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EICHMANN A GERUSALEMME (1961). “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).

HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI. Alcune note di Federico La Sala

(...) Ancora oggi, ci sono studiosi che sembrano “prendere sul serio il profetismo di Heidegger” e insistono a dare credibilità ai sogni dei visionari e dei metafisici (...)
lunedì 22 agosto 2011
[...] Nel 1933, il discorso del rettorato di Martin Heidegger è la ‘logica’ conseguenza dell’assassinio non solo del “Mosè della nazione tedesca” (come voleva Holderlin), ma del Mosè Liberatore e Legislatore dell’intera tradizione abramica (ebraismo, cristianesimo, e islamismo) ed europea. L’"Uno" di Mosè (“Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è Uno”), come l’“uno”di Kant, diventa l’uno della monarchia prussiana prima (si cfr. la (...)

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> HEIDEGGER E "QUADERNI NERI" --- LA VARIANTE ITALICA DI HEIDEGGER. Risposta di Emanuele Severino alle tesi di Giacomo Marramao e Victor Farías

domenica 25 gennaio 2015


No, non sono la variante di Heidegger

-  Il dibattito intorno all’autore tedesco invita a riflettere sulle questioni fondamentali dell’Essere e della violenza
-  I «Quaderni neri» hanno svelato l’antisemitismo e riaperto un caso
-  Qui Severino replica alle tesi di Giacomo Marramao e Victor Farías

di Emanuele Severino (Corriere della sera - La Lettura, 25.01.2015)

In questi giorni, in cui si è resa ancora più visibile la componente antiebraica del terrorismo islamico, la pubblicazione dei Quaderni neri di Martin Heidegger complica le cose. È tragicamente noto che cosa sia stata la violenza antiebraica del nazismo; Heidegger è stato nazista; i Quaderni neri confermano il suo antiebraismo.

Purtroppo Heidegger li ha scritti. Articoli interessanti in proposito, come quelli di Guido Ceronetti e di Livia Profeti, sono apparsi anche sul «Corriere». In sostanza, mi sembra, Heidegger trascrive nelle proprie categorie l’accusa di deicidio che il cristianesimo ha per secoli e secoli rivolto agli ebrei. Al posto di «Dio» mette cioè l’«Essere» (quello che lui intende con questa parola). Nel suo libro, molto informato e pensato, Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri, 2014), Donatella Di Cesare, pur nella sua decisa opposizione, non intende nascondere nulla, a quanto ho capito, del peso filosofico di Heidegger e proprio per questo bada a mostrare tutta la forza speculativa di cui può disporre la sua condanna degli ebrei. Forza ben misera, che in sostanza, quando è al meglio, si riduce alla seguente affermazione: «La questione riguardante il ruolo dell’ebraismo mondiale non è razziale, bensì è la questione metafisica su quella specie di umanità che, essendo semplicemente svincolata, può fare dello sradicamento di ogni ente dall’Essere il proprio “compito” nella storia del mondo». Dal fatto che gli ebrei sono un popolo nomade, sradicato dalla terra, essi sarebbero cioè sradicati dall’«Essere». I tedeschi invece no, insieme ai greci antichi non sono sradicati.

Molte, da parte di Heidegger, le descrizioni dello sradicamento ebraico dalla terra e della propensione ebraica alla razionalità calcolante scientifico-economica; ma, appunto, non si va oltre il descrivere, o meglio: oltre la convinzione di dire cose che siano descrizioni; la quale non autorizza certo il passaggio dal nomadismo del popolo ebraico al suo sradicamento dall’«Essere». Per fortuna Heidegger non è coerente, ossia non esiste una connessione rigorosa tra le sue tesi; sì che si possono lasciar da parte i Quaderni neri senza esser costretti a fare altrettanto con molte altre sue opere, che lo rendono uno dei maggiori pensatori del Novecento. Rileggere tutta la sua opera alla luce di questi Quaderni (dalla copertina nera) è quindi molto arbitrario. Si può dire allora che se l’isolamento dell’ente dall’«Essere» è in Heidegger un problema serio, non altrettanto si può dire dell’affermazione che gli ebrei siano responsabili di tale isolamento. Non lo si può dire anche perché altrove egli sostiene la tesi che già nel primo pensiero greco, dove l’«Essere» si manifesta per la prima volta, si produce l’oblio dell’«Essere», ossia il voler avere a che fare soltanto con le cose e solo con esse, dimenticando l’«Essere». (Una volontà, peraltro, che prima di Heidegger era stata espressa da Husserl e da Gentile, visto che l’«Essere» è in sostanza il manifestarsi, l’apparire delle cose, l’«aver a che fare», appunto, con esse).

