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EICHMANN A GERUSALEMME (1961). “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).

HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI. Alcune note di Federico La Sala

(...) Ancora oggi, ci sono studiosi che sembrano “prendere sul serio il profetismo di Heidegger” e insistono a dare credibilità ai sogni dei visionari e dei metafisici (...)
lunedì 22 agosto 2011
[...] Nel 1933, il discorso del rettorato di Martin Heidegger è la ‘logica’ conseguenza dell’assassinio non solo del “Mosè della nazione tedesca” (come voleva Holderlin), ma del Mosè Liberatore e Legislatore dell’intera tradizione abramica (ebraismo, cristianesimo, e islamismo) ed europea. L’"Uno" di Mosè (“Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è Uno”), come l’“uno”di Kant, diventa l’uno della monarchia prussiana prima (si cfr. la (...)

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> HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA TEDESCA - OGGI. -- Cassirer il filosofo che può essere il punto di riferimento per temi che oggi ci stanno a cuore, dall’importanza dell’Europa al significato decisivo della cultura (Wolfram Eilenberger).

domenica 30 settembre 2018

DIALOGHI. Wolfram Eilenberger denuncia il declino del pensiero del suo Paese colpa della pretesa di farne una scienza, dell’influenza «dannosa» della tradizione analitica, dell’invasione della lingua inglese che appiattisce la stessa elaborazione intellettuale

Il guinzaglio anglosassone alla filosofia tedesca

conversazione di Donatella Di Cesare con Wolfram Eilenberger (Corriere della Sera, La Lettura, 30.09.2018)

DONATELLA DI CESARE - Già alcuni anni fa è stata «la Lettura» a interrogarsi per la prima volta sulla sorte della filosofia tedesca, passata ormai del tutto in secondo piano. Da allora si può dire che la questione sia diventata persino più acuta. Se si prescinde da Peter Sloterdijk, a suo modo un outsider, molto popolare nei media ma rimasto ai margini della vita accademica, nella Germania di oggi mancano figure filosofiche di rilievo. Ben pochi libri riescono a varcare i confini e a risvegliare l’interesse internazionale. Il saggio di Wolfram Eilenberger Il tempo degli stregoni, di recente pubblicato in italiano da Feltrinelli, è un’eccezione. Lei parla di Wittgenstein, Heidegger, Cassirer, Benjamin, del periodo magico del primo Novecento - davvero altri tempi! Dato che lei attualmente non ha un posto all’università, questo successo mi sembra una conferma della chiusura della filosofia accademica, incapace di parlare al grande pubblico. Com’è possibile che una grande tradizione si esaurisca a tal punto? Quali sono a suo avviso i motivi di questa crisi così profonda e drammatica?

WOLFRAM EILENBERGER - La filosofia tedesca appare oggi condannata all’irrilevanza. Il motivo è chiaro: è diventata una professione universitaria, una materia tra le altre. Anche i giovani finiscono per intenderla in tal modo. Persino quelli che hanno più talento, vedono in questa disciplina solo lo strumento per avviarsi alla carriera accademica. A prevalere sono allora i carrieristi e gli sgobboni. Molto presto si restringono gli interessi e si richiede una specializzazione. Regna sovrano l’ottuso imperativo di pubblicare e pubblicare: sempre le stesse questioni rimasticate nello stesso formato dell’articolo specialistico. Il tutto per di più in inglese. Chiunque voglia arrivare al vertice, deve subire già a trent’anni queste imposizioni. La ricerca viene così deformata e, anzi, bloccata da necessità esterne e del tutto fittizie.

DONATELLA DI CESARE - Questo vale, però, anche per l’Italia. Il capitalismo accademico sta ormai stravolgendo non solo l’università, ma lo studio e la ricerca. I criteri di valutazione, buoni forse per le materie scientifiche, hanno effetti devastanti sulle materie umanistiche. La libertà di pensiero e la critica sono minacciate dal bieco calcolo del punteggio.

WOLFRAM EILENBERGER - È esatto. Così vengono tirati su bravi pensatori aziendali - non spiriti liberi! Certo è antico il conflitto tra la filosofia ridotta a professione e quella concepita invece come vocazione. Ma adesso si può dire con chiarezza che il più grande nemico della filosofia è la volontà di essere una «scienza» e una disciplina accademica come le altre.

