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IL SOVRANO PRIVATO E’ ILLUMINATO, MA ALL’ITALIA INTERA E’ STATA TOLTA LA LUCE ED E’ STATA RIDOTTA IN UNO STATO DI SOVRANITA OSCURATA E DI MINORITA’.

ITALIA: MATURITA’, GIUGNO 2010. UNA TRACCIA "SICURA" DELLA PROVA DI ITALIANO, QUELLA DEL TEMA N. 1: "SOCIETA’ APERTA, SOCIETA’ CHIUSA, E COMUNICAZIONE. IL DIVIETO DI INFORMARE E LO STATO DI MINORITA’". Materiali allegati - a cura di Federico La Sala

"Nessuna democrazia dotata di libera stampa ha mai sofferto una carestia" (Amartya Sen)
venerdì 11 giugno 2010 di Federico La Sala
ALLEGATI:
DOC. 1
I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero (1786):
"In verità si è soliti dire che un potere superiore può privarci della libertà di parlare o di scrivere, ma non di pensare.
Ma quanto, e quanto correttamente penseremmo, se non pensassimo per così dire in comune con altri a cui comunichiamo i nostri pensieri, e che ci comunicano i loro?
Quindi si può ben dire che quel potere esterno che strappa agli uomini la libertà di comunicare pubblicamente i loro (...)

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> ITALIA: MATURITA’, GIUGNO 2010. ---- LA VITTORIA DELLA SOCIETA’ OPACA (di A. Stille) - Difendiamo il diritto di conoscere. Parla Arianna Ciccone, l’inventrice del post it giallo (di Tiziana Testa).

venerdì 11 giugno 2010

La vittoria della società opaca

di Alexander Stille (la Repubblica, 11.06.2010)

L’argomentazione principale a favore di queste norme è più o meno questa: «Si immagina il povero cittadino che si vede sbattuto sulle prime pagine dei giornali - con sue frasi prese fuori contesto - e poi magari prosciolto perché il fatto non sussiste?», mi disse una volta Niccolò Ghedini, l’avvocato di Silvio Berlusconi e uno dei promotori della legge.In primo luogo, in tutti gli anni che ho girato l’Italia non ho mai sentito dire da un cittadino normale: «Quello che ci vuole in questo paese è una bella legge sulle intercettazioni telefoniche perché sono stufo di vedermi sbattuto in prima pagina per reati che non ho commesso!». Da cittadini normali ho sentito invece esprimere migliaia di volte il desiderio di essere liberi da un sistema soffocante di corruzione, clientela, favoritismi e crimineorganizzato che rappresenta una minaccia seria allo sviluppo dell’Italia e ai diritti più elementari dei suoi cittadini.

Il desiderio di una legge sulle intercettazioni l’ho visto esprimere solamente dai politici, e solo da una minoranza di essi, in genere quelli attorno a Silvio Berlusconi, il quale si è proprio stufato di vedersi sbattuto in prima pagina con conversazioni davvero imbarazzanti che rivelano frequentazioni assai discutibili e giochi di potere al confine tra il lecito e l’illecito. Il numero di persone intercettate - a differenza del numero di apparecchi messi sotto controllo - è in realtà stimato intorno ai 20.000 all’anno. Il telefono del primo ministro non è mai stato messo sotto controllo: ha soltanto la strana abitudine di parlare con frequenza allarmante con alcuni di questi 20.000 sospettati.

È non solo giusto ma importante che i cittadini conoscano gli indizi di reato, soprattutto in casi che riguardano l’amministrazione pubblica, prima di un processo. Immaginiamo per un momento che l’attuale proposta di legge fosse stata in vigore durante l’anno passato. Non sapremmo nulla dello scandalo della Protezione Civile e della "cricca" di appaltatori che ne hanno beneficiato. Il pubblico italiano continuerebbe a pensare che Guido Bertolaso è l’uomo dei miracoli e che il sistema della Protezione Civile - che salta le normali procedure d’appalto - è il modo migliore per fare opere pubbliche in Italia. Non sapremmo nulla dei massaggi e dei festini offerti a Bertolaso dall’imprenditore Diego Anemone. Il ministro Scajola sarebbe ancora al suo posto nel bellissimo appartamento comprato in buona parte con i soldi di Anemone. Le intercettazioni telefoniche probabilmente non sarebbero concesse in questo caso - non trattandosi di reati di mafia o di terrorismo - e, se fatte, non sarebbero state rese pubbliche.

Nessuno di questi signori è stato processato ed è del tutto possibile che nessuno di loro sarà condannato. Ed è giusto che sia così: le prove devono essere molto consistenti e i magistrati devono seguire procedure giudiziarie molto precise per garantire i diritti degli imputati. Ma qualcuno davvero pensa che sarebbe meglio se non sapessimo nulla di tutta questa palude? I magistrati sono costretti dalla legge, durante un’inchiesta, a fornire prove prima di arrestare un sospetto criminale o al momento di chiedere il rinvio a giudizio. A questo punto, molte prove - comprese le intercettazioni - diventano di dominio pubblico. Anche se gli imputati possono essere eventualmente scagionati, è giusto che il pubblico abbia la possibilità di conoscere il loro contenuto.

In primo luogo questo dà la possibilità alla società di reagire al malcostume, di cambiare rotta, di sostituire ufficiali pubblici sospettati di reati o semplicemente colti in comportamenti poco etici ma forse non illegali. In secondo luogo, il fatto che certi passaggi importanti non avvengano nel buio è una garanzia del funzionamento del sistema giudiziario e politico. Siccome nessuno è perfetto, compresa la magistratura, è giusto che l’opinione pubblica serva come controllo sia alla magistratura sia al mondo politico. È la ragione per cui i processi avvengono in aule aperte al pubblico. In Italia, abbiamo visto tanti processi affossati e finiti nel nulla nonostante prove agghiaccianti.

