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POLONIA. Oggi, 19 aprile, ricorre il sessantasettesimo anniversario dell’inizio della rivolta nel ghetto di Varsavia...

VARSAVIA: MAREK EDELMAN, UN EBREO FUORI DAL GHETTO A TESTA ALTA. Il ricordo di Gad Lerner - a cura di Federico La Sala

Parte della prefazione di Gad Lerner al libro-intervista curato da Hanna Krall, "Arrivare prima del Signore Iddio" (La Giuntina)
lunedì 19 aprile 2010 di Federico La Sala
(...) Nel maggio del 2008, quando andai a intervistarlo nel modesto villino di Lodz insieme al mio primogenito Giuseppe, lo trovai alle undici del mattino seduto in cucina che fumava sorseggiando vodka (...) Gli chiesi il perché dell’ostinazione con cui era rimasto a fare il guardiano delle tombe del suo popolo. «Perché qualcuno provi dispiacere quando lo guardo negli occhi. Voglio dispiacere a quelli che sono contenti che gli ebrei siano morti in Polonia. Hanno vergogna di guardarmi negli (...)

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> VARSAVIA: MAREK EDELMAN, UN EBREO FUORI DAL GHETTO A TESTA ALTA. -- Nel ghetto la Storia la scrivono i vinti: "Oyneg Shabes". La vicenda vera di un gruppo di studiosi di Varsavia che cercò di contrastare la supremazia della memoria nazista.

mercoledì 16 gennaio 2019

Nel ghetto la Storia la scrivono i vinti

La vicenda vera di un gruppo di studiosi di Varsavia che cercò di contrastare la supremazia della memoria nazista

Nel 1999 l’Unesco ha incluso l’archivio “Oyneg Shabes” (nome della compagnia dei 60 studiosi) nella “Memoria del Mondo”

di Federico Pontiggia (Il Fatto, 15.01.2019)

“Saranno i tedeschi a scrivere la nostra storia, o saremo noi ebrei?”. Lo studioso Samuel D. Kassow ha disseppellito la risposta e l’ha affidata a un libro, Chi scriverà la nostra Storia? L’archivio ritrovato nel ghetto di Varsavia (Mondadori), che poi è diventato il docufilm Chi scriverà la nostra Storia (Who Will Write Our History).

Sceneggiato e diretto da Roberta Grossman, prodotto dalla sorella di Steven Spielberg, Nancy, con Kassow consulente scientifico, è stato presentato in anteprima al San Francisco Jewish Film Festival lo scorso luglio, quindi è meritoriamente ma nascostamente transitato alla Festa di Roma e il 27 gennaio arriverà in sala con Wanted e Feltrinelli Real Cinema per la Giornata della Memoria. Non dovete perderlo, ha una qualità cinematografica importante, un valore storico preminente, un lascito esistenziale incommensurabile.

Narrato da Adrien Brody e Joan Allen, propala una, forse la, storia non raccontata della Shoah: quando nel novembre del 1940 i nazisti rinchiudono oltre 450mila ebrei nel ghetto di Varsavia, c’è chi s’oppone, non con le armi bensì con carta e penna. Perché se è vero che la storia la scrivono i vincitori, si può accostarne un’altra, che non si consegni alla prospettiva dei vinti: “I tedeschi mandano troupe cinematografiche nel ghetto - dice Kassow nel film - per mostrare quanto siamo sporchi e disgustosi. Stanno dicendo al mondo che siamo la feccia della terra, e a meno che non assembliamo la nostra documentazione i posteri ci ricorderanno sulla base delle fonti tedesche e non di quelle ebraiche”.

Denominata Oyneg Shabes, “La gioia del Sabato” in yiddish, una compagnia segreta guidata dallo storico Emanuel Ringelblum e formata da sessanta tra ricercatori e giornalisti, rabbini e sionisti cerca di contrastare la supremazia della memoria nazista, raccogliendo decine di migliaia di documenti e artefatti, diari, interviste e ritratti per dare contezza della vita e della morte nel ghetto. E non solo, basti pensare ai primi report dello sterminio provenienti da Chelmo e fatti rimbalzare sulle onde corte della Bbc Radio. Un’impresa rischiosa e vieppiù coraggiosa, nata quale forma di resistenza non convenzionale e cresciuta, quando i destini personali volgono al termine, quale trasmissione di sapere, non dei filosofi e dei rabbini ma della gente comune, secondo le coordinate apprese dal sionista di sinistra Ringelblum all’Istituto per la Ricerca Ebraica.

Dei sessanta della Oyneg Shabes, con proporzioni estendibili all’intero ghetto dato alle fiamme nel ‘43, non sopravvivranno che tre membri, di cui solo uno, Hersch Wasser, conosce la localizzazione dell’archivio. Assistito da un’altra compagna, Rachel Auerbach, Wasser porta all’individuazione di scatole metalliche seppellite sotto una scuola: è il settembre del 1946. Nel dicembre del ’50 alcuni muratori porteranno casualmente alla luce una seconda porzione del “tesoro”, custodita in due contenitori d’alluminio per il latte.

Regista solida ed esperta, la Grossman lega estratti degli archivi e interviste inedite, raro materiale di repertorio e drammatizzazioni storicamente accurate e ben recitate. Brividi e occhi lucidi accompagnano ineludibilmente la visione, che nel ghetto ritrova un bivio atroce - “Che cosa significa passare davanti a persone che muoiono per strada. Per alcuni mostra quanto siamo diventati insensibili, altri hanno detto di no, invece. Mostra quanto siamo diventati forti” - e un “tragico dilemma: dobbiamo servire la zuppa col contagocce a tutti? O dobbiamo darne una porzione intera ad alcuni così che pochi abbiano abbastanza per sopravvivere?”. Scriveva la Auerbach, che vi fu addetta, “le mense pubbliche ebraiche non hanno mai salvato nessuno dalla fame”, tra impotenza diffusa e crepuscolo degli uomini ci si chiede solo se “morirà prima la mia o la tua famiglia” e a quel punto “si può parlare di etica?”.
-  Chi scriverà la nostra Storia non elude nulla, nemmeno i membri della polizia ebraica che si trasformavano “in segugi per salvare la pelle” e, prima di finire nell’omissis post-bellico, facevano interrogare su “chi ha cresciuto queste mele marce tra noi?”, ma non abdica alla speranza: è “il trionfo dell’umano sull’inumano” di Ringelblum e soci, “ché la nostra volontà di vivere è più forte della volontà di distruggere”.

Nel 1999 il programma Memoria del Mondo dell’Unesco ha incluso tre collezioni polacche: le composizioni di Frédéric Chopin, i lavori scientifici di Copernico, e l’archivio Oyneg Shabes.


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