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EICHMANN A GERUSALEMME (1961). “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).

HEIDEGGER, KANT, E LA MISERIA DELLA FILOSOFIA - OGGI. Alcune note di Federico La Sala

(...) Ancora oggi, ci sono studiosi che sembrano “prendere sul serio il profetismo di Heidegger” e insistono a dare credibilità ai sogni dei visionari e dei metafisici (...)
lunedì 22 agosto 2011
[...] Nel 1933, il discorso del rettorato di Martin Heidegger è la ‘logica’ conseguenza dell’assassinio non solo del “Mosè della nazione tedesca” (come voleva Holderlin), ma del Mosè Liberatore e Legislatore dell’intera tradizione abramica (ebraismo, cristianesimo, e islamismo) ed europea. L’"Uno" di Mosè (“Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è Uno”), come l’“uno”di Kant, diventa l’uno della monarchia prussiana prima (si cfr. la (...)

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>KANT - IL “MOSE’ DELLA NAZIONE TEDESCA” (HOLDERLIN), E ... "I MISTERI EBRAICI" DI CARL LEONHARD REINHOLD. Quel massone di Mosè. L’origine misteriosa dell’ebraismo (di adriano Propseri).

venerdì 9 dicembre 2011


-  Quel massone di Mosè
-  L’origine misteriosa dell’ebraismo

-  Finalmente tradotto in Italia il fondamentale studio di Reinhold gesuita, poi protestante e "libero muratore"
-  Il relativismo che propone confronti e analizza le relazioni è il motore che fa avanzare la conoscenza
-  Il profeta è visto come un capo politico che ha fatto della sapienza egizia la religione del suo popolo

-  di Adriano Prosperi (la Repubblica, 09.12.2011)

Il relativismo è la bestia nera di tutti i fondamentalismi religiosi. Chi propone una verità esclusiva non tollera che la sua merce sia messa sullo stesso banco delle altre, paragonata e soppesata e magari individuata come un prodotto storico, con tanto di data di nascita e rapporti di parentela con quelli della concorrenza. E tuttavia non c’è dubbio sul fatto che la cultura occidentale è impastata di relativismo: lo scopriamo ogni volta che ci confrontiamo con l’alterità culturale di paesi dove - è storia di questi giorni - i meccanismi elettorali democratici portano al potere partiti religiosi. Naturalmente, qui si impone una distinzione necessaria: c’è un relativismo banalizzante, quello che si esprime nella considerazione che non c’è niente di nuovo sotto il sole; e c’è un relativismo stimolante, quello che confronta, analizza e cerca di cogliere le relazioni. Quando Niccolò Machiavelli confrontò Mosé con Numa Pompilio e la religione antica di Roma con quella della Roma cattolica, fece il salto di qualità che distingue il relativismo banalizzante dal distacco intellettuale di chi si pone come osservatore al di fuori e davanti all’oggetto osservato. In termini di storia della cultura, la conquista del punto di vista dell’osservatore occupò la cultura europea su di un lungo arco di tempo, dal ’400 italiano fino all’Illuminismo, passando attraverso la scoperta dell’America e le tragedie delle guerre di religione e del colonialismo benedetto dai missionari cristiani.

Ma questo stesso percorso si propose e continua a riproporsi nella vita delle persone e può essere compiuto nello spazio di una vita individuale. Lo dimostra il caso di Carl Leonhard Reinhold, un autore importante nella cultura di lingua tedesca che solo oggi trova per la prima volta un editore italiano. Sulle sue qualità di scrittore basti dire che senza la sua opera la filosofia di Kant non avrebbe conquistato il mondo della scuola e dell’università nel secolo d’oro dell’idealismo filosofico.

Ma la ragione che riporta tra noi questo scritto va cercata nella biografia intellettuale di uno dei più noti e letti studiosi del fenomeno religioso e della teologia politica. Senza questo scritto forse Jan Assmann non avrebbe avuto l’idea di fondo del suo Mosé l’egizio. Perché questo è precisamente il tema del piccolo libro di Reinhold, I misteri ebraici ovvero la più antica massoneria religiosa, edito da Quodlibet (pagg. 258, 18 euro), a cura e con un saggio di Gianluca Paolucci e con una introduzione scritta appositamente da Jan Assmann.

