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PIANETA TERRA:USCIRE DALLA "PREISTORIA". LA NONVIOLENZA IN CAMMINO. Unità, Libertà, Giustizia ....

AFRICA: DALLA NAMIBIA (COME DALL’ITALIA), UN APPELLO CONTRO LA CECITA’ E LA VIOLENZA: E’ ORA DI CAMBIARE. Un articolo di Gwen Lister, apparso su "The Namibian" (trad. di M.G. Di Rienzo) - a cura di Federico La Sala

Gwen Lister e’ una prestigiosa giornalista e saggista namibiana, attivista impegnata nel movimento antiapartheid (per questo duramente perseguitata) e per i diritti umani di tutti gli esseri umani, e’ autorevole voce della lotta per la liberta’ di stampa
lunedì 9 agosto 2010
[...] Devono essere tenuti per responsabili i namibiani in generale, non solo il loro governo, la polizia e le altre istituzioni. Il tasso di violenza contro donne e bimbi, nella nostra societa’, e’ spaventoso. E’ ora che noi persone comuni si faccia qualcosa al riguardo, e invece di chiedere vendetta si cambi l’immorale tessuto della nostra societa’. Non puo’ esserci modo migliore di ricordare le innocenti che sono morte a causa della nostra negligenza come nazione [...]
[...] La (...)

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> AFRICA: DALLA NAMIBIA -- GERMANIA. Un secolo fa l’eccidio degli Herero e dei Nama. Il genocidio che imbarazza Berlino (di Tonia Mastrobuoni)

martedì 28 agosto 2018

Germania

La polemica con la Namibia

Il genocidio africano quella ferita aperta che imbarazza Berlino

Un secolo fa l’eccidio degli Herero e dei Nama ma per i discendenti nessun risarcimento

di Tonia Mastrobuoni (la Repubblica, 28.08.2018)

BERLINO Quindici tra teschi, ossa e scalpi degli Herero e dei Nama massacrati un secolo fa dai tedeschi saranno restituiti domani alla Namibia. Ma la cerimonia attorno a uno dei rari gesti riparatori della Germania verso due minoranze che furono le prime, accertate vittime di un genocidio nel ’900 - un decennio prima di quello armeno - è già al centro di enormi polemiche. Il governo tedesco continua a voler trattare soltanto con quello namibiano, mentre i rappresentanti delle minoranze perseguitate chiedono di sedere al tavolo della difficilissima trattativa sulle indennità. Ad oggi la Germania, pur avendo riconosciuto nel 2004 il genocidio in Namibia, non ha chiesto scusa, né vuole riconoscere alcun risarcimento ai discendenti dello sterminio.

Nel 1904, dopo un’insurrezione contro le feroci condizioni cui erano costretti nelle loro terre, gli Herero e i Nama furono perseguitati dal generale tedesco Lothar von Trotha. Il militare sassone non si accontentò di sconfiggerli i battaglia. Ne ordinò lo sterminio, un genocidio di Stato. «Devono lasciare il Paese o li fucileremo», sentenziò. E dopo la sanguinosa battaglia di Waterberg, le truppe del Reich cacciarono gli sconfitti nel deserto di Omahele, sapendo di condannarli a morte. I rari sopravvissuti furono rinchiusi in campi di sterminio che secondo storici autorevoli come Juergen Zimmerer furono un antipasto di Auschwitz. Anche in questo caso, un comandante del campo, Berthold von Deimling, promise: «Nessun Nama lascerà Shark Island». Ed è in quel campo che a decine di Herero e Nama fu tagliata la testa. Una volta bollite, ai famigliari fu inflitto l’atroce compito di scarnire quelle teste mozzate con dei pezzi di vetro.

«Ai nostri antenati fu chiesto di strappare la carne dalle teste dei loro padri, dei loro mariti», ci ha ricordato ieri la presidente della Commissione namibiana sul genocidio dei Nama, la parlamentare Ida Hoffmann. Per lei è importante che il governo restituisca tutti i resti dei loro antenati: «Vogliamo che le loro anime riposino in pace».
-  Come ricorda lo storico Christian Kopp, che presiede l’ong "Völkermord verjährt nicht" ("Il genocidio non cade in prescrizione"), impegnato da anni nella restituzione dei teschi e delle ossa namibiani, «a tutt’oggi non c’è trasparenza su quanti se ne trovino ancora nelle università e negli ospedali tedeschi». Un secolo fa furono portati in Germania per essere studiati dagli pseudoscienziati che cercavano di dimostrare presunte differenze tra razze. Furono gli ispiratori dei boia dell’Olocausto, dei macellai dello sterminio degli ebrei.

Ida Hoffmann fa parte di una delegazione di rappresentanti di Herero e Nama che è stata ricevuta ieri mattina dal ministro della Giustizia di Berlino, Dirk Behrendt, che ha chiesto scusa a nome della capitale e ha ricordato che lo sterminio «non fa quasi parte della memoria collettiva dei tedeschi» e il governo federale dovrebbe «finalmente riconoscerlo e assumersene la responsabilità». Wolfgang Kaleck, l’avvocato dell’Ecchr, lo studio legale che sta aiutando Herero e Nama a portare avanti la loro causa collettiva, ha parlato di un «fallimento» della Germania.

L’11 agosto ricorre l’anniversario del genocidio e «nessun rappresentante tedesco era presente, quest’anno, né c’erano corone di fiori: una vergogna». Da sempre, su questo oscuro capitolo della storia tedesca, la Germania preferisce girarsi dall’altra parte.

«Willy Brandt si inginocchiò davanti al ghetto di Varsavia», ha ricordato ieri Esther Utjiua Muinjangue, presidente della Commissione sul genocidio degli Herero. «Qual è la differenza, che quelli erano europei e noi africani?».


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