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EVOLUZIONISMO VS CREAZIONISMO? DOPO PARMENIDE, DOPO DANTE, DOPO GALILEI, DOPO PASCAL, E DOPO KANT, ANCORA NELLA TRAPPOLA DEL MENTITORE PLATONICO-RATZINGERIANA ....

FEDE ("FOLLIA") E SCIENZA ("RAGIONE"), AL DI QUA’ DELLO SPECCHIO. Umberto Galimberti si tiene fermo alla "differenza", ma continua a non pensare l’"identità". Una sua risposta a Emanuele Canobbio - a cura di Federico La Sala

Mistagogia ateo-devota: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia” (Paolo, 1 Corinzi, 13.12)
lunedì 8 febbraio 2010 di Federico La Sala
[...] Se i riferimenti della fede e della scienza sono così diversi e tra loro distanti, non c’è un piano su cui possono confliggere, se non per coloro che vogliono affidare all’una o all’altra entrambi i compiti: quello di spiegare il mondo e di reperire un senso. Questa pretesa, nel caso della scienza, si chiama, come scrive Jaspers, "superstizione scientifica" e nel caso della fede "negazione della ragione" [...]
HAI VINTO, O GALILEO! L’elogio "laicista" di Piergiorgio Odifreddi (...)

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> FEDE ("FOLLIA") E SCIENZA ("RAGIONE"), AL DI QUA’ DELLO SPECCHIO. --- Nel corso della modernità diritto e scienza si sono sviluppati nell’ambito di false reciproche immagini che conservano pure oggi (di Ugo Mattei - La natura della Legge).

lunedì 8 febbraio 2010


-  L’UNITÀ DI MISURA PER LA CERTEZZA DEL DIRITTO
-  La natura DELLA LEGGE

-  di Ugo Mattei (il manifesto, 05.02.2010)

Con la rivoluzione scientifica del XVII secolo viene stabilita la possibilità di giungere alla conoscenza oggettiva della realtà. Un cambiamento di paradigma che investe il diritto. Da allora la ricerca della verità della pena discende dall’applicazione di un rigoroso metodo scientifico

La mentalità dominan te, che si riflette nel diritto, invoca lo scienziato per ottenere certezza. Per esempio, sarà lo scienziato a dire al giudice, a seguito di una perizia, se determinate strutture di protezione possano essere sufficienti per evitare una perdita radioattiva. Il suo ruolo processuale, in casi di notevole complessità come nell’ipotesi di catastrofi, può essere chiave. Il giudice «sa di non sapere» e si rivolge allo scienziato per sapere con certezza ciò che non sa.

Nel sistema statunitense, dove la verità processuale scaturisce da un conflitto fra opposte verità partigiane (il tanto ammirato sistema adversary) è raro che il giudice ricorra ad un proprio scienziato di fiducia come invece avviene nei sistemi europei continentali più propensi alla ricerca di una verità «oggettiva».

Negli Stati Uniti sono gli avvocati delle parti a farsi assistere da uno scienziato per suffragare le loro affermazioni. Ovviamente, poiché gli scienziati sono pagati dalle parti contrapposte per suffragare una verità partigiana, anche la scienza dimostra la propria partigianeria. Ma l’incrollabile fede del diritto moderno nella verità scientifica non viene meno: lo scontro fra opposte verità scientifiche viene soggettivizzato. Non si tratta di prendere atto di due verità in conflitto ma di comparare la credibilità ed il prestigio di ciascuno scienziato che «descrive» una verità di per sé oggettiva. Un confronto in cui ciascuna delle parti mostra il curriculum vitae del proprio scienziato per dimostrarne la maggior credibilità. E così la parte che avrà potuto permettersi lo scienziato più prestigioso (in relazione allo status della sua sede accademica) potrà avvalersi di una costosa «verità» scientifica.

La corruzione degli esperti

Anche nella nostra tradizione processuale le parti possono nominare un proprio consulente e presentare una perizia, ma sarà la verità di quello «ufficiale» scelto dal giudice che in tutta probabilità prevarrà. Il confronto fra scienziati partigiani è così meno imbarazzante (perché non decisivo), ma gli americani non si fidano del nostro sistema perché temono che lo scienziato «ufficiale» possa essere corrotto.

Negli Stati Uniti la legalizzazione di pratiche corruttive fa perdere contezza della loro natura. Come noto gli americani non considerano corrotti i membri del Congresso che ricevono miliardi dai lobbisti ufficiali. Similmente essi non considerano corrotto un professore di Harvard che, per 500 dollari l’ora, è disposto a scrivere che la petroliera Exxon Valdez o l’impianto della Union Carbide di Bophal erano in perfette condizioni strutturali al momento del disastro.

