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EVANGELO, COSTITUZIONE, E TEOLOGIA POLITICA DELL’ "UOMO SUPREMO" LAICO E DEVOTO.

MINISTRI E CHIERICHETTI (E CHIERICHETTE). "FAMIGLIA CRISTIANA" E "CEI" CRITICANO LA LOGICA DEL "DOMINUS ASSOLUTO" DEL GOVERNO ITALIANO, MA NON DEL "DOMINUS JESUS" DEL GOVERNO VATICANO. Orazio La Rocca e Giancarlo Zizola sul tema - a cura di Federico La Sala

(...) Il sogno luterano del "sacerdozio comune dei fedeli" - ripreso anche dal Vaticano II - deve limitarsi per ora a camminare con i piedi dei chierichetti. E con prudenza anche delle chierichette.
domenica 8 agosto 2010 di Federico La Sala
[...] Una
concezione padronale dello Stato ha ridotto ministri e politici in servitori. Semplici esecutori dei
voleri del capo. Quali che siano. Poco importa che il Paese vada allo sfascio. Non si ammettono
repliche al pensiero unico. E guai a chi osa sfidare il dominus assoluto» [...]
[...] Chierichetti dunque, e ancora subalterni a una prospettiva strumentale di selezione del clero.
L’ipotesi dell’ordinazione della donna, già acquisita nella Comunione anglicana, continua a essere (...)

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> MINISTRI E CHIERICHETTI (E CHIERICHETTE). --- Nel mondo cattolico italiano coabitano allo stesso tempo il mormorare e lo scodinzolare. Ma sono universi che di fatto non comunicano, anzi si vanno polarizzando (di Giancarlo Zizola - Famiglia cristiana e il miracolo delle lingue).

giovedì 2 settembre 2010

Famiglia cristiana e il miracolo delle lingue

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 2 settembre 2010)

Una critica delle nequizie del dispotismo politico, come quella di Famiglia Cristiana, sarebbe difficile da comprendere fuori di un approccio profetico, cioè sulla sola linea in cui la Chiesa può prendere seriamente le distanze dalle logiche del mondo in ragione della propria identità spirituale.

È l’opposto della "pornografia mediatica", l’ingiuria lanciata sul settimanale del cattolicesimo popolare in Italia da tecnici del porno di Stato e da scienziati della denigrazione politica. Il compito profetico è una delle prerogative battesimali del "popolo di Dio". Ha spinto in ogni tempo i cristiani all’obiezione agli idoli imperiali, dai Cesari a Hitler, al fascismo e al comunismo, negli anni più vicini anche al neo-liberismo predatorio e alle Rupi Tarpee di Stato contro gli immigrati e i Rom. È distinto dal potere sacerdotale, e non a caso la Chiesa delle curie, per mestiere prudente, tende a dissociarsene, come hanno dimostrato ora le frettolose squalifiche erogate dal cardinale Scola e da monsignor Fisichella sull’anticonformismo di FC, piuttosto che sugli spericolati connubi di Cl e dei Legionari con i ceti al comando.

Il vero scandalo, tuttavia, è che la libertà di una testata cattolica abbia fatto scandalo. Almeno dalla gerarchia cattolica si avrebbe il diritto di attendersi che sappia che il diritto di opinione pubblica fa parte dello statuto della Chiesa (Pio XII) ed è sancito dal Codice di diritto canonico, che, oltre a legittimare l’autonomia politica dei fedeli, difende al canone 212 il diritto-dovere dei fedeli di «manifestare liberamente la propria opinione sulle cose che riguardano il bene della Chiesa ai Pastori e renderla nota agli altri fedeli». Si ha l’impressione che un riflesso autoritario produca in alcuni un tale timore della libertà dello Spirito che il solo sospetto che qualche fiammella scenda sulla testa di qualche cristiano basti a scatenare la voglia di chiamare d’urgenza i vigili del Fuoco per stroncare la nuova Pentecoste e il miracolo delle lingue, cioè della libertà, da cui la Chiesa era sorta.

