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EROS E CIVILTA’ ....

MA CHI ERA IL MARCHESE DE SADE (1740-1814)? Un filosofo rivoluzionario che predisse Freud. Una nota di Renato Barilli - a cura di Federico La Sala

« Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.»(Marchese de Sade, Lettera alla moglie, 20 febbraio 1791)
martedì 29 giugno 2010
[...] non c’è Marx nelle elucubrazioni del Divino marchese, ma un Freud anticipato di quasi un secolo, con una perentorietà e un estremismo che poi non ritroveremo nel padre della psicoanalisi. Freud verrà per diagnosticare la presenza insopprimibile del continente oscuro dell’Es, dell’eros, della libido, ma pure ad ammonire che la civiltà consiste nel trovare un giusto equilibrio, tra quelle spinte e le censure, che pure ci devono essere, se si vogliono alimentare gli alti costi del (...)

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> MA CHI ERA IL MARCHESE DE SADE? ---- Perché scriveva Sade? Cosa poteva significare, per Sade, l’esercizio della scrittura? (di Michel Focault - Sade e Justine, se la scrittura diventa desiderio assoluto)

domenica 27 novembre 2011

Una lezione del grande filosofo sui meccanismi dell’opera del Marchese

Sade e Justine, se la scrittura diventa desiderio assoluto

Il suo scopo non è comunicare né convincere nessuno. Bensì superare il confine tra la realtà e l’immaginario

di MICHEL FOUCAULT (la Repubblica, 27.11.2011)

Perché scriveva Sade? Cosa poteva significare, per Sade, l’esercizio della scrittura? Dagli elementi biografici che abbiamo su di lui, sappiamo che ha riempito di inchiostro migliaia di pagine, molte più di quelle che si sono salvate. Una quantità ragguardevole si è persa, ogni qualvolta Sade è stato imprigionato. Sade scriveva, infatti, su pezzetti di carta che gli venivano regolarmente sequestrati. È così che ha redatto Le 120 giornate, alla Bastiglia, terminandole credo nel 1788-89.

Quando la Bastiglia venne espugnata dai rivoluzionari, quelle pagine gli furono confiscate. Ecco il lato oscuro della presa della Bastiglia: la sparizione de Le 120 giornate del Marchese. Fortunatamente queste pagine vennero ritrovate, ma solo dopo la sua morte. Al tempo, per quella "perdita", Sade versò, è lui stesso a ricordarcelo, "lacrime di sangue". L’ostinazione che Sade ha posto nella scrittura, le sue lacrime di sangue unitamente al fatto che ogni volta che pubblicava un libro veniva sbattuto in galera - ecco, tutto ciò prova che Sade attribuiva alla scrittura un’importanza ragguardevole.

Con il termine "scrittura" non bisogna intendere il mero fatto di scrivere, ma il fatto di pubblicare. Poiché - ricordiamocelo - Sade pubblicava i propri testi. E se la fortuna voleva che, mentre li pubblicava, egli fosse fuori di prigione, ciò non impediva che fosse arrestato non appena quei medesimi testi fossero pubblicati. E il tutto proprio a causa della loro pubblicazione. Da dove viene dunque la serietà della scrittura in Sade? Io credo che a un primo sguardo sia dovuta a un fatto, a più riprese espresso in Justine e Juliette. Sade si rivolge ai lettori non in ragione del piacere che i suoi racconti possono provocare in loro, ma proprio per ciò che di sgradevole può esservi narrato.

Lo dice chiaramente: «Non avrete di che provare piacere, ascoltando il racconto di storie tanto raccapriccianti. La virtù punita, il vizio ricompensato, bambini massacrati, ragazzi e ragazze fatti a pezzi, donne incinte impiccate, interi ospedali dati alle fiamme. La vostra sensibilità sarà rovesciata, il vostro cuore non ne potrà più. Ma che cosa volete che vi dica? Non è alla vostra sensibilità, né al vostro cuore che mi rivolgo. Mi rivolgo alla vostra ragione - ad essa solamente. Voglio dimostrare una verità fondamentale, ossia che il vizio viene sempre ricompensato e la virtù punita». Si pone però un problema.