In ogni caso, e al di la delle variazioni istituzionali fra un sistema giuridico e l’altro, a partire dalla modernità i giuristi ritengono che la scienza possa offrire loro certezze. Naturalmente, a questo rapporto fra diritto e scienza non si è giunti senza traumi nella storia dell’Occidente.

Il processo a Galileo Galilei ed il rogo di Giordano Bruno restano emblematici. Se la verità scientifica si pone in contrasto con la verità giuridica (ispirata allora a quella religiosa, oggi alla vulgata capitalistica) le conseguenze possono essere gravissime. Per qualche tempo il diritto ha rallentato la scienza (Keplero e Copernico ritardarono la pubblicazione delle teorie eliocentriche per paura dell’inquisizione) ma la rivoluzione scientifica, figlia dell’umanesimo, avrebbe finito per far trionfare le certezze antropocentriche raggiunte con il metodo scientifico.

Infatti, con gli spettacolari successi tecnologici prodotti dal paradigma scientifico newtoniano, che dovranno produrre la rivoluzione industriale, la terra (Gaia) viene messa ai margini e l’uomo viene messo al centro. Con Galileo infatti il criterio di scientificità diviene la quantificabilità e la misurazione. Con Cartesio la terra non è che res extensa ed il dualismo soggetto\oggetto viene formalizzato in tutta la sua portata riduzionistica. Il soggetto razionale si separa dalla natura. La metafora che diviene di moda è quella della natura come macchina conoscibile soltanto attraverso quel metodo scientifico-sperimentale (fortemente riduzionista) che Bacone saprà formalizzare.

La macchina della natura

Il pensiero giuridico si adegua alla nuova epistemologia. Le concezioni olistiche tipiche del medioevo vengono progressivamente abbandonate. Bacone, oltre che grande scienziato potente giurista, presidente della Corte di Cancelleria inglese, non si limita ad elaborare un metodo inquisitorio per estrarre conoscenze scientifiche. Propone lo stesso metodo nel mondo del diritto per sconfiggere, in nome della modernizzazione assolutistica regia, l’arci-rivale Sir Edward Coke campione della concezione medievale del diritto e dei privilegi feudali arroccati in parlamento. Da questo conflitto fra modernizzazione e medioevo (nelle sue diverse declinazioni locali) scaturiranno in Occidente tanto il trionfo finale della visione scientifica meccanicistica quanto la nascita dell’idea di sovranità statale, concepita come dominio sul territorio. Di qui sorgerà soprattutto il compromesso della rule of law, come suprema protezione della proprietà privata (Madison negli Stati Uniti porta a compimento il capolavoro politico di costituzionalizzare per sempre le diseguaglianze).

Il rapporto, spesso complesso e conflittuale ma sempre universalistico ed esclusivo, fra proprietà privata e sovranità finiranno per perfezionare giuridicamente l’idea della terra come oggetto di dominio. Il contrattualismo liberale ed il giusnaturalismo di Pufendorf e Jean Domat porranno l’individuo borghese proprietario definitivamente al centro della scena. L’elio-cenrismo e l’antropo-centrismo, paradossalmente alleati, marginalizzeranno Gaia fino ai nostri giorni.

Infatti, Keplero e Copernico le hanno tolto la centralità rispetto al Sole, un idea che dopo il processo a Galileo fu indifendibile perfino per la Chiesa. Lo stesso Galileo, Cartesio e Newton l’hanno resa una macchina comprensibile unicamente attraverso la misurazione quantitativa, ritardando di trecento anni lo sviluppo di una «scienza della qualità». Bacone e Grozio (l’inventore del diritto internazionale) e poi Blackstone (il più influente giurista inglese di fine Settecento) ed il Codice Napoleonico (1804) ne hanno fatto mero oggetto di dominio assoluto.

L’uomo è così divenuto il nuovo supremo legislatore, più bravo di Dio e della natura a fare le leggi (Voltaire). Gaia diviene la sua schiava, mero oggetto del suo stupro, secondo la colorita retorica di Carolin Merchant una delle più interessanti filosofe dell’ecologia contemporanee. Le popolazioni che riverivano Gaia vengono sterminate perché la rivoluzione tecnologica e le nuove concezioni della sovranità danno il via a un capitalismo occidentale dipendente dalla «crescita economica» che necessita risorse ingenti. Prima quelle Andine cresciute nel culto di Pacha Mama; poi quelle native Nord-americane, prive della concezione del dominio dell’uomo sulla natura; poi quelle Africane con la loro idea della terra affidata ad una generazione nell’ interesse di quella successiva. Infine quelle oceaniche. I popoli «senza storia» divengono a loro volta meri oggetti che non riescono a ergersi, come gli occidentali nel loro delirio di onnipotenza, al di fuori del mondo animale.