Una visione gregaria della comunità ecclesiale ripugna anche a Ratzinger, di cui torna pertinente un testo del 1971 : «La vera obbedienza non è quella degli adulatori, chiamati falsi profeti dalla profezia genuina dell’Antico Testamento. Non è di quelli che evitano ogni ostacolo e urto, che pongono al di sopra di tutto la garanzia della propria comodità. Ciò che manca alla Chiesa di oggi (e di tutti i tempi) non sono i panegiristi dell’ordine costituito, ma gli uomini nei quali l’umiltà e l’ubbidienza non sono minori della passione per la verità, gli uomini che danno testimonianza nonostante ogni possibile travisamento ed attacco, gli uomini in una parola che amano la Chiesa più della comodità e della tranquillità del proprio destino».

FC non è sola a vivere di questa passione. Essa è parte di una multiforme realtà, una vasta rete di riviste, settimanali diocesani, agenzie d’informazione, testate missionarie, siti e fogli di ordini e congregazioni religiose, di associazioni e movimenti, prestigiosi quindicinali e mensili culturali diffusi capillarmente e radicati nel territorio. Insieme informano, educano, narrano il mondo alla Chiesa e la Chiesa al mondo. Spesso trivellano i sottosuoli della fede cristiana, per portare in superficie le facce della Terra più violentate e più oscurate, ma anche quei pezzi di realtà ecclesiale meno visibili che vivono il disagio di una Chiesa che mette all’asta la sua primogenitura per un piatto di lenticchie concordatario. L’obiettivo è la promozione di una cultura dei valori senza i quali, diceva Wojtyla, «la democrazia si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia». Sulla stessa linea Benedetto XVI nella enciclica «Deus caritas est» impegnava la Chiesa a offrire attraverso la formazione etica un contributo specifico, «affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili». È l’ispirazione di fondo cui attingono le testate cattoliche quando, come i campanili di fronte alle catastrofi, lanciano l’allarme al popolo sul pericolo che stiamo per diventare un paese razzista e che un paese razzista non è e non può dirsi un paese cristiano.

Colossale dunque l’abbaglio di quanti, di fronte all’indipendenza delle scelte politiche di FC, hanno tentato l’operazione di separarla dalla Chiesa gerarchica. Tanto più se si pondera il dato che il suo editore - la Congregazione dei Paolini - oltre all’autorità propria, ha la responsabilità di intrattenere con Papa Ratzinger vincoli così personali, avendone pubblicato libri, articoli e interviste rimaste nella storia, da rendere meritevoli di speciale attenzione le opzioni ecclesiali di questa multinazionale cattolica dei media.

Piuttosto il fianco più inquietante del paradosso - e motivo di crescente preoccupazione per i capi della Chiesa -, è che il suo pensiero sociale, malgrado gli sforzi dei media cattolici, stenta a trasformarsi in parte costituiva e direttiva della cultura del mondo cattolico. Molti campanili suonano per la Lega, e magari vendono le testate cattoliche critiche alle porte delle chiese. Lavorata dal frastuono di fondo dei talk-show si espande anche tra i fedeli la stanchezza del pensare in grande e del pensare sociale e politico, un certo disagio col pluralismo, con la critica e con le mediazioni, la voglia di delegare la coscienza e gli affari del gregge ai capi, bravi a pensare per tutti.

In questo scenario si consuma la parabola di un movimento come Cl, partito dalla critica alla cultura della mediazione di Scoppola, Lazzati e Carlo Maria Martini, per la salvaguardia integrale dell’identità cristiana, e finito cavalcando l’autonomia delle scelte politiche dei cattolici e le mediazioni anche più pragmatiche e ciniche per non scottarsi le dita relativistiche con le esigenze dei principi e dissociarsi dalle pressioni "profetiche" del cattolicesimo rappresentato da FC.

Nella Bibbia si racconta l’alternanza del mormorio critico e della rassegnazione servile agli idoli nella storia del popolo ebraico. Nel mondo cattolico italiano coabitano allo stesso tempo il mormorare e lo scodinzolare. Ma sono universi che di fatto non comunicano, anzi si vanno polarizzando


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