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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 22 marzo 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- Etica (Friburgo, 1920-1924). Quando a lezione Husserl criticò Kant (di E- Bencivenga).

venerdì 23 agosto 2019

Etica. Pubblicato il ciclo di conferenze tenute a Friburgo dal 1920 al 1924

      • Quando a lezione Husserl criticò Kant

di Ermanno Bencivenga (Il Sole-24 Ore, 11.08.2019)

Triste è il destino dei grandi filosofi. Per capirli sarebbe necessaria una mente alla loro altezza, rara come una mosca bianca; di solito, rimangono ostaggio degli «studiosi» che in ogni occasione citano libro e versetto ma sul senso di quelle sacre scritture ne sanno quanto i sei ciechi della parabola su come è fatto un elefante. Ogni tanto compare all’orizzonte un altro grande filosofo, e capita pure, magari, che voglia dire la sua sul collega; ma le grandi menti hanno poco tempo per i dettagli altrui, impegnate come sono ad articolare i propri. E poi sono ambiziose: se parlano di un collega, è per usarlo come trampolino di lancio per i loro voli, come ombra sullo sfondo della quale far risplendere i loro bagliori.

L’Introduzione all’etica comprende un ciclo di lezioni tenute da Edmund Husserl nel 1920 e ancora nel 1924, a Friburgo, davanti a un pubblico d’eccezione che comprendeva Norbert Elias, Karl Löwith, Herbert Marcuse e Hans Jonas. Tratta il suo argomento storicamente, il che è insolito in Husserl, seguendo un percorso cronologico che va dai sofisti a Kant. Ci sono scelte idiosincratiche: Aristotele viene appena menzionato ma si presta attenzione ad Aristippo; nella modernità la Gran Bretagna è meglio rappresentata (con Hobbes, Locke, Hume e Mill) del continente europeo.

Ma il confronto più teso e sostenuto è con il personaggio culmine della vicenda: il saggio di Königsberg, al quale Husserl dedica in chiusura una quarantina di pagine ma la cui figura incombe su tutto il testo. Viene introdotto con rispetto: due interi paragrafi sono dedicati a un sommario di alcune parti della Critica della ragion pratica. E gli viene riconosciuto il grande merito di aver combattuto l’edonismo (definito «la negazione dell’etica»). Ma tali concessioni servono solo a indorare l’amara pillola: precedute da un minaccioso «Passiamo ora alla critica», gli vengono riversate contro le accuse più severe, senza appello. I suoi sono «meri concetti, significati morti, estranei agli atti della vita originariamente conferente senso»; le sue dottrine sono assurde, incomprensibili, fallimentari e perfino impensabili.

Qual è l’oggetto del contendere? Ce ne sono vari, ma accomunati da una cruciale differenza di tono. Kant ci consegna un mondo indeterminato e pericolante, in cui gli oggetti sono fragili aggregazioni di dati, tenuti insieme da misteriosi atti sintetici e pronti a disfarsi quando meno dovrebbero, o a esplodere in antinomie se facciamo troppe domande. In ambito etico, dichiara che è la ragione a dare ordini, ma la lettura dei nostri comportamenti alla luce delle sue ingiunzioni formali sarà sempre aperta al dubbio: potremo solo sperare di aver fatto la cosa giusta, la nostra perfezione morale va perseguita «con timore e tremore».

Husserl, invece, è pieno di certezze: basta che mi concentri sul contenuto della mia coscienza e «posso cogliere verità generali in una certezza assoluta, posso vederle in atti di una perfetta comprensione evidente». «Come sempre, solo l’indagine fenomenologica può fare chiarezza su tali questioni.»

Perché dunque porsi tanti problemi con le entità instabili, fenomeniche che popolano la nostra quotidianità? Non ci sono forse oggetti ideali, per esempio matematici, che possiamo cogliere con perfetta evidenza? E non è il bene un oggetto di questo tipo? Kant esitava a riconoscere uno statuto cognitivo indipendente alla matematica, e non aveva tutti i torti: qualche anno dopo queste lezioni di Husserl, il teorema di Gödel avrebbe dimostrato che delle teorie matematiche non siamo in grado di conoscere non dico la verità, ma neanche la coerenza.

Kant attribuisce il giudizio morale alla ragione, e per Husserl è «impensabile un volere che non abbia basi motivazionali» sensibili. Kant però lo sapeva, e infatti dice: «La legge morale contiene senza dubbio delle prescrizioni, ma non dei moventi; essa manca di quella forza esecutiva, che costituisce il sentimento morale». Basterebbe leggerlo. Che io sappia che cosa dovrei fare non implica che lo farò; posso solo sperare, dicevo, che l’educazione che ho ricevuto, la società che mi circonda e i sentimenti che entrambe mi hanno ispirato siano efficaci al proposito.

La bella sicurezza ostentata da Husserl ha fatto il suo tempo; oggi a darle credito sono rimasti pochi fedeli (e, si capisce, gli «studiosi»). Rimane il rimpianto per l’incomprensione e l’arroganza testimoniate in queste pagine e ingiustificate sulla base del reale rapporto tra i due filosofi. Lasciando al loro destino le sciocchezze di verità ideali percepite con assoluta evidenza, la fenomenologia ha fatto molto per sviluppare l’idealismo trascendentale, che Kant aveva iniziato e abbozzato ma non aveva completato. La faticosa costruzione dell’impianto «copernicano» continua in Husserl e nella sua scuola, con le incertezze e i dubbi che naturalmente le si accompagnano, ed è opera di innegabile valore. Se solo le grandi menti la smettessero di darsi addosso e imparassero a lavorare insieme!


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