Il vescovo scrive ai boss: “Non profanate i nostri santuari”
di Pierangelo Sapegno (La Stampa, 19 luglio 2010)
Il vecchio boss lo diceva come se fosse in preghiera, sotto la Madonna: «Il crimine non è di nessuno. E’ di tutti». Magari dopo andavano a pregare davvero, lui e i suoi uomini, con le loro divise da lavoratori della terra, le giacchette celesti, i pantaloni a campana, le mani grosse e ruvide, quelle loro facce da niente che gestiscono miliardi e potere: il giorno della processione c’erano sempre tutti, in coda, dietro alla statua oscillante sopra le spalle dei fedeli, fra le mani protese, le lacrime e i segni della croce.
Ma a fare l’organigramma della ‘ndrangheta, poi, si trovavano ogni volta qua sotto, al Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, come devoti e padroni. Dispensavano morte e preghiera. «Facciamo le cariche per la Madonna», diceva il capo dei capi, Domenico Oppedisano, 80 anni portati assieme al potere, con i suoi capelli bianchi e le mani piene di calli. E’ per questo che il vescovo di Locri, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, ha scritto una lettera aperta a tutti i gregari e i comandanti della ‘ndrangheta per gridare il suo scandalo: «Perché dovete umiliare la nostra fede e la nostra religione?».
In tutto questo, alla fine, però, c’è qualcosa che stride. Non è la prima volta che un vescovo o un uomo di Chiesa si rivolge con durezza in Calabria agli uomini della ‘ndrangheta. Ma dall’altra parte, c’è anche - innegabile - questo abbraccio antico di un’organizzazione criminale che mostra ed esalta la sua fede come un paravento. Non deve stupire che gli uomini della ‘ndrangheta si riuniscano nel cuore di un santuario per disegnare strategie prendere decisioni. «Quello che abbiamo noi qua, se non era per me, non ci sarebbe stato», dice Oppedisano. Gli altri gli stanno attorno in religioso silenzio, come in preghiera, vestiti tutti come lui, con le stesse facce, la stessa durezza: sembrano braccianti che gestiscono miliardi, un’infinità di miliardi. Loro non hanno bisogno di sfoggiare ricchezza e potere.
Così, al confronto di questa immagine, suonano quasi ingenue le parole accorate di monsignor Morosini: «Il Vangelo di cui voi parlate non può essere il Vangelo di Gesù, che parla di amore, di perdono e di riconciliazione, di rispetto della persona e della legge, anche quella degli uomini. Che senso possono avere questi incontri all’ombra del Santuario della Madonna, dove, mentre i fedeli pregano e si riconciliano con Dio, voi decidete strutture e attività, che Dio e la Vergine Maria non possono benedire? Siamo profondamente rammaricati che ciò avvenga trasformando il Santuario di Polsi da luogo di fede in luogo di illegalità. A Polsi la gente viene per trovare nella fede e nella devozione alla Madonna motivi per vivere; i vostri incontri non sono affatto su questa linea, anzi spesso parlano di morte. La fede della gente va rispettata e non derisa e umiliata... Perché si deve ridere di noi, delle nostre tradizioni e delle nostre celebrazioni, quando poi le si vedono unite a questi incontri, i cui contenuti sono contro i valori della religione, che voi dite di professare?».
La realtà poi è un po’ diversa. Lo sanno benissimo i carabinieri che devono pedinare il nuovo capo. Domenico Oppedisano è di Rosarno, è il boss che ha voluto la cacciata dei lavoratori di colore, ed è diventato potente il 19 agosto del 2009 quando viene investito dello scettro di capocrimine al matrimonio di Elisa Pelle e Giuseppe Barbaro. La sua nomina però avviene in un santuario. E per seguirlo i militari devono andare a tutte le feste religiose di cui lui è devotissimo. Poi incontra i suoi, dopo le preghiere, tutti con le loro camicie da contadini, i calzoni larghi un po’ strascicati sulle scarpe, tutti in cerchio attorno a lui, con i capelli bianchi, il volto solcato da rughe profonde come le orme della terra e la voce dura, un po’ impastata, che ripete allargando le mani sotto la statua della Madonna: «tutto quello che avete lo dovete a me».
La camicia sgargiante con le punte del colletto così larghe che arrivano fin sulle spalle è la stessa che porta il giorno che i carabinieri lo portano via dietro a un cancello e davanti alle telecamere. Nessuno sapeva ancora il suo nome. Sapevano solo che era il Capo dei capi. Si chiama «Vangelo».