Quando seguiamo un romanzo di Sade, ci accorgiamo che non c’è assolutamente logica nella ricompensa del Vizio e nella punizione della Virtù. In effetti, ogni qualvolta Justine, che è virtuosa, viene punita, la punizione non dipende mai dal fatto che abbia commesso un errore di ragionamento, che non abbia previsto qualcosa o sia stata cieca nei confronti di una talaltra cosa. No, Justine ha calcolato perfettamente tutto, ma le capita sempre una qualche terribile sventura. Sventura che attiene all’ordine del caso e come tale la punisce. Justine salva qualcuno? Bene, quando l’ha tratto in salvo, finisce per massacrarlo. Massacra colui a cui ha appena salvato la vita. Qui è il caso, sempre il caso, che interviene, mai la conseguenza logica dei suoi atti. E questo caso determina la punizione.

Quando Sade afferma di indirizzarsi «non al vostro cuore, ma alla vostra ragione» non è dunque in questione la razionalità del Vizio, né della Virtù. Sade non si prende seriamente, qui. Ma allora, che cosa vuole fare quando pretende di indirizzarsi alla nostra ragione, mentre l’ossatura del racconto si rivolge a tutt’altro orizzonte? Credo che per capirlo occorra riprendere un passaggio - il solo, in Justine e Juliette - che si riferisce allo scrivere. Juliette si rivolge a un personaggio, a un’amica già perversa, ma non totalmente perversa. Non ancora almeno. Qui si tratta di fare l’ultimo apprendistato, di salire l’ultimo scalino della perversione.

Ecco i consigli di Juliette: «Rimanete quindici giorni senza occuparvi di lussuria. Distraetevi, divertitevi con altre cose, ma fino al compimento del quindicesimo giorno non lasciate il minimo spiraglio alla più piccola idea libertina. Poi coricatevi, da sola, nella calma, nel silenzio e nell’oscurità più profonda. Ricordatevi allora di tutto ciò che avete bandito in quei quindici giorni. Date poi alla vostra immaginazione la libertà di presentare differenti modi di pervertirvi. Percorreteli nel dettaglio. Passateli in rassegna. Persuadetevi che tutta la terra vi appartiene e avete il diritto di cambiare, mutilare, distruggere, rovesciare qualunque essere. [...] Il delirio si impossesserà di voi. Accendete allora la candela e trascrivete sui fogli la specie di smarrimento che vi ha infiammato, senza dimenticare alcuna circostanza che aggravi i dettagli. Addormentatevi, dopo averlo fatto. L’indomani, rileggete le note e ricominciate l’operazione».

Ecco dunque un testo che chiaramente ci mostra un modo di usare la scrittura. Un uso chiaro delle scrittura. Si parte dalla libertà totale assegnata all’immaginazione, si scrive, ci si addormenta, si rilegge, si procede con un nuovo lavoro dell’immaginazione, si passa a una nuova elaborazione per mezzo della scrittura e infine, come dice Sade, alla maniera di una ricetta culinaria: «Commentate...».

Credo si debba studiare a fondo, in maniera più decisa e precisa, questo testo. Chiediamoci allora come funziona, in esso, la scrittura.

Direi che in primo luogo la scrittura vi gioca un ruolo intermediario tra immaginario e reale. Sade, o il personaggio in questione, si dà fin dall’inizio alla totalità del mondo immaginario possibile e deve quindi variare questo mondo, superarne i limiti, spostarne le frontiere. Va oltre, proprio mentre credeva di aver già immaginato tutto, ed è questo che va trascritto più volte e solo quando sarà arrivato a una data realtà, allora potrà accedere al famoso: «Commentez ensuite». Come se fosse facile, commentare quando si è sognato di massacrare migliaia di bambini, di bruciare centinaia di ospedali, di far esplodere un vulcano... La scrittura è dunque questo processo, questo momento che ci porta fino a un reale che, a dirla tutta, spinge il reale fino ai limiti stessi dell’inesistenza. La scrittura è ciò che permette di spingersi sempre oltre le frontiere dell’immaginazione. Il principio di realtà o, piuttosto, la scrittura è ciò che a forza di spinte successive sposta il momento della conoscenza oltre l’immaginazione. La scrittura è ciò che forza a far lavorare l’immaginazione, introducendo un ritardo nel momento in cui il reale finemente si sostituirà al principio di realtà. La scrittura spinge la realtà fino a divenire irreale quanto l’immaginazione. La scrittura - ecco la sua prima funzione - abolisce le frontiere tra realtà e immaginazione. La scrittura esclude la realtà, ecco quindi che cancella tutti i limiti dell’immaginario.

