Agostino e l’agape, marchio dell’Europa dopo i Greci
Nel pieno della stesura delle opere maggiori, il santo di Ippona commenta il Vangelo più spirituale. Illuminando così il dogma dell’«homoousía»
di Francesco Tomatis (Avvenire, 04.01.2011)
Il Commento al Vangelo di Giovanni accompagnò sant’Agostino d’Ippona a lungo nella sua vita teologica, all’incirca dal 406 al 421, quindi parallelamente alla composizione del De Trinitate, avviata successivamente alle Confessioni, e all’altra grande opera agostiniana, il De civitate Dei, terminata qualche anno dopo. Ne propone una nuova traduzione italiana, corredata di una ampia e illuminante monografia introduttiva, nonché dell’edizione maurina del testo originale in latino, il massimo studioso vivente del pensiero antico, Giovanni Reale, che, grazie alla sua profondissima conoscenza della filosofia greca, classica e tardoantica, della Bibbia e dei Padri della Chiesa, riesce in questa edizione dei discorsi agostiniani sul Vangelo di Giovanni a ricostruirne struttura interpretativa, visione metafisica, messaggio di fede (Il libro è edito da Bompiani, pagine 2368 + 928, euro 50,00).
Reale sottolinea come il Commento al Vangelo di Giovanni sia affiancabile a pieno titolo, per profondità e importanza, alle altre tre opere agostiniane ritenute comunemente principali: le Confessiones , il e Trinitate e il De civitate Dei.
In esso per eccellenza abbiamo infatti il principale risultato teologico della credente esegesi di sant’Agostino, cioè la comprensione che Dio sia amore. Come scrive Giovanni nella sua Prima lettera, «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». Inoltre proprio in questi discorsi, frutto di esposizione orale, trascritta dal discorso vivo o redatta per iscritto tramite dettatura diretta dell’autore a tachigrafi, di un completo commentario al Vangelo giovanneo, Agostino formula le proprie principali linee teologiche interpretando direttamente il più speculativo, e al tempo stesso realissimo, dei Vangeli, vera metafisica vivente, ricorrendo ad una sua continua, puntuale contestualizzazione rispetto ad altri scritti biblici, secondo una tecnica ad intarsio, richiamata ed evidenziata nella propria edizione da Reale, la quale va oltre il mero ricorso a citazioni scritturistiche, per giungere attraverso i suoni e le parole all’aiuto del Signore nella comprensione della sua autorivelazione.
Che Dio sia amore, agápe, è per il cristianesimo rivelato attraverso l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Reale riesce finemente a ricostruire la distinzione agostiniana dell’amore cristiano dall’éros greco, non mancando tuttavia di documentare anche quanto Agostino riesca a far proprio dello stesso pensiero greco. Esemplare è poi la ripresa dell’interpretazione porfiriana dell’essere come Uno, nella sua distinzione dall’ente. In Agostino, come Reale mostra evidenziando la sua reinterpretazione, alla luce della rivelazione biblica, della filosofia greca, vengono delineate le fondamenta di quello che saranno il pensiero e la civiltà europei. L’idea di persona, ad esempio, sarebbe inconcepibile senza la sua fondazione cristiana nel personale rapporto con Dio, egli stesso trinitario rapporto interpersonale.
Accostandosi ad udire la voce di quella immane vetta spirituale, dell’elevatissima anima che è Giovanni, Agostino illumina esemplarmente il dogma dell’homoousía, della uguaglianza di essenza o natura fra Dio Padre e Dio Figlio, centro dell’incarnazione cristiana e conseguentemente della comprensione e fede in Dio come amore, come relazione fra diverse persone in unitaria armonia, identificazione, comunione: secondo il pluralismo e l’unitarietà assieme. «Tu, dunque, devi dire quello che dice il Vangelo: io e il Padre siamo una cosa sola. Quindi non siamo una cosa diversa, in quanto siamo ’una cosa sola’; non una persona sola, perché noi ’siamo’».