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LO STATO DEL FARAONE, LO STATO DI MINORITÀ, E IMMANUEL KANT "ALLA BERLINA" - DOPO AUSCHWITZ

"LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA EICHMANN "PILATO", IL SUDDITO DELL’"IMPERATORE-DIO". Il ’sonnambulismo’ di Hannah Arendt prima e di Emil Fackenheim dopo. Alcuni appunti sul tema - di Federico La Sala

ADOLF EICHMANN CHIARISCE COME E’ DIVENUTO “ADOLF EICHMANN”, MA HANNAH ARENDT TESTIMONIA CONTRO SE STESSA E BANALIZZA: “IO PENSO VERAMENTE CHE EICHMANN FOSSE UN PAGLIACCIO”( ...)
lunedì 14 novembre 2011
[...] “(...) quella giornata fu indimenticabile per Eichmann. Benché egli avesse fatto del suo meglio per contribuire alla soluzione finale, fino ad allora aveva sempre nutrito qualche dubbio su “una soluzione cosí violenta e cruenta”. Ora questi dubbi furono fugati. “Qui, a questa conferenza, avevano parlato i personaggi piú illustri, i papi del Terzo Reich”. Ora egli vide con i propri occhi e udí con le proprie orecchie che non soltanto Hitler, non soltanto (...)

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> "LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA EICHMANN --- Reparto assassini. La mentalità dell’omicidio di massa. Abram de Swaan dissente dalla tesi di Hannah Arendt sulla «banalità del male».

domenica 25 ottobre 2015

Novecento

Lo sterminio sotto la lente

Abram de Swaan fa una ricognizione della violenza di massa, analizzando la mentalità che si cela dietro l’orrore: dissente dalla tesi di Hannah Arendt sulla «banalità del male»

di Emilio Gentile (Il Sole-24 Ore, Domenica, 25.10.15)

      • Abram de Swaan, Reparto assassini. La mentalità dell’omicidio di massa, traduzione di Piero Arlorio, Einaudi, Torino, pagg. XI-306, € 27,00

Il Novecento ha una pessima reputazione fra la gente comune e fra gli studiosi. Teatro delle carneficine di due guerre mondiali, di genocidi e di stermini per motivi razzisti, etnici, religiosi, politici, ideologici, è considerato il secolo più violento della storia umana. «Nel secolo scorso, la violenza di massa nei confronti di persone inermi ha causato un numero di vittime oscillanti tra il triplo e il quadruplo di quelle della guerra: almeno cento milioni, ma verosimilmente assai di più». Con questo macabro calcolo Adam de Swaan, sociologo e psicanalista, inizia l’analisi della mentalità dell’omicidio di massa, in un libro che lascia nel lettore un senso di orrore, imponendogli però gravi riflessioni sulla natura dell’uomo e sulla sua disponibilità a diventare un carnefice.

De Swaan ha studiato le pratiche di annientamento collettivo messe in atto con sistematica crudeltà da forze armate organizzate, sostenuto dallo Stato, contro popolazioni inermi, che sono state prima «compartimentate» e «disidentificate», secondo la terminologia di de Swaan, cioè sono state separate, isolate e condannate dalla propaganda di regime come persone nocive alla comunità razziale, etnica o ideologica, con la quale si identificano i carnefici.

Chi sono i carnefici di massa? Cosa li spinge a compiere efferate violenze su civili indifesi, donne e bambini compresi, fino a sterminarli? Secondo alcuni studiosi, i carnefici sono persone ordinarie, che in determinate situazioni diventano criminali perché sottoposte agli ordini o perché incapaci di pensare e di agire consapevolmente. La filosofa Hannah Arendt, che seguì a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann, giudicò il criminale nazista un burocrate dell’ingranaggio genocida, zelante esecutore perché incapace di pensare: nella sua insignificante mediocrità, Eichmann incarnava, secondo la Arendt, «la banalità del male».