«Con Giacomo Marramao - scrive la Di Cesare - ho avuto modo di discutere sin dall’inizio le pagine di Heidegger». E Giacomo Marramao, nel suo importante libro Dopo il Leviatano (Bollati Boringhieri, 2013), ha avuto modo di discutere quelle che egli chiama «filosofie enfatiche del XX secolo (da quella di Heidegger a quella di Severino, che della filosofia heideggeriana può essere tranquillamente considerata l’italica versione o variante)». L’amico Marramao è un filosofo serio; errare humanum est ; e avrei lasciato correre se ora non si fossero messi di mezzo quei neri e heideggeriani Quaderni - e se non ci trovassimo in una situazione in cui è meglio che, a proposito dell’antiebraismo, tutto sia il più chiaro possibile. Debbo dunque dirgli che se il bianco può essere tranquillamente considerato una «versione o variante» del nero, allora, sì, si può stare altrettanto tranquilli nel considerare la mia filosofia come l’italica versione o variante di quella heideggeriana. Sennonché per Heidegger l’«Essere» è tempo, evento, e nessun ente è eterno; i miei scritti indicano invece la dimensione in cui appare la necessità che ogni ente sia eterno (e se l’«Essere» è, come in effetti è, l’apparire degli enti, allora anche l’«Essere» è eterno). Per molti la differenza, anzi, l’opposizione, tra queste due prospettive è evidente. Cito per tutti Massimo Cacciari.

Certo, Marramao è ben lontano dall’ingenuità di Victor Farías, la cui accusa a Heidegger sollevò verso gli ultimi anni Ottanta un clamoroso e internazionale vespaio analogo a quello che ora i Quaderni neri stanno suscitando all’estero e in Italia. (Solo che oggi, soprattutto in relazione all’antisemitismo presente nel terrorismo islamico, il problema non è solo «culturale»). Ho sempre sostenuto che se una verità definitiva non esiste, allora non è una verità definitiva nemmeno che la distruzione dell’uomo debba essere condannata; e che a questo risultato disumano, partendo da quella premessa, perviene inevitabilmente la civiltà occidentale (e ormai il Pianeta) - la civiltà occidentale, dico, non il Contenuto a cui si rivolgono i miei scritti.

Ma il disattento Farías (cileno, allievo di Heidegger, docente alla Freie Universität Berlin) aveva capito che questa fosse una delle tesi del mio discorso filosofico - il quale è invece la negazione dei fondamenti di tale civiltà. E quindi, scandalizzato, emetteva nel suo libro giudizi come: «È l’inumanità in atto che parla nelle affermazioni di Emanuele Severino»; oppure: Severino «fa appello a Hegel, ma in realtà si trova pericolosamente vicino a Hitler»; e avanti di questo passo. (E il mio errore, agli occhi di Farías, era anche la pretesa di distinguere, in Heidegger, l’uomo dal filosofo. Pretesa, d’altronde, che tengo tuttora ferma: nel senso, come ho detto all’inizio, che tra le tesi di Heidegger non esiste una connessione rigorosa e che quindi la miseria di una non implica la miseria di tutte le altre).

Marramao è lontano dall’ingenua disattenzione di Farías. Però contrappone il Libro dei libri - cioè la Bibbia, che taglia i ponti col mondo classico - alle «filosofie enfatiche» di Heidegger e mia, appunto, per le quali «non si danno né cesure né metamorfosi, né vuoti né paradossi, ma solo passaggi e inveramenti interni a un monologo nichilistico del Divenire già dato ab originibus nel pensiero greco: almeno a partire dal “parricidio” nei confronti di Parmenide perpetuato da Platone e Aristotele. Per esse le idee di “redenzione” e di “consumazione dei secoli” introdotte dalle tre religioni del Libro non costituiscono novità alcuna».

È curioso - e abbastanza grave - che Marramao descriva Heidegger attribuendogli in sostanza (qualche sbavatura a parte) quella che è la mia diagnosi della storia dell’Occidente e che non solo gli heideggeriani, ma credo nessuno sarebbe disposto a vedere in Heidegger. Negando che tale storia sia un «monologo nichilistico del Divenire», Marramao intende negare che essa abbia un senso unitario. Quasi che «cesure», «metamorfosi», «vuoti», «paradossi», «redenzione» e «consumazione dei secoli», che gli stanno a cuore, non fossero forme del «Divenire».

La filosofia greca pensa che il «Divenire» sia l’andare nell’essere, da parte delle cose, venendo fuori dal loro non essere e ritornandovi. Il futuro è ciò che non è ancora; il passato è ciò che non è più. Nel passato e nel futuro le cose sono nulla. C’è un luogo, nella storia dell’Occidente, dove questa convinzione è negata? C’è un luogo, ovunque lo si cerchi? Assolutamente no. (Ecco perché la storia dell’Occidente è un «monologo»). Ma - e siamo al punto decisivo - questa convinzione è, insieme, l’errore estremo e l’estremo orrore, l’estrema violenza. L’errore estremo, perché, affermando un tempo in cui le cose sono nulla, si identificano le cose, ossia ciò che non è un nulla, al nulla (ecco perché il monologo dell’Occidente è «nichilistico»). L’orrore estremo, perché la convinzione della essenziale nullità delle cose è il fondamento di ogni violenza, omicidio, genocidio, Olocausto: «Tu sei nulla - grida la Violenza -; quindi posso e anzi devo trattarti come un nulla». I difensori dell’uomo, e quindi dell’uomo ebraico, volendo essere amici del Divenire vogliono essere amici della Violenza?


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