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EBRAISMO E DEMOCRAZIA. PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")

ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. Alcune note - di Federico La Sala

A EMIL L. FACKENHEIM. (...) il merito di aver ri-proposto la domanda decisiva: “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?”
sabato 2 agosto 2014
[...] La prima volta che Eichmann mostrò di rendersi vagamente conto che il suo caso era un po’ diverso da quello del soldato che esegue ordini criminosi per natura e per intenti, fu durante l’istruttoria, quando improvvisamente dichiarò con gran foga di aver sempre vissuto secondo i principî dell’etica kantiana, e in particolare conformemente a una definizione kantiana del dovere.
L’affermazione era veramente enorme, e anche incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto (...)

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> ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. ----Smarrimento nei diritti umani (di Adam Haslett).

lunedì 21 giugno 2010

Smarrimento nei diritti umani

di Adam Haslett (Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2010)

Non esistono diritti umani fondamentali. Esistono stati nazione che dichiarano di promuoverli, esiste una dichiarazione delle Nazioni Unite al riguardo, ed esistono organizzazioni non governative che ne sostengono l’adozione. Ma come ci ha mostrato la storia, nulla di tutto ciò previene assassini o torture qualora siano in ballo il successo militare, la sicurezza interna o la difesa nazionale.

I diritti, si dice, valgono solo nella misura in cui si ha la capacità di farli rispettare. E in ogni parte del mondo praticamente tutte le vittime di quelle che chiamiamo violazioni dei diritti umani sono prive di tale capacità. A questo scopo esistono, naturalmente, la Convenzione di Ginevra e, dal 2002, la Corte Penale Internazionale dell’Aja. Ma la prima ha giurisdizione solamente sui conflitti armati e la seconda può perseguire solo i crimini avvenuti negli stati membri o i casi che le vengono sottoposti dalle Nazioni Unite. I paesi su cui ha giurisdizione la Corte Penale Internazionale rappresentano una minoranza della popolazione mondiale.

Fra i paesi non firmatari: Stati Uniti, Iran, Sudan, Israele, Russia e India. La corte non ha accesso alle prigioni cinesi o ai centri di detenzione segreti della Cia. Ha aperto un’inchiesta sui leader miliziani della Repubblica Democratica del Congo, ma nessuna burocrazia europea o istituzione internazionale ha saputo fermare la marea di sangue civile che scorre nel paese.

D’altra parte, com’è spesso il caso nel diritto internazionale, i diritti umani sono per lo più materia di esortazione. Gli stati e gli altri soggetti politici vengono esortati dalle istituzioni internazionali e dalle Ong come Amnesty International a rispettarli, ma c’è poco da fare se questi non intendono farlo. È come se la polizia di New York spendesse tempo ed energie a incoraggiare i criminali a non commettere omicidi ma non fosse autorizzata ad arrestarli all’atto pratico. Un tale limite ci costringerebbe a dire che non esiste un diritto a non essere vittime di omicidio, ma solo un atteggiamento generale di deterrenza nei confronti di tale pratica. Questa è oggi la situazione dei diritti umani. Sono ideali che nel concreto non vengono fatti rispettare.

Da dove originino questi ideali è questione dibattuta. Molti indicano Kant, che delineò un fondamento filosofico dell’eguaglianza umana universale basata sulla capacità razionale. Altri alla dichiarazione dei diritti universali dell’uomo a opera della Rivoluzione francese. Ma siccome il concetto di universale del diciottesimo secolo era applicato di solito ai soli cittadini maschi, potremmo dire che l’idea moderna di questi diritti ha il suo vero inizio con la Convenzione di Ginevra e la reazione all’Olocausto.

In un libro di prossima uscita, lo storico Samuel Moyn lascia intendere che anche così si retrodata un fenomeno successivo, e che l’idea che abbiamo oggi dei diritti umani fondamentali e inalienabili comincia in realtà con l’impulso anti-statalista e liberazionista emerso in Occidente fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.

