Basta con i sogni della metafisica
Quando Kant si congedò da Platone
di Donatella Di Cesare (Corriere della Sera, La Lettura, 09.07.2017)
In filosofia non esistono momenti che segnino decisamente un prima e un poi, non ci sono, come, ad esempio, nella scienza, punti di non ritorno. Tutto viene sempre rimesso in discussione. Altrimenti non leggeremmo oggi i testi di Platone. Questo non vuol dire che, nella storia del pensiero, non si siano delineate vere e proprie svolte. Tra queste si staglia, per la sua luminosità e la sua imponenza, la rivoluzione copernicana di Immanuel Kant.
Ad essere rovesciata è la prospettiva della conoscenza umana. Ma non solo. È stato lo stesso Kant a richiamarsi esplicitamente a Copernico nella prefazione della sua più celebre opera La critica della ragion pura, pubblicata nel 1781. Non è l’intera volta stellare a ruotare intorno all’osservatore; piuttosto, nella nuova visione di Copernico, è l’osservatore che ruota intorno alle stelle. Così come è la Terra che ruota intorno al Sole. Un analogo mutamento va introdotto, secondo Kant, anche nella filosofia. Non è il mondo a ruotare intorno all’uomo che lo contempla immobile per scoprirne il segreto ordinamento. Al contrario è l’uomo che, con il suo moto ordinatore, forma il mondo.
Il soggetto acquista, con la rivoluzione copernicana di Kant, un’importanza che non aveva mai avuto prima. Apparentemente decentrato, è tuttavia il soggetto ad avere un ruolo attivo, a muoversi intorno al mondo degli oggetti, per conoscerli, formarli o - come direbbe Kant - «schematizzarli». Le nostre facoltà, il senso e l’intelletto, non sono neutrali, procedono per schemi, lasciano cioè un’impronta sugli oggetti. È vano illudersi ancora: l’ordine del mondo intorno a cui ruotiamo è per noi inaccessibile, così come non arriveremo mai a conoscere l’oggetto «in sé», nella sua essenza intima.
Kant si dissocia da una lunga tradizione che, già partire da Platone, aveva considerato compito della filosofia portare alla luce l’in-sé degli oggetti, la loro idea, la loro forma precipua. Nulla impedisce che questa essenza degli oggetti esista - ammette Kant. Ma quel che degli oggetti noi conosciamo è il modo in cui si manifestano, in cui sono non in sé, bensì per noi. Noi conosciamo solo i fenomeni, mai gli oggetti in se stessi. Non siamo infatti passivi e organizziamo attivamente tutto quello che andiamo conoscendo secondo le forme del nostro percepire e del nostro intendere. La realtà è già sempre articolata dalle nostre condizione soggettive, dai nostri schemi spazio-temporali. In un certo senso è come se, quando conosciamo la realtà, la spingessimo a parlare la nostra lingua.
Impostori e dogmatici, lestofanti e visionari, architetti di mondi campati in aria, sono per Kant tutti coloro che contrabbandano la propria conoscenza dei fenomeni per la vera essenza della realtà. Basta, dunque, con i sogni della metafisica, che pretendeva di svelare l’ordine universale! Dopo Kant il soggetto rinuncia a una conoscenza che superi le sue possibilità per organizzare il proprio mondo secondo autonome norme etiche e politiche che possono aspirare a un’umana universalità.