Poi, lavorando senza malafede, la magistratura può archiviare un caso sulla base di considerazioni tecniche. Il lavoro del giudice non è di stabilire la verità; ha un compito molto più limitato: stabilire se le prove, raccolte e presentate secondo criteri molto precisi, sono sufficienti per portare a una condanna. Il tribunale - per proteggere lo stato di diritto e semplificare una realtà potenzialmente infinita - limita molto il tipo di prove che può esaminare. È costretto a scartare alcuni elementi di prova per ragioni puramente tecniche: prove raccolte illegalmente o la parola di testimoni che non si presentano in aula. E poi anche il semplice passare del tempo - specialmente in Italia con la sua legge sulla prescrizione - può vanificare un processo.

Questo non ha niente a che fare con la ricerca della verità che è il compito dello storico ma anche un diritto dell’opinione pubblica e quindi un dovere del giornalista. Molte prove hanno una grande importanza anche se non costituiscono un reato. Per esempio, intercettazioni fatte su Giuseppe Mandalari, un commercialista di Corleone considerato dalla polizia italiana come il fiscalista del boss Totò Riina, poco dopo le elezioni del 1994 hanno prodotto rivelazioni sconvolgenti. «Bellissimo, tutti i candidati amici miei e tutti eletti!», ha detto Mandalari dopo che il "Polo del Buongoverno" capeggiato da Berlusconi aveva vinto 54 seggi su 61 seggi in Sicilia. Poi nei giorni successivi tre politici della nuova coalizione vincente - due senatori e un deputato - hanno telefonato a Mandalari per ringraziarlo e uno gli ha mandato un fax con il curriculum di suo figlio. I tre parlamentari in questione non sono stati incriminati perché, evidentemente, non c’erano altre prove per dimostrare piena collusione con la mafia. E quindi con la nuova legge non sarebbero mai venute alla luce. Ma è giusto che siano state rese pubbliche anche in tempi rapidi. Il cittadino ha tutto il diritto di sapere se i suoi rappresentanti parlano con mafiosi o furfanti anche se fare ciò può non essere un reato.

Ormai, è un fatto acquisito, tra economisti e politologi, che la trasparenza sia fondamentale per una democrazia sana e che la trasparenza vada di pari con altre cose positive: la crescita economica, la libertà di stampa e lo stato di diritto. Nel novembre del 1999, la Transparency International ha rilevato che i costi di costruzione della metropolitana di Milano sono scesi del 57 per cento dopo l’inchiesta di Mani Pulite. Ma l’Italia da un po’ di tempo sta andando nella direzione sbagliata. Dal 2004 al 2009, l’Italia è scesa dal 42esimo al 63esimo posto nella graduatoria di Transparency. La corruzione, invece, cresce nel buio. Secondo la Corte dei conti, i contribuenti italiani perdono tra 50 e 60 miliardi di euro all’anno a causa della corruzione. Questa legge introduce buio dove finora c’è stata un po’ di luce.


Ciccone, l’inventrice del post it giallo: difendiamo il diritto di conoscere

"Dal web alla piazza continueremo a protestare"

Contatteremo poliziotti, magistrati, giornalisti. Chiederemo a tutti come cambierà il loro lavoro con questa legge

di Tiziana Testa (la Repubblica, 11.06.2010)

ROMA - «Stiamo cominciando a contattare magistrati, poliziotti, giornalisti. Chiederemo a tutti di spiegare come cambierà il loro lavoro con questa legge. E poi lo racconteremo su volantini da scaricare online e da distribuire a ogni occasione. Nei quartieri, ai vicini di casa, sugli autobus, alle stazioni della metro. Perché la rete è importante, ma bisogna anche uscire dal web". Arianna Ciccone, 39 anni, giornalista, è l’ideatrice di Valigia blu, il network di cittadini mobilitati da mesi sulla libertà d’informazione in Italia. Parla in un’intervista a Repubblica tv, durante il lungo speciale dedicato al voto di fiducia al Senato sulla legge-bavaglio. E, dopo il risultato, parte alla carica. «Questa legge - dice - è contro tutti i cittadini. Danneggia il loro diritto di conoscere e anche il loro diritto alla sicurezza, visto che ostacola il lavoro dei magistrati. Farlo capire ai frequentatori della rete non è stato difficile, abbiamo già 206 mila iscritti al nostro gruppo su Facebook. Più complicato è portare il popolo della rete in piazza. E convincere chi non naviga in Internet. Perché il sentimento prevalente, oggi, è la sfiducia».

Il viaggio di Valigia blu è iniziato il 26 febbraio quando il Tg1, riferendosi al caso Mills, parlò di assoluzione invece che di prescrizione. La Ciccone si presentò davanti alla Rai con le firme di 155 mila persone che chiedevano una rettifica al direttore Minzolini. Oggi, con la battaglia sulle intercettazioni, la sua agenda è fitta: «Saremo a manifestare davanti a Montecitorio quando la legge tornerà alla Camera; chiederemo di assistere alla seduta, come abbiamo già fatto al Senato col post-it giallo sulla giacca; listeremo a lutto il nostro blog; parteciperemo a tutte le iniziative della Federazione nazionale della stampa». E Napolitano? «Invieremo mail al presidente per chiedergli di non firmare la legge. L’hanno già fatto 7 mila persone. Il capo dello Stato resta l’ultimo baluardo». E se Napolitano dovesse firmare? "Non ci fermeremo. Ci resta la raccolta di firme per il referendum".


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