Quel che è chiaro è che la nostra idea contemporanea di universalità in materia di diritti umani si è espansa a comprendere tutte le razze e le etnie ed entrambi i generi. La categoria di quanti riteniamo meritevoli di protezione coincide con l’intera specie. Non escludiamo le persone affette da handicap mentali per il loro difetto di capacità razionale o i rifugiati perché non hanno cittadinanza. Il requisito è diventato di natura essenzialmente biologica.

Se l’universo di quanti sono compresi sotto l’insegna dei diritti umani si è espanso, altrettanto ha fatto la sostanza degli stessi diritti. La Dichiarazione Internazionale dei Diritti Umani annuncia tutte le libertà dalla violenza di stato e dalla detenzione e punizione arbitraria che in genere associamo al peggiore comportamento dei regimi oppressivi. Ma annuncia altresì il «diritto al riposo e allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite» (Articolo 24) e il «diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere famiglia» (Articolo 25). Quale paese può affermare in tutta onestà di rispettare questi standard per tutti i suoi cittadini?

Ad accompagnare quest’espansione nella portata e nella sostanza dei diritti si è registrato un terzo fattore in aumento: la capacità di documentare in tutto o in parte le violazioni dei diritti al di fuori dei canali ufficiali, grazie alla diffusione di telecamere digitali e internet. Non passa giorno senza che da qualche parte del mondo non giunga testimonianza di pulizie etniche, stupri e assassinii politici o detenzioni illegali (l’assenza di uno standard adeguato di vita, naturalmente, non fa notizia). Interi regimi si reggono su simili pratiche. E queste non sono che le pratiche più abominevoli fra indite altre.

Se allora prendiamo seriamente la concezione dei diritti umani che abbiamo oggi, e prestiamo attenzione al telegiornale, la sola conclusione razionale che possiamo trarre è che l’esistenza della vasta maggioranza delle persone sul pianeta costituisce una catastrofe senza fine.

L’ampiezza di tale conclusione porta a un’interessante omologia. Se dovessimo sostituire le parole "violazione dei diritti umani" con il termine "peccato", e dovessimo immaginare per un attimo la Dichiarazione Internazionale dei Diritti Umani come una versione odierna dei Dieci Comandamenti, riusciremmo subito a vedere come la struttura retorica e l’asserzione ontologica che stanno dietro alla nostra idea moderna di diritti umani siano di tipo religioso, e più specificamente cristiano. In questo nostro mondo caduto, regna il disastro morale. È una condizione generalizzata.

Le vie dell’uomo sono perverse. I deboli e i poveri sono afflitti dai ricchi e dai potenti. Contro questa situazione impossibile si pone un gruppetto di persone determinate e altruiste che usano un linguaggio evangelico contro gli empi re e despoti che cercano di svergognare. Ogni detenuto impiccato o donna violentata è martire della causa. Nella nostra cosmologia del castigo, ovviamente, la redenzione è sempre su questa terra: una cessazione delle sofferenze secolari piuttosto che un posto a sedere vicino al Signore.

In un certo senso, non deve sorprendere. L’originaria elaborazione kantiana dell’uguaglianza umana universale emerse dal Pietismo protestante. E le organizzazioni religiose occidentali rimangono fra i gruppi più attivi e costanti nell’appello al rispetto dei diritti umani universali. Non equivale a una critica, per lo meno a mio modo di vedere, far notare le premesse religiose di ciò che la comunità internazionale tratta come una missione laica. Ma riconoscere l’omologia fra retorica dei diritti umani e teologia cristiana potrebbe almeno aiutarci a comprendere e mantenere meglio il nostro orientamento a riguardo.

Perché? Perché se non si può dire che i diritti umani fondamentali esistono materialmente in un mondo in cui non li si fa rispettare, allora per continuare a credere in questi diritti ci serve qualcosa di più che la legge e le esortazioni. Ci serve qualcosa di più vicino alla fede.

(Traduzione di Francesco Pacifico)


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