29/11/2012
medioriente - voto storico
La Palestina diventa “Stato”
All’Onu anche l’Italia dice sì
Ira di Israele: “Molto delusi”
Arriva il via libera alla risoluzione
L’Ue divisa, la Germania si astiene
Netanyahu frena: non cambia nulla *
new york
La Palestina diventa Stato «osservatore» dell’Onu. Il suo rango viene elevato a quello di altri Stati, come il Vaticano e la Svizzera. Esattamente 65 anni dopo il voto sulla spartizione della Terra Santa in due Stati (era il 29 novembre del 1947, e persino un giovedì) l’Assemblea generale delle Nazioni Unite si rende dunque protagonista di un’altra giornata storica, approvando una risoluzione che il presidente dell’Anp Abu Mazen ha voluto con forza. E che i vertici dell’Autorità nazionale palestinese considerano solo un primo passo verso la nascita di un vero e proprio Stato e verso il riconoscimento della Palestina come Paese membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.
LA VITTORIA DI ABU MAZEN
Per Abu Mazen si tratta di una enorme vittoria diplomatica, che lo rafforza anche sul fronte interno e nei confronti di Hamas. Mentre il sì alla Palestina da parte dell’Assemblea Onu consegna alla storia un mondo occidentale spaccato, diviso: con gli Stati Uniti al fianco di Israele nel dire “no” al riconoscimento della Palestina come Stato “osservatore” e i Paesi europei in ordine sparso, incapaci di parlare con una sola voce e di raggiungere una posizione comune. Posizione che aveva auspicato l’Italia, a cui fino all’ultimo ha lavorato la diplomazia del nostro Paese, che alla fine ha optato a favore della risoluzione insieme a Francia, Spagna e molti altri Stati della Ue. Provocando la reazione dell’ambasciata israeliana a Roma che parla di «delusione». Altri Stati europei, come Germania e Regno Unito, hanno optato per l’astensione. Ma dietro il sì italiano, c’è la scelta di Monti per un’Unione Europea più coesa.
TENSIONE IN MEDIORIENTE
Nei Territori i palestinesi sono in festa. Quello che conta oggi è lo storico riconoscimento, votato dai due terzi della comunità internazionale. Questo nonostante il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, a poche ore dal voto sia tornato a ribadire con forza che la decisione dell’Assemblea delle Nazioni Unite «non avvicinerà la costituzione di uno Stato della Palestina. Anzi - ha sottolineato - l’allontanerà». Per gli israeliani infatti (e in questo l’appoggio di Washington è pieno) un vero e proprio Stato palestinese che viva in pace e sicurezza accanto ad Israele può scaturire solo da un negoziato che porti a un definitivo e duraturo accordo di pace. Netanyahu, quindi, assicura come il voto all’Onu di fatto non cambi nulla: «Non sarà costituito uno Stato palestinese senza il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico, senza la proclamazione della fine del conflitto e senza misure di sicurezza reali che difendano lo Stato di Israele e i suoi abitanti».
COSA CAMBIA
Da domani però qualcosa cambia. E il neo “Stato palestinese”, per esempio, avrà accesso a molti trattati e organizzazioni internazionali che finora le erano preclusi. A partire dalla Corte penale internazionale, davanti alla quale i palestinesi potrebbero decidere di portare Israele per denunciare la questione dei Territori Occupati. Questo uno dei timori più grandi degli israeliani e di molti altri Paesi, anche se i vertici dell’Anp hanno assicurato che non compiranno tale passo automaticamente: dipenderà dalla politica che Israele deciderà di portare avanti sul fronte degli insediamenti.
IL PROCESSO DI PACE
Intanto Abu Mazen guarda già alla prossima sfida, questa sì impossibile e simbolica: il sì alla Palestina Stato membro dell’Onu da parte del Consiglio di sicurezza. Una mossa già tentata dal presidente dell’Anp ma che si è inevitabilmente scontrata con il veto degli Stati Uniti. L’auspicio di tutti, però, è che dalla storica giornata al Palazzo di Vetro nasca una nuova spinta verso il dialogo. In questo senso il segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon ha lanciato un chiaro appello a israeliani e palestinesi: «È giunta l’ora di rianimare il processo di pace». Un processo di pace in stallo da troppo tempo.
*La Stampa, 29/11/2012