DONATELLA DI CESARE - Aggiungerei almeno altri tre fra i motivi della profonda crisi in cui versa la filosofia tedesca. Il primo è l’influenza dannosa esercitata dalla «filosofia analitica». Si tratta di una corrente di stampo normativo e formale che, pur avendo esordito nell’area linguistica tedesca - con Gottlob Frege prima, con Ludwig Wittgenstein poi - si è sviluppata e articolata nelle accademie angloamericane. In tal senso è una filosofia che ha ben poco a che fare con la tradizione europea. Il secondo motivo riguarda invece la lingua tedesca, ormai inspiegabilmente quasi espulsa dalle università. La questione diventa qui culturale: la Germania ha puntato quasi esclusivamente sulle materie scientifiche, privilegiando gli accordi con la Cina e con gli Stati Uniti. Interi dipartimenti di filologia antica o di orientalistica sono stati enormemente ridimensionati, se non chiusi del tutto. Il criterio è sempre l’utilità per il mercato. Eppure era lì il cardine della tradizione tedesca. Ciò ha avuto conseguenze anche per la filosofia, costretta o a essere solo «storia della filosofia» oppure a improvvisarsi ancella dei nuovi studi che vanno così di moda: le scienze dei media e quelle della cultura. Questo terzo motivo viene spesso taciuto. Certo che la filosofia deve intervenire nello spazio pubblico. Ne sono più che convinta. Ma senza concedere troppo al mercato.

WOLFRAM EILENBERGER - Si deve ammettere che oggi la filosofia tedesca ha toccato il punto più basso degli ultimi 300 anni. Nel contesto internazionale non offre più alcun impulso né esercita il fascino d’un tempo. Sembra non avere voce neppure in una prospettiva interdisciplinare. Dall’ermeneutica filosofica di Gadamer alla teoria dei sistemi di Luhmann, dall’etica del discorso di Habermas alla metaforologia di Blumenberg, gli ultimi grandi progetti filosofici risalgono oramai a cinquant’anni fa. Il pensiero sembra oggi ripiegato su di sé, al contrario di quel che avvenne invece all’inizio del Novecento, nella Berlino e nella Vienna degli anni Venti. Un motivo di crisi è certo anche la lingua. Diminuisce nel mondo il numero di persone che parlano o anche solo capiscono il tedesco. L’inglese è diventato egemone ormai anche nella filosofia. Questo dominio della lingua va di pari passo con quello del metodo. Grazie alle logiche della classifica e al criterio della valutazione il paradigma della filosofia analitica, importato dagli Stati Uniti, domina il mercato in Europa e in Germania. Per il panorama filosofico i contraccolpi sono gravi. Ormai negli Istituti di Filosofia, anche in quelli più rinomati, si tengono corsi in inglese (sui filosofi tedeschi!) e si spingono gli studenti a pensare e scrivere in quella lingua. È davvero grottesco! Come se la propria lingua madre fosse un semplice strumento esteriore per esprimere il pensiero, non un mezzo che articola e condiziona modi e contenuti del pensare. Sarebbe come se, ad esempio, per salvare la letteratura tedesca, oppure quella italiana, si consigliasse ai giovani talenti di scrivere soltanto in inglese. Sennonché i filosofi analitici in Germania vanno decantando questi esiti, come un cane che gira sfoggiando pieno d’orgoglio il proprio guinzaglio. Quasi che si trattasse di un progresso decisivo, di una sprovincializzazione, di un’apertura globale.

DONATELLA DI CESARE - Ho l’impressione che la riunificazione abbia giocato un ruolo molto importante. Non credo che la Germania abbia elaborato davvero il passato. Dopo il 1989 la filosofia è stata dichiarata e si è autodichiarata colpevole - al contrario della scienza, ben più direttamente coinvolta nel nazismo. Che cosa c’era di meglio, per rimuovere Auschwitz, che ricominciare con la filosofia americana? Non importa, poi, che si buttasse via anche il bambino con l’acqua sporca.

WOLFRAM EILENBERGER - Lei ha ragione quando afferma che, dopo la frattura della Shoah, l’accesso alla storia tedesca sembra diventare sempre più problematico. E lo è tutt’oggi. Posso parlare per esperienza personale: già per la mia generazione aveva un che di liberatorio immergersi solo nel pensiero americano. Era possibile aggirare così del tutto anche quel grande ambito, complesso e per certi versi inquietante, costituito dall’idealismo tedesco. Basta con Fichte, basta con la muffa speculativa, basta soprattutto con il pessimismo culturale alla Nietzsche o alla Heidegger! In questo senso mi convince la sua tesi interpretativa: la riunificazione tedesca ha indubbiamente contribuito a rafforzare un’avversione già profonda verso la propria storia, la propria cultura, la propria tradizione. Ciò è connesso anche con una certa sopravvalutazione della filosofia, peculiarità tutta tedesca. La filosofia sarebbe il centro, la fonte originaria di ogni sapere e di ogni scienza. Quando nel bel mezzo della civiltà si arriva alla barbarie, allora la filosofia, secondo questo modo di vedere, non può non essere la prima accusata, non può non avere la colpa maggiore. Heidegger mi è testimone! D’altra parte è pur vero che un pensiero vivo può svilupparsi solo grazie a un dialogo serrato con la tradizione. Non a caso quest’idea ha improntato la filosofia tedesca del dopoguerra e ha avuto grande rilievo fino a pochi anni fa. Gadamer e Blumenberg hanno in fondo costruito la loro riflessione intorno a questo cardine. Proprio contro la filosofia analitica, così certa del suo metodo, così astorica e al contempo così unidimensionale, è indispensabile mantenere il dialogo con la tradizione.