Davanti a un titolo che parla dell’ebraismo come la più antica massoneria forse qualche lettore si chiederà se non si tratta per caso dell’accusa di complotto giudaico-massonico scagliato contro i rivoluzionari francesi a fine ’700 dall’abate Barruel e diventato la fissazione dei gesuiti della Civiltà cattolica negli anni di quella feroce battaglia antigiudaica e antimassonica che li vide condividere l’antisemitismo del "socialismo degli imbecilli". Il fatto è che Reinhold fu gesuita e massone. Un fatto solo apparentemente singolare, che ci aiuta a capire come la storia cambi continuamente i colori delle cose e i significati delle parole. Nel suo tempo tra Compagnia di Gesù e Massoneria ci fu un’intensa simpatia; i gesuiti frequentavano le logge stimolati dall’idea che presiedeva all’origine del loro Ordine, quella della fiducia nel potenziale rivoluzionario dell’intelligenza come strumento d’azione di una piccola élite illuminata da Dio.

Carl Leonhard Reinhold (nato in Austria nel 1758, morto a Weimar nel 1823) cominciò la sua carriera come gesuita e lo rimase fino allo scioglimento della Compagnia, un evento traumatico per un Ordine religioso che si sentì mal protetto dal papato e che vide la dispersione degli ex membri. La storia dei gesuiti nell’impero asburgico e dei loro percorsi massonici, come ha mostrato un ottimo libro di Antonio Trampus, vide i membri del disciolto Ordine religioso confluire nelle logge massoniche per dividersi poi tra un versante illuministico aperto a idee rousseauiane e un versante reazionario di appoggio all’assolutismo.

Reinhold non seguì né l’uno né l’altro filone: convertitosi al protestantesimo per l’influsso di Herder, trovò in Kant il maestro della sua vita, colui al quale dedicò la sua straordinaria capacità di divulgatore e di docente universitario nella fase matura della sua attività. Da questo rapido curriculum si può già intuire come i percorsi della sua vita lo avessero predisposto al relativismo e stimolato alla comparazione.

La Compagnia di Gesù aveva portato un suo straordinario contributo in tal senso quando, sul fondamento di un impulso mistico all’azione salvifica, aveva innestato il suo metodo che fu detto dell’accomodamento: porsi dalla parte dell’altro, imparare la lingua di giapponesi, cinesi, indios d’America, abituarsi a vedere le cose coi loro occhi come mezzo per poter meglio conquistare neofiti al cristianesimo. Ma il mezzo era rischioso, come intuirono i rivali domenicani. Comportava da un lato l’abitudine a ricercare analogie e parentele, e dall’altro la semplificazione delle dottrine, col risultato di spogliare il cristianesimo della lussureggiante vegetazione di culture europee cresciuta sul suo tronco.

Quanto al lavoro della comparazione, i punti obbligati di riferimento erano sempre quelli: la religione ebraica, madre che resisteva all’abbraccio e alle vessazioni dei figli cristiani; e la misteriosa religione egizia, con quelle piramidi e quei tipi umani così simili ai reperti archeologici delle culture dell’America centrale da suggerire l’ipotesi di una lontanissima migrazione di popoli mediterranei oltre Oceano.

L’idea di Reinhold fu semplicissima: mentre altri sviluppavano comparazioni superficiali cercando analogie formali fra miti pagani antichi e racconti biblici, egli propose l’idea di un nesso diretto, un anello storico di trasmissione tra i misteri egizi e la religione mosaica. L’anello sarebbe stato Mosé, una specie di massone ante litteram, un capo politico che avrebbe fatto della sapienza segreta degli egizi la religione del popolo ebraico.

Era un passo ulteriore rispetto all’intuizione di Machiavelli. Si poteva così ritrovare il nucleo della religione di Mosé in quei misteri egizi così familiari ai frequentatori delle logge massoniche e prima che a loro all’erudizione curiosa e raffinata della cultura gesuitica del ’600. Dalla comparazione nasceva un’ipotesi di derivazione e di sviluppo. È su questa base che si doveva sviluppare ai nostri giorni la ricerca di Jan Assman. Ma anche, prima e più in generale, doveva partire da qui l’impulso a porre la comparazione come metodo al centro della moderna scienza storica delle religioni in un assetto statale del sapere.


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