I giuristi, con un atteggiamento tipico di un ceto professionale dedito a servire il potere, prima discutono ma poi si adeguano senza opporre resistenze al trionfo scientifico dello sfruttamento. Nel sedicesimo secolo, durante la conquista sudamericana, Bartolomè De Las Casas, ancora cresciuto nell’ideale tomistico della giustizia distributiva, sembra insinuare dubbi giuridici a Isabella di Castiglia. Nessun dibattito si svolge più dal secolo successivo, con un coro unanime fra Locke ed i giusnaturalisti nordici volto a negare la civiltà e dignità a popoli privi della nozione di proprietà privata, vittime del brutale genocidio nord-americano. Ogni dubbio è fugato. L’Occidente ha «titolo valido» per conquistare i popoli senza storia.

Gli scienziati con l’ermellino

Bastano questi cenni per capire come la modernità giuridica trovi nella rivoluzione scientifica il suo fondamento epistemico, conservato gelosamente ancor oggi quando si rivolge allo scienziato per chiedere certezza. Per il diritto contemporaneo, la perdita di certezza scientifica ormai quasi secolare, da Eisenberg a Einstein fino alla meccanica quantistica, costituisce un «non evento» che, nondimeno va compreso.

Specularmente al giurista che crede nella certezza della scienza, lo scienziato crede in quella del diritto. Le false immagini si sovrappongono. A partire dalla seconda metà del diciassettesimo secolo (in piena apoteosi della visione meccanicistica della natura) diviene uso comune parlare di «leggi di natura» da parte degli scienziati (molti dei quali, come Newton o Bacone erano anche avvocati o giuristi), in espressa analogia con le leggi umane.

Keplero chiamò le sue scoperte leggi (del moto dei pianeti) e così fece Galileo (per la caduta dei corpi) e poi Cartesio con la sua legge del moto e con lui Pascal, grande amico del giusnaturalista Jean Domat (che finché non fu certo delle sue scoperte parlò di principii, come facevano gli antichi) e poi Boyle (con il gas) e infine, naturalmente, Newton. Ancora nel diciannovesimo secolo Faraday parlò di leggi dell’induzione, Carnot di leggi della termodinamica e Mendel di leggi dell’ereditarietà. A partire dal ventesimo secolo gli scienziati divenuti progressivamente consapevoli della natura relativa del proprio sapere, abbandonarono il concetto di legge.

Nel corso della modernità diritto e scienza si sono sviluppati nell’ambito di false reciproche immagini che conservano pure oggi. È verosimile che dal superamento di queste false immagini reciproche possa scaturire qualche percezione fenomenologicamente più provveduta e politicamente più promettente del nostro mondo.


SCHEDA

SCAFFALI

Il legame tra norma e scienza da Bacone a Fritjof Capra

Ho iniziato la riflessione sui rapporti fra «leggi umane» e «leggi di natura» grazie ad un incontro a Berkeley con il fisico ed ecologista Fritjof Capra con cui ho dato vita ad un seminario all’università e col quale su questi temi abbiamo in preparazione un volume.

Pubblicherò nei prossimi mesi sul «Manifesto» alcuni interventi preliminari. La riflessione parte da due libri di Capra, «Il punto di svolta» (Feltrinelli) e «La scienza della vita» (Rizzoli) letti in connessione con la critica della «rule of law» sviluppata da chi scrive e da Laura Nadere in «Plunder. When The Rule of Law is Illegal» (Blackwell).

Sui rapporti fra scienza e diritto nelle aule di giustizia: «Legal Alchemy. The Uses and Misuses of Science in the Law» di D. Faigman. Sul pensiero giuridico medievale: «Il Medioevo del Diritto» di Paolo Grossi (Laterza). Sul dibattito giuridico intorno alla conquista: «Ultramar» di Carlo Andrea Cassi (Laterza). Su Bacone giurista e sullo scontro con il Parlamento inglese: «Common Law» di Ugo mattei (Utet) . Sugli effetti epistemici del Bacone scienziato: «La Morte della Natura» di Carolyn Merchant (Garzanti).


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