DONATELLA DI CESARE - A me pare, tuttavia, che anche la filosofia classica non riesca, in Germania, a dire gran che di nuovo. Il pensiero politico è molto normativo; non ha più né una dimensione critica né, tanto meno, un afflato utopico. Quanto è andato perduto del passato! Un esempio eloquente è la Scuola di Francoforte. È difficile scorgere un sia pur esile nesso con Benjamin o persino con Adorno. Si può dire che proprio nel contesto tedesco abbia avuto la meglio quello strano motto di Richard Rorty che afferma la priorità della democrazia sulla filosofia. In fondo anche Habermas, a ben guardare, è un filosofo di Stato. La filosofia normativa, soprattutto in Germania, si presenta come una ripresa, se non una riedizione, del neokantismo, quella filosofia accademica che regnava a Marburgo prima che Heidegger la spazzasse via. Eppure lei sembra avere un’alta opinione di Cassirer e dei neokantiani, quei filosofi che, a loro volta, rileggevano Kant con il proposito onesto, ma decisamente vetusto e per alcuni versi miope, di delineare un’etica, una teoria della conoscenza, un’ontologia. Riproporre oggi un «neokantismo» come stile e modalità della filosofia vuol dire presentarsi come bravi liberali, in grado di democratizzare la democrazia, superare gli ostacoli della comunicazione, mitigare le sofferenze umane, fornire qualche viatico per essere un po’ meno infelici.

WOLFRAM EILENBERGER - È impossibile mettere in dubbio l’assenza di ogni impulso nonché, aggiungerei, una certa mancanza di coraggio. Questo vale in particolare per la Scuola di Francoforte che ha toccato l’apice dell’irrilevanza nei suoi epigoni, ad esempio nella figura di Axel Honneth. Politicamente ciò si traduce nel ripetuto auspicio, né coraggioso né efficace, che il capitale finanziario perda finalmente il potere. Come se a tal fine fossero necessari i filosofi! Si capisce perché da questa corrente non viene alcun contributo che possa aiutare a riflettere sulle grandi questioni di oggi, ad esempio sulla dinamica della migrazione, o sull’ancoraggio culturale di una nazione, un tema che finisce per venire usurpato dalla destra. Che errore! Occorre poi parlare di Jürgen Habermas, l’ultima grande figura di filosofo ancora attivo. Il suo influsso sulla filosofia tedesca, sia dal punto di vista istituzionale, sia da quello dei contenuti, è stato enorme; ma non sempre gli effetti sono stati positivi. Com’è noto, dal consenso alla conformità, e al conformismo, il passo è breve. Si deve rimproverare a Habermas non solo di aver addomesticato e ammansito l’ambito del pensiero politico, ma anche di averlo recintato e chiuso ideologicamente. Diciamolo pure: ormai da diversi anni Habermas è il filosofo di Angela Merkel.

In Germania l’assenza di idee nei filosofi e nelle filosofe di sinistra è ormai quasi istituzionalizzata e va ricondotta in gran parte a questo stallo. Per superarlo sarebbe forse auspicabile ricollegarsi al primo Novecento mondiale e riscoprire la vitalità di quegli anni. Il pensiero di Benjamin, con la sua radicalità, può ancora essere d’ispirazione.
-  A mio avviso, però, è Cassirer il filosofo che può essere il punto di riferimento per temi che oggi ci stanno a cuore, dall’importanza dell’Europa al significato decisivo della cultura. È attingendo a queste fonti ancora così vive che la filosofia tedesca potrà forse rifiorire. Non si può escludere che ciò stia già avvenendo. Si deve infine ammettere che è sempre difficile giudicare la propria epoca dalla prospettiva del presente. Solo questo si può dire con certezza: se qualcosa di nuovo nascerà nella filosofia tedesca, ciò avverrà fuori dai percorsi accademici. Non sembra che si possa attendere molto dal mondo universitario.


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