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EBRAISMO E DEMOCRAZIA. PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")

ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO DI ADOLF EICHMANN. FARE CHIAREZZA: RESTITUIRE L’ONORE A KANT E RICONCILIARSI CON FREUD. Alcune note - di Federico La Sala

A EMIL L. FACKENHEIM. (...) il merito di aver ri-proposto la domanda decisiva: “come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?”
sabato 2 agosto 2014
[...] La prima volta che Eichmann mostrò di rendersi vagamente conto che il suo caso era un po’ diverso da quello del soldato che esegue ordini criminosi per natura e per intenti, fu durante l’istruttoria, quando improvvisamente dichiarò con gran foga di aver sempre vissuto secondo i principî dell’etica kantiana, e in particolare conformemente a una definizione kantiana del dovere.
L’affermazione era veramente enorme, e anche incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto (...)

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> ISRAELE E IL NODO ANCORA NON SCIOLTO ---- L’ulivo di Abu Mazen. Chiesto ufficialmente all’Onu lo Stato di Palestina: “Non è contro Israele, ma le colonie sono una minaccia” (di Barbara Schiavulli).

sabato 24 settembre 2011

L’ulivo di Abu Mazen Chiesto ufficialmente all’Onu lo Stato di Palestina “Non è contro Israele, ma le colonie sono una minaccia”

La pistola non c’è più. Arafat nel 1974 dallo stesso palco chiese di non fargli scivolare l’ulivo dalle mani: aveva un revolver nella fondina. Ieri, Abu Mazen sventola il ricorso

di Barbara Schiavulli (il Fatto, 24.09.2011)

La mano che tremava e il solito vestito grigio scuro. Il viso teso all’inizio tranquillo e poi sempre più animato, fino al sorriso finale che non ha saputo trattenere, quasi intimidito da quella folla di rappresentati alle Nazioni Unite che fino al discorso precedente erano un po’ sonnacchiosi e improvvisamente, si ritrovavano in piedi per applaudire la voglia di pace di un popolo che la chiede da 60 anni. Abu Mazen non è mai stato l’uomo della piazza. L’ha evitata tutta la vita giocando nelle retrovie, negoziando, parlando, pianificando. Ma la Storia sa prendersi beffe dei riservati e ha sbattuto il presidente dell’Autorità palestinese sul podio davanti al mondo. Ha chiesto che il popolo palestinese possa entrare a pieno diritto come Stato nelle Nazioni Unite. Poco prima aveva consegnato la sua domanda a Ban Ki Moon, il segretario dell’Onu (Twitter ha dato la notizia), e poco dopo ne ha sventolata una copia come se lì fossero racchiuse tutte le speranze di un popolo che non ha più voglia di aspettare e che non ha più niente da perdere.

Abu Mazen non ha dato scadenze , non ha posto condizioni, aspetta che le Nazioni Unite votino, conscio che è probabile che con il voto contrario degli Stati Uniti non porti a niente, ma se politicamente quel signore che sembra il vecchietto della porta accanto più di un presidente, rischia di perdere, ha vinto moralmente il suo posto all’Onu.

Perché la sua è stata una sfida proprio contro gli Stati Uniti. Convincere il mondo a entrare nel problema palestinese, significa che neanche il premier Nobel per la pace Obama, è riuscito a ottenere qualche risultato. Pace sì, ma fino a che accadrà, sarà permessa la resistenza pacifica, ha garantito Abu Mazen, mostrando il fianco a chi leggerà questo come una minaccia. “ABBIAMO tentato tutte le strade per la pace”, così ha esordito, elencando poi tutti gli errori degli israeliani, concentrandosi sugli insediamenti che continuanoaesserecostruitieche“minano l’esistenza stessa dell’Autorità palestinese”, non dimenticando i migliaia di prigionieri, i profughi, quella Gerusalemme Est che vorrebbero capitale e quella vita da occupati che sono costretti a vivere.

“Israele continua la sua campagna demolitrice e la sua pulizia etnica verso i palestinesi”, ha detto ancora, aggiungendo che lo stato ebraico“minacciainostriluoghisacri”. Ha ripercorso la storia di negoziati che durano da decenni e che sono sempre falliti. Colpa degli uni e degli altri. Quaranta minuti di discorso, sei interruzioni per applausi, due standing ovation, Abu Mazen non può che essere soddisfatto. Ha ricordato a tutti quel conflitto che esiste da talmente tanto tempo che sembra una cosa normale, ma che non lo è per chi vive nei Territori occupati. “Il cuore del problema è che Israele si è rifiutato di rispettare gli impegni”, è stata la sua accusa. “Il fallimento dei negoziati di pace israelo-palestinesi è colpa della politica colonialista di Israele, della occupazione militarizzata dei Territori e della discriminazione razziale praticata nei confronti dei palestinesi”, ha proseguito, aprendo subito al tavolo delle trattative se si ferma la costruzione degli insediamenti.

“COME disse Arafat, ho un rametto di ulivo in mano, non lasciate che cada”, ha mormorato Abu Mazen, citando il simbolo della lotta per la liberazione palestinese, scatenando un altro applauso e ricordando a tutti la prima apparizione di Arafat all’Onu nel 1974, quando in una mano aveva una pistola e nell’altra un’offerta di pace, appunto. Fu lui che firmò gli accordi di Oslo, quando per un attimo sembrò che tutto fosse possibile. Sono trascorsi 18 anni.

“Ho chiesto di essere ammessi con tutti i diritti alle Nazioni Unite, come Stato indipendente, libero e legittimo, ma la questione è semplice: o si pensa che siamo un popolo che non merita nulla, o che sia necessario uno Stato anche per noi. Abbiamo bisogno che il mondo ci sostenga e ora spero che non dovremo aspettare a lungo. Abbiamo sofferto per 63 anni. È abbastanza. È abbastanza. È abbastanza”.


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