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RAPPORTO STATO E CHIESA: UNA SOLA QUESTIONE MORALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" e grida viva il "Popolo della libertà" (1994-2010). Questo è il nodo da sciogliere

SAN PIETRO ROSSO DI VERGOGNA: PAPA E CARDINALI SOTTO IL CUPOLONE DI LUCIFERO. Note di analisi di Marco Politi e Giancarlo Zizola - a cura di Federico La Sala

“Non si intravvede il filo logico delle azioni. Manca la ratio gubernandi, l’arte del governo. Magari ci fosse un regista occulto, che regge le fila di questo scandalo, come si immagina certa stampa! Il guaio è che non c’è, e nessuno sa cosa sta accadendo”.
domenica 7 febbraio 2010 di Federico La Sala
[...] Alla fine della torrida estate 2009, Bertone seppe dai giornali che Ruini aveva aperto le porte del
suo appartamento al premier Berlusconi, appena alluvionato dalla bufera sul porno di Stato, e al suo
fido Gianni Letta. Era il segnale di una dicotomia al vertice, allo stesso tempo la rivendicazione di
autonomia di Ruini. Egli mostrava di voler continuare a tessere come d’abitudine la sua rete politica,
pur sapendo di porre in essere azioni difformi dalla prospettiva astensionista (...)

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> SAN PIETRO ROSSO DI VERGOGNA: PAPA E CARDINALI SOTTO IL CUPOLONE DI LUCIFERO. ---- RADICI PIENE DI VERMI. UN MALESSERE ANTICO E LO SMARRIMENTO DEL MONDO CATTOLICO (di Alberot Melloni)

mercoledì 10 febbraio 2010

Un malessere antico e lo smarrimento del mondo cattolico

di Alberto Melloni (Corriere della Sera,10 febbraio 2010)

C’è un senso molto profondo di sofferto smarrimento che percorre oggi le comunità cattoliche e che merita di essere ascoltato con attenzione. Infatti dall’agguato teso all’ex direttore di Avvenire a fine estate, è stato tutto uno stillicidio di voci, moralismi, pettegolezzi, malignità, nessuno dei quali è nato per partenogenesi.

L’uscita di scena di Dino Boffo è stata accompagnata da solidarietà di rito e da rivincite maramalde che non sono rimaste senza replica. Subito è incominciato l’indovinaindovinello di Vittorio Feltri, nel quale sono entrati tutti coloro che hanno cercato di vincere non si sa quale premio rispondendo al quesito: «Chi ha passato le informazioni usate da Il Giornale? ». E in questa caccia al tesoro ecco nuove raffiche di colpi bassi, ostentazioni, dinieghi, veti, pallottole vaganti. Insomma un reality al veleno, una mala educación che disgusta i capannelli delle mamme fuori dal catechismo e annoia le anime sante.

Le ricostruzioni che si sono cimentate con i retroscena di questo disastro sono state spesso manovre in conto terzi o rifrittura di invenzioni sussurrate a mezza bocca. E hanno solo aumentato uno sconcerto nel quale tutte le voci della Chiesa hanno perso il ritmo comunicativo, finendo vittime del loro silenzio o delle loro parole.

Una condizione particolarmente sconcertante per il cattolicesimo italiano nella sua interezza. Questa comunità che aveva dato alla Chiesa tanto è oggi in uno stato di confusione. Forse perfino pronta a credere che la sua autorevolezza coincida col destino del regolamento sugli arredi scolastici e certo rassegnata quando si sente dire che l’esclusione dei candidati italiani negli ultimi due conclavi appare un segno della Provvidenza, piuttosto che la cifra di una mutata esperienza di cattolicità. Ma anche, più in generale, la Roma che è centro del cattolicesimo appare frastornata: gli episodi sono meno gravi, ma ugualmente sorprendenti.

La causa di beatificazione di Wojtyla è stata aperta in modo straordinario e chiusa in tempi record: ma non farà piacere ai testimoni- i quali, è bene ricordarlo, in un processo canonico hanno il diritto/dovere di dire ogni cosa, anche la più negativa o indimostrata per fornire alla causa ogni elemento di giudizio - vedere pubblicate le loro parole dal postulatore che del riserbo doveva essere il custode.

La questione della chiesa cinese è complessa e di difficile decifrazione: ma è sorprendente - ne parla Gianni Valente nell’ultimo numero di 30giorni - che qualche pezzo di mondo ecclesiastico con addentellati in curia e nel web chiami «traditore» un vescovo cinese con alle spalle dieci anni di galera e riconosciuto dal Papa, solo perché il suo modo di leggere la recente lettera del Papa a quella Chiesa non coincide con le proprie idee.

La girandola delle voci sulle importantissime nomine attese in curia non è certo inusuale e va presa con le molle: ma il fatto che si possa trattare il trasferimento da diocesi lontane come fosse una promozione, dà il senso di uno sfaldamento della comunicazione. Che non è un fatto tecnico, ma di pienezza del cuore.

Sia chiaro: il problema non è lo scandalo o la divisione in astratto di cui tanto si parla. Nessuno più della Chiesa romana ha una visione realistica della propria «corporeità»: la fragile moralità degli uomini, il dissidio politico, la lotta fra gruppi di potere che s’acuisce spietata con l’avanzare negli anni dei papi - per lei tutto è déjà vu. Non uno spiritualista inesperto, ma Domenico Tardini, faro dei diplomatici vaticani del secolo XX, commentava nel suo diario i complimenti che gli vennero fatti nel 1939, nel decennale della conciliazione, in una curia che si attrezzava a un difficile conclave, con la sua usuale crudezza: scriveva che «a chi la guarda da fuori la Santa Sede sembra un albero frondoso, ma chi la conosce sa che le sue radici sono piene di vermi».

Non uno qualsiasi, ma Indro Montanelli pubblicò sul Corriere del 1962 tre articoli per accusare papa Giovanni, ormai tumorato, di essere stato nella sua gioventù un simpatizzante modernista, sfuggito per un pelo alle condanne che avrebbero fatto di lui uno scomunicatello qualsiasi: fece queste uscite sulla base di soffiate venute niente meno che dal capo del Sant’Ufficio e solo la lunga vita che gli fu data permise al patriarca del giornalismo italiano di fare ammenda di quell’ingenuo avvitarsi nelle spire del pre-conclave.

Ciò che rese quelle vicende sopportabili non fu il fatto che avessero un peso «minore» (anzi), ma che si inserissero in quel dinamismo di Chiesa che rende il vangelo eloquente dentro il tempo e dentro la storia. Certo: la comunicazione di questa società fatalmente amplifica i rumori, specie quelli sordidi; la spavalderia del mai sopito semipelagianesimo italico ha peggiorato le cose; un pizzico di irresponsabilità generalizzata ha condito il tutto.

Ma il fondo di sconcerto viene dalla mancanza di un confronto sul vangelo: anzi, di un confronto su Dio, diceva don Pino Ruggieri in una appassionata relazione tenuta sabato a Firenze al gruppo «Il vangelo che abbiamo ricevuto».

La Chiesa italiana ha attraversato una lunga stagione nella quale tali dialettiche sul vangelo sono state compresse nella ricerca di un unanimismo politicamente utile. Nella Chiesa universale ha prevalso l’idea che l’identità di vedute con le posizioni morali del magistero fosse l’unico crisma di ortodossia. Mentre la santa emulazione sui grandi nodi della disciplina cristiana - la disciplina spirituale, la disciplina orante, la disciplina del dialogo e della mitezza - è rimasta in sordina come fosse un pezzo di antiquariato conciliare buono per i ricordi.


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