchi costosi; per molte occorre il finanziamento di spedizioni in regioni difficili; senza i mezzi forniti da un governo o da un’università, pochi sono coloro che possono ottenere risultati apprezzabili» . La ricerca è allora stata sottratta ai ricercatori per essere consegnata ai politicanti o all’industria, umiliando merito ed eccellenza individuali?
Nell’impresa tecnico scientifica come altrove, la soluzione per Russell è in una sorta di decentramento che oggi chiameremmo «principio di sussidiarietà» : persino un «governo mondiale» (se mai lo si creasse e fosse capace di farsi rispettare) non dovrebbe mai usurpare le competenze di qualsiasi associazione locale. Ma a sua volta questa dovrebbe essere composta di persone «che non si accontentano di essere vive piuttosto che morte: desiderano invece vivere in modo felice, vigoroso e creativo»