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EICHMANN A GERUSALEMME (1961). “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).

HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI. Alcune note di Federico La Sala

(...) Ancora oggi, ci sono studiosi che sembrano “prendere sul serio il profetismo di Heidegger” e insistono a dare credibilità ai sogni dei visionari e dei metafisici (...)
lunedì 22 agosto 2011
[...] Nel 1933, il discorso del rettorato di Martin Heidegger è la ‘logica’ conseguenza dell’assassinio non solo del “Mosè della nazione tedesca” (come voleva Holderlin), ma del Mosè Liberatore e Legislatore dell’intera tradizione abramica (ebraismo, cristianesimo, e islamismo) ed europea. L’"Uno" di Mosè (“Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è Uno”), come l’“uno”di Kant, diventa l’uno della monarchia prussiana prima (si cfr. la (...)

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> HEIDEGGER, "L’EVENTO". La copia manoscritta porta la data «1941-42». Sono gli anni della Seconda guerra mondiale, quelli in cui la Germania nazista tocca il culmine della vittoria e, sferrando l’attacco alla Russia bolscevica, si prepara al dominio del pianeta (Donatella Di Cesare)

mercoledì 22 novembre 2017

Filosofia

Heidegger sui sentieri interrotti

Nella sua concezione la storia non progredisce in modo lineare ma è scandita da eventi

Esce in italiano per Mimesis, a cura di Giusi Strummiello, un trattato del famoso pensatore tedesco risalente al cruciale biennio 1941-42

di Donatella Di Cesare (Corriere della Sera, 22.11.2017)

Mentre si continua a discutere, con toni accesi, intorno al ruolo che Martin Heidegger svolge nella filosofia contemporanea, esce in italiano, presso la casa editrice Mimesis, il suo grande trattato L’evento. Pubblicato in tedesco solo nel 2009, il volume, di oltre trecento pagine - corrispondente al numero 71 delle Opere complete -, fa parte della serie di sette trattati esoterici, inaugurata dai Contributi alla filosofia (Dall’evento) , editi in Italia da Adelphi. Lo scenario è quello della storia dell’essere; l’interrogativo riguarda l’inizio. Tutto ruota intorno all’«evento». Si intuisce allora l’importanza decisiva di questo trattato che, insieme agli altri numerosissimi inediti, era stato affidato dallo stesso Heidegger all’Archivio di Marbach am Neckar.

La copia manoscritta porta la data «1941-42». Sono gli anni della Seconda guerra mondiale, quelli in cui la Germania nazista tocca il culmine della vittoria e, sferrando l’attacco alla Russia bolscevica, si prepara al dominio del pianeta. Ma sono anche gli anni in cui d’improvviso tutto può finire nel nulla: la vittoria può mutarsi in sconfitta, l’apice può diventare abisso.

Dal suo angolo di visuale Heidegger scruta la possibilità di un altro inizio. Occorre essere avvertiti e non lasciarsi sfuggire i cenni con cui si preannuncia la nuova era tanto attesa. E, d’altronde, la filosofia non è forse anzitutto attesa? Il rischio sarebbe quello di forzare i tempi, di voler uscire da un’epoca, là dove non vi è uscita, di predisporre, programmare, pianificare. Così verrebbe meno ogni possibilità di interrogarsi e meditare.

Filosofo profondamente storico, tanto contrario alla storiografia erudita e allo storicismo asfittico, quanto attento all’andamento imprevedibile della storia, segnato com’è da svolte repentine, pieghe imponderabili, vie tortuose, Heidegger si chiede che cosa sia un «evento», un Ereignis . Perché la storia non è una marcia trionfale verso il progresso, come viene superficialmente vista nella modernità. Piuttosto è scandita da eventi.

Di volta in volta unico, l’evento si sottrae a ogni dominio e a ogni volontà di definizione. L’evento è ciò che avviene, ciò che accade. Occorre, dunque, vedere finalmente la storia non secondo un disegno globale, bensì come un accadere di eventi, che non sono controllabili a piacimento - al contrario di quel che il progresso tecnico lascia intendere. Di più: proprio perché l’evento scandisce la storia, dischiude un’epoca, siamo noi, nella nostra esistenza storica e finita, ad appartenere all’evento. Perciò l’evento appropria e insieme espropria. Compito della filosofia è pensare l’evento nella sua irriducibile originarietà - e pensarsi dall’evento, cioè come un pensiero che proviene e si dispiega in un orizzonte storico. Non stupisce, dunque, che nella celebre Lettera sull’«umanismo» (Adelphi) , pubblicata nell’immediato dopoguerra, Heidegger scriva: «Dal 1936 “evento” è la parola guida del mio pensiero».

Con toni evocativi, accenti quasi oracolari, uno stile che, fra slanci, inversioni, approfondimenti, si affida a un ritmo rapsodico e segue un percorso capace di aggirare ogni principio, Heidegger guarda all’evento che potrebbe segnare il passaggio dall’evo metafisico a un nuovo inizio della storia. Riprende e sviluppa i temi chiave della sua filosofia. Pagine significative sono dedicate alla verità, al nesso tra pensare e poetare, alla questione della differenza.

Sferzante è inoltre la critica alla modernità, che in tedesco si chiama Neuzeit , quell’epoca che si spaccia per essere nuova, neue Zeit , e che invece, pur essendo «avida di nuovo», non fa che ripetere il passato potenziandolo. Ecco ciò che è tragico: ogni evento viene cancellato sul nascere. Nella modernità una lettura «non-storica della storia» fa tutt’uno con la pianificazione del calcolo e con quell’eccesso della tecnica che si manifesta nella «eccedenza dei dispositivi del volere e nella sovrabbondanza degli armamenti».

Come nei Quaderni neri , scritti nello stesso periodo, anche nel trattato L’evento il paesaggio in cui si muove Heidegger è quello della sera e dell’attesa serale, quando il tramonto si compie, si spengono gli ultimi lumi, la notte incombe. No, nessun timore per la notte. Perché la notte è «la madre del giorno» e solo in quel tempo di oscurità - che la tecnica non tollera, illuminando e accecando 24 ore su 24 - si possono intravvedere i primi bagliori, la fiamma del nuovo inizio. L’Occidente non trapassa, non muore - come vorrebbero alcuni. Piuttosto l’Occidente è «il futuro della storia», purché sia in grado di interpretare la sua storia a partire dall’evento.

Ma nelle ultime pagine il passaggio diventa «divergenza». Così, in un suggestivo ed enigmatico paragrafo, Heidegger celebra i sentieri interrotti, quei percorsi che si addentrano nel fitto del bosco e che si fermano d’un tratto, coperti dalla vegetazione o sbarrati dai tronchi dimenticati dai taglialegna. «Queste vie sono sinistre. La divergenza è sempre su un sentiero interrotto».

Divergenza filosofica? O si dovrebbe anche supporre una divergenza politica dal nazionalsocialismo che si è consegnato alla storiografia della modernità pretendendo di essere il culmine della tecnica. Dal canto suo Heidegger si prepara a fermarsi, a soggiornare sul sentiero dimenticato e interrotto, dove «non “si” va più avanti e non c’è alcun progresso». E si dispone soprattutto a sostenere il peso della divergenza.

Che significhi rivoluzione, svolta epocale o un altro inizio, «evento» è ormai parola chiave della filosofia contemporanea, senza la quale sarebbe inimmaginabile il dibattito degli ultimi anni. Nel pro e nel contro la complessa riflessione di Martin Heidegger resta però ancora da pensare nei suoi profondi risvolti, nelle inattese ripercussioni, nei molteplici effetti.


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