Altri studiosi attribuiscono la genesi dello sterminio di massa alla modernità: «L’età moderna è fondata sul genocidio ed è nutrita di genocidi», afferma il sociologo Zygmunt Bauman. Nell’età moderna, non solo le dittature militari e i regimi totalitari hanno praticato l’assassinio in massa: lo hanno fatto anche le democrazie imperialiste contro le popolazioni indigene. «La pulizia etnica omicida è un problema della nostra civiltà», «il lato oscuro della democrazia», secondo il sociologo Michael Mann, il quale asserisce inoltre che sono «le normali strutture sociali a spingere la gente comune a commettere omicidi e a partecipare alla pulizia etnica».

Da queste interpretazioni de Swaan dissente in modo deciso e chiaro, perché finiscono per assolvere i carnefici reali, negando la loro personale responsabilità. Egli critica il giudizio della Arendt sulla «banalità del male», osservando che non può esser considerato “banale” un convinto fanatico nazista come Eichmann, «che mostrò una grande pervicacia nell’organizzare e attuare espulsione, deportazione e sterminio di milioni di ebrei infierendo talvolta sulle vittime più di quanto richiedessero gli ordini ricevuti».

L’isolamento, la deportazione, lo sfruttamento bestiale, lo sterminio di milioni di persone, aggiunge de Swaan, «non hanno nulla di banale. Definirli tali è una pura sciocchezza». Nello stesso senso, egli giudica «piuttosto sorprendente» definire «normali strutture sociali» i campi di sterminio di Hitler, i campi di eliminazione di Pol Pot, i massacratori hutu del Ruanda. Infine, de Swaan contesta l’attribuzione di una congenita vocazione genocida alla modernità, ricordando che sin dalle loro origini «gli esseri umani hanno massacrato i propri simili. Ogni guerra, ogni battaglia si concludeva con saccheggi, incendi, stupri di donne sconfitte, e con la riduzione in schiavitù o con lo sterminio dei nemici sopravvissuti».

Basta sfogliare i grandi libri delle antiche civiltà per leggervi frequenti descrizioni di stermini di popolazioni inermi da parte di eserciti conquistatori. Narra l’Iliade che Agamennone ordinò che nessuno dei troiani doveva «sfuggire all’abisso di morte, per nostra mano, neanche chi è ancora nel ventre della madre, se è maschio, ma tutti spariscano insieme con Troia». I libri del Vecchio Testamento raccontano una sequela ininterrotta di carneficine di donne e bambini, compiute per volere del Signore nelle città conquistate da Israele. Quando Giosuè attaccò Gerico, i suoi soldati «sterminarono tutto quanto era nella città, uomini e donne, giovani e vecchi, perfino i buoi e gli asini passarono a fil di spada». Poi Giosuè conquistò Azor e «passò a fil di spada tutti quelli che vi si trovavano, votandoli allo sterminio». E quando gli israeliti fecero guerra alla tribù di Beniamino ebbero l’ordine di uccidere «gli abitanti di Iabes di Galaad, comprese donne e bambini».

Le cronache medievali raccontano numerosi gli omicidi di massa. Al tempo della prima crociata, nel 1096, i soldati di Cristo massacravano gli ebrei in tutte le città che attraversavano: a Magonza, in un solo giorno «mille e cento anime sante furono uccise e massacrate, bambini e lattanti»; poi, conquistata Gerusalemme nel 1099, i crociati, presi da «divino furore», passarono a fil di spada i musulmani, uomini e donne: «Nelle strade della città si potevano vedere mucchi di teste, mani e piedi», «gli uomini cavalcavano con il sangue fino alle ginocchia e alle redini».

Lo sterminio degli inermi viene dalla notte dei tempi. Secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, attraversando tutti i continenti, è giunto fino ai giorni nostri. E minaccia di continuare nei giorni che verranno. L’età moderna non ha inventato l’omicidio di massa, non ha iniettato la crudeltà genocida nell’essere umano, ma certamente ha messo a disposizione dei carnefici nuovi mezzi organizzativi, tecnici, culturali, per rendere lo sterminio degli inermi più vasto ed efficiente.

Nessun male è banale, e non si può dimostrare che in ciascuno di noi, persone ordinarie, dorme un potenziale carnefice di massa. Dopo tutto, se moderni sono i genocidi, moderna è anche l’indignazione che essi suscitano e la volontà di condannare chi li compie. Fra questi due opposti aspetti della modernità, c’è posto per la speranza, che è l’ultima a morire, come si dice. Purché non sia uccisa prima, inerme com’è.


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