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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
mercoledì 17 aprile 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT - ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA - Leggere il Mein Kampf apre gli occhi -- Hitler secondo l’anarchico Feyerabend (di A. Massarenti)

domenica 19 giugno 2016


Hitler secondo l’anarchico Feyerabend

di Armando Massarenti (Il Sole-24 Ore, Domenica, 19.06.2016)

Dopo la recente affermazione della destra xenofoba in Austria, a un passo dal vincere le elezioni, ho ripensato a ciò che scriveva Paul K. Feyerabend nella sua splendida autobiografia, intitolata Ammazzando il tempo e uscita per Laterza nel 1994, anno della sua morte, a 70 anni di età. Esordiva fin dalle prime pagine avvertendo degli strani scherzi che può fare la memoria: quelli in forza dei quali magari oggi ci si stupisce del rinascere di certe idee che pensavamo del tutto tramontate.

Aveva deciso di scrivere quel libro nel 1988, durante il cinquantenario dell’unificazione tra Austria e Germania. «Ricordavo che gli austriaci avevano accolto Hitler con straordinario entusiasmo, ma ora mi ritrovavo ad ascoltare condanne secche e toccanti appelli umanitari. Non che fossero tutti in malafede, eppure suonavano vuoti: lo attribuii alla loro genericità e pensai che un resoconto in prima persona sarebbe stato un modo migliore di fare storia. Ero anche piuttosto curioso. Dopo aver tenuto lezioni per quarant’anni in università inglesi e americane, mi ero quasi dimenticato dei miei anni nel Terzo Reich, dapprima come studente, poi da soldato in Francia, Iugoslavia, Russia e Polonia».

Persino lui, Paul K. Feyerabend, dunque, già allora quello spirito libero che poi sarebbe divenuto famoso come l’epistemologo dell’anarchismo metodologico, aveva subito una forma di attrazione per il regime, e aveva anche meditato di entrare nelle SS. «Perché? Perché un uomo delle SS aveva un aspetto migliore, parlava meglio e camminava meglio di un comune mortale: le ragioni erano estetiche, non ideologiche». Finalmente un libertario, un democratico capace di non cadere nelle trappole dell’ipocrisia! ho pensato ai tempi leggendo Ammazzando il tempo. E che ci fa capire meglio perché il nazismo potesse attrarre le giovani generazioni. Anche rivedere l’immagine stereotipata di Hitler era per Feyerabend un modo per capire meglio la realtà. Abbiamo visto mille volte spezzoni di documentari che ce lo mostrano come una macchietta in preda all’ira. Si tratta di una precisa scelta della propaganda post-bellica. Feyerabend descrive invece così la sua arte oratoria: «Hitler accennava ai problemi locali e a quanto era stato fatto fino ad allora, faceva battute, alcune abbastanza buone. Gradualmente cambiava il modo di parlare: quando si riferiva a ostacoli e inconvenienti aumentava il volume e la velocità del parlare. Gli accessi violenti che sono le uniche parti dei suoi discorsi conosciute in tutto il mondo erano preparati con cura, ben interpretati e utilizzati con umore più calmo una volta finiti; erano il risultato di controllo, non di rabbia, odio o disperazione».

Ancora oggi, se del nazismo non cerchiamo di capire le ragioni interne, e magari non ci spaventiamo a rileggere Mein Kampf, non sapremo mai perché esso ha appassionato così tante persone. E sarà anche più difficile difendere i nostri valori più cari: libertà, pluralismo, democrazia. Benché l’intelligenza critica di Feyerabend fosse già piuttosto acuta, al punto da commentare la lettura di Mein Kampf (ad alta voce alla famiglia riunita) come un «modo ridicolo di esporre un’opinione», «rozzo, ripetitivo, più un abbaiare che un parlare», egli stesso, pochi giorni dopo, avrebbe concluso un tema scolastico su Goethe legandolo proprio a Hitler. Non solo la memoria collettiva può fare brutti scherzi: anche la nostra attenzione critica è qualcosa di quanto mai fragile. Ma lo è ancora di più se ci rifiutiamo di rileggere senza ipocrisia le pagine più buie della nostra storia.


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