IL LINGUAGGIO
di don Aldo Antonelli
Scusatemi; ma se a volte torno in dietro a riproporre fatti e/o messaggi personali, non è certo per un diffuso protagonismo e/o per quella stucchevole autoreferenzialità che non mi appartengono, ma per allargare il discorso che ci lega ad aspetti confinanti che costituiscono, anch’essi, il contenuto stesso e che non sono semplicemente “collaterali”, “di maniera”.
“La lingua, soleva ripetere Miguel de Unamuno, non è il rivestimento del pensiero; la lingua è il pensiero”!
In riferimento alla mia lettera aperta al cardinal Bertone, più di qualcuno, pur condividendone il contenuto, ha avuto a che rimostrare circa il linguaggio usato.
Un lettore, di cui non faccio nome, scrive ad una mia amica:
«nonostante condivida fermamente le idee che stanno alla base di questa lettera, i toni sono tutt’altro che civili, anzi piuttosto offensivi e non inducono certo al confronto e al pentimento (atteggiamento che vedremo bene in “Berto” se leggesse davvero questa lettera). Penso che S. Caterina da Siena, che riuscì a riportare a Roma il papa, ormai emigrato in Francia e sicuramente colluso anche lui con altrettante tresche, abbia usato un linguaggio senz’altro meno offensivo e diretto. Acceso senz’altro, ma dal punto di vista teologico e motivazionale, non certo un linguaggio che spara direttamente a zero su una persona.
Inoltre, chi più del cardinal Bertone potrebbe risponderci che di fatto stava semplicemente pranzando con dei peccatori, come Gesù.
E non è vero che i peccatori di Gesù erano tutti “poveri cristi”. Prendete S. Matteo, era un esattore delle tasse che aveva fatto piangere un sacco di gente lucrando e rubando. Insomma, oggi lo definiremo un furbetto del quartierino, un ricco epulone, ma anche lui riesce a cambiare vita.
Per non parlare di Zaccheo, anche lui ricco e disonesto.
In ogni modo, è sempre utile ragionare sulle nostre miserie e farne storia e ne approfitto per ringraziare Don Aldo che ci ha fatto fare questo lavoro interiore».
Questa la mia risposta:
«Caro NN, ho letto con attenzione la tua risposta a NN e le tue osservazioni sul mio "linguaggio".
C’è tempo... e tempo..., si legge nel libro del Siracide.
E i linguaggi possono essere molti, a seconda, appunto, dei tempi, delle situazioni ed anche dei temperamenti.
D’altra parte, se andiamo a vedere il linguaggio dei profeti, non è che sia da meno, anzi. Al confronto, i miei "improperi" sembrano srpuzzatine all’acqua di rose.
Io ho un debole per Isaia e per Geremia, più che per santa Caterina.
E Berlusconi e Bertone, con i loro relativi codazzi, li ritengo alla stregua dei farisei contro i quali Gesù non misurò parole.
Farisei e ipocriti, più che peccatori.
Un caro saluto».
Al di là di questa breve corrispondenza, però, resta da evidenziare il fatto che spesso noi siamo portati a scorporare, per “educazione” e per “civile rispetto”, ciò che non può essere scorporato. Il linguaggio non è una “formalità” che possa essere regolata dal Galateo.
Don Giovanni Barra già nel lontano 1949 (per la precisione era il 31 luglio) scriveva su “Adesso”, la preziosissima rivista di don Mazzolari: «Abbiamo troppo insegnato l’arte di avvolgere ogni affermazione un pò rude nella soavità del linguaggio. Questa mania di non contraddire e di non essere contraddetti, di non far soffrire e di non soffrire, di non urtare e di non essere urtati, è un lento veleno che svirilizza i cuori goccia a goccia».
Un abbraccio.
Aldo