Ci sono però altre funzioni che orientano la scrittura. La scrittura, in particolare, cancella il limite temporale, cancella i limiti dello sfinimento, della fatica, della vecchiaia, della morte. A partire dalla scrittura, tutto può continuamente, indefinitamente ricominciare. Ma mai la fatica, mai lo sfinimento, mai la morte si affacceranno in questo mondo della scrittura, che è precisamente l’elemento che cancella la differenza tra principio di realtà e principio di piacere. La scrittura introduce il desiderio nel mondo della verità, togliendo a esso le briglie e i limiti del lecito e dell’illecito, del permesso e del proibito, del morale e dell’immorale. La scrittura introduce il desiderio nello spazio dove tutto il possibile è indefinitamente possibile e illimitato. La scrittura permette all’immaginazione e al desiderio di non incontrare più altra cosa che non sia la sua individualità. Permette al desiderio di essere sempre, in qualche modo, all’altezza della propria irregolarità.

In conseguenza di tutte queste illimitazioni prodotte dalla scrittura, il desiderio diventa legge a sé stesso. Diviene sovrano assoluto che detiene la propria verità, la propria ripetizione, il proprio infinito, la propria istanza di verifica. Niente potrà più dire al desiderio «sei falso», niente può rinfacciargli «non sei totalità», niente «è vero ciò che sogni, ma c’è qualcosa che ti si oppone». Niente può più dire al desiderio «ci sei, ma la realtà dice un’altra cosa». Grazie alla scrittura, il desiderio è entrato nel mondo della verità totale, assoluta, illimitata senza possibile contestazione esterna.

Ecco dunque che, osservata da questa prospettiva, la scrittura sadiana non ha come caratteristica il mettere in comunicazione, l’imporre, il suggerire a qualcuno le idee o i sentimenti di un altro. Non si tratta assolutamente di persuadere qualcuno di una verità esterna. La scrittura sadiana è una scrittura che non si indirizza a nessuno. Non si indirizza a nessuno nella misura in cui non si tratta di persuadere a nessuna verità che avrebbe ipoteticamente nella testa, avrebbe riconosciuto e dovrebbe quindi imporre al lettore. La scrittura di Sade è una scrittura assolutamente totalitaria, tanto che nessuno può esserne persuaso in un senso, e nessuno può comprenderla nell’altro. Ecco dunque che per Sade è assolutamente necessario che tutti i suoi fantasmi passino per la scrittura e attraverso la scrittura, in ciò che ha di materiale, poiché, come ci dice il testo di Juliette, è proprio questa scrittura, quella materiale, fatta di segni posti su una pagina che possiamo leggere, correggere, riprendere e via all’infinito - è questa scrittura che mette il desiderio in uno spazio illimitato, dove ciò che è esteriore, il tempo, i limiti dell’immaginazione, le concessioni e i divieti, sono totalmente e definitivamente aboliti.

La scrittura è dunque il desiderio che ha avuto accesso a una verità che nulla può più contenere. Una verità senza limite. La scrittura è il desiderio divenuto verità. Verità che ha preso forma di desiderio. Del desiderio ripetitivo, del desiderio illimitato, del desiderio senza letto, del desiderio senza esteriorità, dove l’esteriorità è la soppressione dell’esteriorità in rapporto al desiderio. Questo è quanto la scrittura porta a compimento, nell’opera di Sade. Ed è la ragione che lo spinge a scrivere.


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