I vescovi: «Sud paralizzato dall’intreccio mafia-politica»
di Alessandro Speciale (Liberazione, 25 febbraio 2010)
Il Mezzogiorno ridotto a «collettore di voti» per una politica che persegue disegni «estranei al suo sviluppo»; una classe dirigente inadeguata che in vent’anni non è stata capace di arginare l’espansione di mafie che ormai «hanno messo radici in tutto il territorio italiano» e agiscono come aziende capitalistiche avanzate, «mantenendo al contempo ben collaudate forme arcaiche e violente di controllo sul territorio e sulla società»: è durissima la requisitoria sullo stato del Sud d’Italia presentata ieri dai vescovi italiani con un documento in preparazione da mesi e intitolato "Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno".
La Cei lo ha diffuso un po’ in sordina, senza farlo precedere dalle conferenze stampa che in genere accompagnano i documenti della Chiesa, ma i contenuti delle 18 pagine parlano da sé. Quella dei vescovi è un’analisi aspra della situazione di arretratezza del Meridione: in vent’anni, scrivono, «in Italia, è cambiata la geografia politica, con la scomparsa di alcuni partiti e la nascita di nuove formazioni», è «mutato il sistema di rappresentanza nel governo dei comuni, delle province e delle regioni, con l’elezione diretta dei rispettivi amministratori», è partito «un processo di privatizzazioni delle imprese pubbliche» con la messa in soffitta «dell’intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno», mentre l’immigrazione «dall’Europa dell’Est, dall’Africa e dall’Asia» ha iniziato a bussare con insistenza alle nostre coste, portando nuove sfide e nuovi problemi.
Eppure, il "cancro" della malavita organizzata continua a «dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese», portando ad una «forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale».
Le novità elettorali e politiche degli ultimi due decenni non hanno migliorato la situazione, né «prodotto quei benefici che una democrazia più diretta nella gestione del territorio avrebbe auspicato». Anzi, la riforma federale della fiscalità rischia di accentuare la «distanza tra le diverse parti d’Italia». Il federalismo, per funzionare, deve essere «solidale, realistico e unitario», scrivono i vescovi, e l’impegno dello Stato deve rimanere «intatto nei confronti dei diritti fondamentali delle persone, perequando le risorse, per evitare che si creino di fatto diritti di cittadinanza differenziati a seconda dell’appartenenza regionale». D’altro canto la disoccupazione e la «perenne precarietà» del lavoro giovanile non si possono risolvere con una «politica delle opere pubbliche». C’è bisogno, concludono i vescovi, di una cultura «del bene comune, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità».